I cinesi di Suntech e le ombre del sole italiano

Lucia Navone 30/08/12
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Una storia che ha inizio nelle  stanze di Palazzo Chigi l’8 ottobre del 2010 quando l’allora Primo Ministro, Silvio Berlusconi siglò con il premier cinese, Wen Jiabao, accordi commerciali per 2,25 miliardi di euro di cui, un terzo, destinati allo sviluppo dell’energia solare nel Mezzogiorno d’Italia. Ben 800 milioni di investimenti cinesi sul territorio italiano, in particolare in Puglia e in Sicilia. Un programma di investimenti di assoluto interesse garantito (allora) dal programma di incentivi tra i più alti d’Europa. A beneficiarne (ed è storia recente) la cinese Suntech, azienda leader mondiale del solare (quotata al Nyse) che nel 2011 ha realizzato circa il 45% del suo fatturato (3,1 miliardi di dollari) nel Vecchio Continente.

Un colosso, fondato nel 2001 da un imprenditore nato cinese, ZhengrongShi (noto come “dr. Shi”), che nel mondo ha installato una potenza complessiva di oltre 5 GW (circa 20 milioni di pannelli) e che oggi è al centro di due class action negli Stati Uniti. Gli azionisti di minoranza si sono visti ridurre del 40% il valore del titolo e gli studi legali di New York ne stanno chiedendo conto all’azienda.

E il conto, particolarmente salato, torna sempre indietro al solito mittente: il Global Solar Fund società creata appositamente per investire nel Sud Italia, garantito però da bund tedeschi inesistenti. Un conto da 554 milioni di euro in falsi titoli di Stato tedeschi di cui Suntech – dicono fonti dell’azienda – non era mai stata al corrente e che solo di recente è arrivato sul tavolo del board. In una conference call dello scorso 30 luglio il colosso cinese ha infatti accusato il manager del fondo Gsf, lo spagnolo Javier Romero (che ne possiede il 10% e che fino al 2008 ha lavorato per Suntech come rappresentante non esecutivo in Spagna), di aver falsificato le obbligazioni.

Un rimbalzo di responsabilità su cui gli studi di New York rispondono chiamando comunque in causa Suntech e sollevando il lecito dubbio su come nessuno si fosse mai accorto di “aver comprato” la Fontana di Trevi, peraltro garantita direttamente dalla Bank of China che allora stanziò i soldi per far partire il deal.

E dato che l’Italia è il paese del grande Totò dalla truffa dei bond falsi si arriva a due anni di illeciti “sotto il sole” perpetuati soprattutto nella provincia di Brindisi dove il Global Solar Fund ha installato impianti per decine e decine di megawatt.

Illeciti che hanno visto il sequestro di numerosi impianti e che, ancora oggi, sono oggetto di indagini da parte della Procura di Brindisi.

Diversi i capi di imputazione che hanno visto coinvolte cinque aziende controllate dal Global Solar Fund (Tecnova e altre società satelliti): truffa a danno dello Stato, (spagnoli e italiani frazionavano gli impianti, presentando semplici dichiarazioni di inizio attività, sufficienti per potenza pari o inferiore a un megawatt.), riduzione in schiavitù dei lavoratori (centinaia e centinaia di extracomunitari costretti a lavorare senza sosta per poter ultimare gli impianti e accedere agli ultimi incentivi prima della riduzione avvenuta poi nel 2011), oltre a uno scempio incontrollato del territorio (molti dei pannelli sono stati inspiegabilmente montati su strutture in cemento).

Sorgono quindi, a questo punto, una serie di domande, soprattutto se pensiamo che gli incentivi destinati a questi impianti  vengono prelevati dalla bolletta elettrica dei contribuenti italiani (senza contare che Javier Romero, insieme ad altri è stato accusato dai gip di Brindisi di aver falsamente attestato la conclusione dei lavori entro la fine del 2010 al fine di percepire 10 milioni di euro di incentivi prima del successivo taglio).

Prima di tutto che fine faranno gli impianti del Gsf (sia quelli già sotto sequestro che non)? Pare che Suntech abbia deciso di venderli ma bisogna capire se ci sarà un investitore disponibile nel breve periodo. Nei giorni scorsi si è parlato anche di nazionalizzazione del colosso cinese (al 31 dicembre scorso era gravato da debiti a breve per 1,3 miliardi di euro) e comunque i soldi devono essere restituiti entro il 31 marzo 2013.

E se invece gli impianti – una volta chiuse le indagini – verranno demoliti perché ritenuti illeciti, gli incentivi ad essi destinati che fine faranno? E soprattutto, sono già stati prelevati dalle bollette o sono solo stati congelati in attesa di fare chiarezza?

In ultimo, se pensiamo che 500 megawatt di impianti a terra percepiscono circa 250 milioni di euro all’anno di incentivi e che oggi, per tutto il quinto e ultimo conto energia hanno stanziato solo 700 milioni, forse, come diceva il grande Totò, “Do ut des, ossia tu dai tre voti a me che io do un appalto a te”. Oppure, sempre citando il re degli scugnizzi “è la somma che fa il totale“e i conti in questo caso non tornano.

Lucia Navone

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