Divieto di costruzione a meno di 30 metri da ferrovia, è derogabile?

L’operatività del divieto di costruzioni a una distanza minima di 30 metri dalla rotaia ferroviaria più vicina: una nuova sentenza e una rassegna della giurisprudenza ormai consolidata

Mario Petrulli 17/02/22
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Come è noto, l’art. 49 del DPR n. 753/80 (“Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell’esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto”) individua la distanza minima degli edifici da costruire rispetto alla rotaia, al fine di assicurare la sicurezza del trasporto e delle persone e la regolarità del servizio ferroviario[1], disponendo che “lungo i tracciati delle linee ferroviarie è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia“.

Sulla delicata questione è intervenuto il TAR Campania, Salerno, sez. I, nella sent. 31 gennaio 2022, n. 251, ribadendo che è la legge ad individuare, nella distanza di 30 metri, il margine minimo di sicurezza: di conseguenza, non occorre che la PA, a cui sia rivolta un’istanza di autorizzazione a costruire a distanza inferiore, effettui appositi accertamenti sull’effettivo pericolo in caso di edificazione a distanza inferiore, in quanto appunto tale valutazione di pericolosità è stata già effettuata a monte dalla legge.

Viceversa, spetta all’istante che chieda l’autorizzazione a costruire a distanza inferiore, l’onere di provare che non vi sono nel caso specifico rischi concreti derivanti da rumori e scuotimenti. In precedenza, in numerose occasioni, la giurisprudenza si è occupata del limite in discorso, pervenendo ad una serie di principi ormai consolidati e che riteniamo opportuno ricordare.

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Distanza dai binari, princìpi consolidati da tenere a mente

Ad esempio, il TAR Toscana, sez. III, nella sent. 8 aprile 2021, n. 482, ha ricordato che, per giurisprudenza consolidata, il vincolo di inedificabilità che vige nella zona di rispetto ferroviario di cui all’art. 49 del DPR n. 753/1980 ha carattere relativo[2] e non assoluto, come si ricava dal successivo art. 60, in forza del quale l’autorità competente può assentire deroghe alle distanze dai binari prescritte.

Ne discende che il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite all’interno della zona di rispetto è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, ai sensi dell’art. 32 della Legge n. 47/1985, ancorché l’introduzione del vincolo sia successiva alla realizzazione degli abusi[3].

Secondo i giudici toscani, opera la presunzione di pericolosità sottesa al divieto di costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a una distanza minore di metri trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia, sancito dall’art. 49 del DPR n. 753/1980 e posto a tutela della sicurezza pubblica, della circolazione ferroviaria e della “conservazione delle ferrovie”, com’è confermato a contrario dal successivo art. 60, disposizione che identifica le condizioni per derogare al divieto (“Quando la sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la natura dei terreni e le particolari circostanze locali lo consentano”).

Appare infatti evidente che, a fronte di un bilanciamento di interessi operato a monte dalle norme dianzi citate, l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo sia tenuta a esporre compiutamente le ragioni che, avuto riguardo alle concrete circostanze di fatto, giustificano di volta in volta la concessione della deroga. Il diniego della deroga non richiede, invece, un particolare approfondimento motivazionale, posto che il divieto di costruire all’interno della fascia di rispetto rappresenta la regola ed è radicato, come detto, nella pericolosità intrinseca dell’attività ferroviaria.

Leggi anche Distanze in edilizia, quando hanno carattere assoluto e inderogabile

Con specifico riferimento alla deroga, il TAR Basilicata, nella sent. 30 ottobre 2020, n. 684, ha precisato che il vincolo di inedificabilità nella zona di rispetto ferroviario può essere derogato dal gestore della rete ferroviaria e non dall’autorità comunale ed è conseguibile unicamente all’esito dello speciale procedimento tipizzato dal citato art. 60.

Ancora, il TAR Veneto, sez. II, nella sent. 19 marzo 2020, n. 282, ha ricordato che la normativa definisce soltanto le eventuali ragioni di sicurezza ferroviaria, conservazione delle ferrovie, natura dei terreni e altro, poste a base dell’autorizzazione alla deroga alle distanze e non anche i presupposti, le condizioni o i parametri per esprimere un eventuale diniego; tuttavia, è evidente che i medesimi interessi pubblici siano quelli da tenere in considerazione in ogni determinazione, positiva o negativa, su presentazione di istanza di deroga.

Se è condivisibile in linea di principio che, in relazione ad apposita istanza di autorizzazione alla riduzione delle distanze ai sensi dell’art. 60, il dovere di motivazione debba essere rispettato sia per il caso di assentimento che in caso di diniego, non potendosi evincere differenze tra la deroga, ammessa solo quando la sicurezza pubblica, la conservazione delle ferrovie, la natura dei terreni o particolari circostanze lo consentano e il diniego di autorizzazione, è altrettanto vero che nel concreto va verificato se il dovere di indicare le ragioni di fatto e di diritto del provvedimento negativo sia stato rispettato[4].

Abbiamo parlato di distanze anche in questi interessanti articoli:
– Distanza tra piante e confini, come regolarsi
– Violazione distanze: un corso d’acqua è equiparabile alla strada pubblica?
– Sopraelevazione edificio e tetto, occhio alle regole sulle distanze
– Copertura terrazzo, sì al muretto ma col rispetto delle distanze

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[1] TAR Veneto, sez. II, sent. 7 novembre 2012, n. 1348.

[2] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 5 aprile 2013, n. 1902 e sent. 19 settembre 2012, n. 4974.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 5 aprile 2013, n. 1902 e sent. 19 settembre 2012, n. 4974; TAR Toscana, sez. III, sent. 18 gennaio 2010, n. 37.

[4] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 16 giugno 2015, n. 3404; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, sent. 15 luglio 2021, n. 2327.

Immagine: iStock/Borirak

Mario Petrulli

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