Codice dei contratti, cosa cambia con la revisione e il PNRR

Il primo passaggio sarà un dl a fine maggio con le direttive principali, tra cui semplificazione legislativa e monitoraggio dello stato di attuazione del PNRR. I dettagli, ma anche i rischi e le criticità dell’operazione

Marco Agliata 19/05/21
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Nella moltitudine delle anticipazioni che circolano sulle modifiche del codice dei contratti cominciano a delinearsi alcuni scenari che dovrebbero avere delle prime manifestazioni nelle prossime settimane.

Quello che comincia a essere chiaro è che la cabina di regia di tutta l’operazione revisione del codice (prevista dall’articolo 212 del d.lgs. 50/2016) sarà presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in una sorta di coordinamenti parallelo con il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) in quanto il processo di semplificazione legislativa riveste un ruolo determinante in tutte le operazioni del piano europeo che non potevano non includere anche il settore degli appalti che ha subito, in questi anni, pesanti perdite.

Vediamo cosa si prospetta per le prossime settimane, inclusi i rischi e le criticità che l’intera revisione del Codice apporta. Per non perdere tutti gli aggiornamenti normativi che ci saranno da qui ai prossimi mesi, consigliamo  Codice dei Contratti Pubblici , guida che permette l’accesso a una sezione online dedicata. La cosa curiosa (da provare!) è che le novità con del Codice si aggiorneranno interattivamente e potrai stamparle e sostituirle a quelle superate.

Codice dei contratti, cosa cambia con la revisione e il PNRR

In questo senso le direttrici principali, in termini operativi, sembrano essere due:
– semplificazione legislativa;
– monitoraggio continuo dello stato di attuazione del PNRR in corso di finanziamento.

In breve la cabina di regia dovrebbe avere i seguenti compiti:

  • ricognizione dello stato di attuazione del codice appalti e delle stazioni appaltanti esaminando gli elementi di criticità anche in ragione della possibilità di proporre i necessari correttivi;
  • definire un piano di attuazione del codice attuale con un’azione coordinata nei confronti dei soggetti chiamati ad emanare decreti, linee guida e altri provvedimenti con la finalità di renderli omogenei e coerenti reciprocamente;
  • raccogliere e valutare le proposte di modifiche normative valutando le ricadute sulla normativa vigente, assicurare un livello adeguato di coerenza giuridica tra le varie norme e supportare la struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri nelle azioni da svolgere;
  • avviare la redazione di un piano nazionale sulle procedure telematiche di acquisto di beni e prodotti e la digitalizzazione dei processi di acquisto;
  • facilitare la definizione di accordi e protocolli di intesa con soggetti pubblici e privati per l’ottimizzazione della bancabilità delle opere pubbliche.

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In questo quadro all’ANAC verrebbe affidato il compito di costruire un nuovo impianto regolatorio per allineare le diverse banche dati della pubblica amministrazione nell’ambito degli investimenti e degli appalti.

L’interesse verso la digitalizzazione dei sistemi è confermato anche dalla volontà di integrazione di tutto il sistema delle banche dati sugli appalti che l’ANAC e Bankitalia ritengono essenziale al fine di riformare in modo sostanziale tutto il sistema degli appalti in termini di tempestività, modalità ed efficacia del settore.

Qual è il prossimo step

Il primo passaggio sarà costituito da un decreto legge che dovrebbe uscire alla fine del mese di maggio e che conterrà, indicativamente, i seguenti elementi:

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I rischi e le criticità

L’analisi della condizione attuale del quadro normativo consente un’immediata individuazione di quelli che sono i maggiori rischi potenziali dell’ennesima “riforma epocale” del sistema degli appalti pubblici:
moltiplicazione di norme e di atti, rispetto ai contenuti delle direttive europee, non coordinati e soprattutto, non necessari;
– attuale struttura normativa finalizzata alla riproduzione di enti e soggetti (e quindi di funzioni remunerate) ai quali riconoscere vari gradi di potere decisionale o normativo;
– totale assenza di una visione complessiva sugli obiettivi finali posti in rapporto con le necessità operative e la semplicità procedurale;

– mancato adeguamento di tutta la filiera autorizzativa dei vari enti competenti per il rilascio di pareri e autorizzazioni;
– mancata creazione di un sistema informatizzato unico (a fronte di una proliferazione di banche dati e programmi diversi) per il censimento, monitoraggio ed erogazione tempestiva delle risorse dei lavori pubblici.

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Nel corso dei 5 anni trascorsi dal 2016 ad oggi, dopo l’emanazione del decreto legislativo 50 del 2016, la situazione risulta essere:

  • mancata emanazione, a oggi, del regolamento attuativo;
  • pubblicazione di un numero non inferiore a 122 tra decreti parziali, linee guida (alcune giunte alla quarta edizione), provvedimenti e circolari esplicative e un numero rilevante di altri atti previsti dal codice e non ancora emanati;
  • disordine normativo che ha visto uscire linee guida che abrogavano atti sovraordinati (v. direzione dei lavori) prima della censura del Consiglio di Stato;

tutte situazioni che hanno generato una condizione che può essere collocata agli antipodi della semplificazione.

La storia e i comportamenti passati che hanno caratterizzato gli eventi di questo settore non consentono molti ottimismi e questo si lega alla consapevolezza che per ottenere realmente i cambiamenti strutturali auspicati si dovrebbe procedere ad una radicale modifica che ha prioritariamente una valenza culturale, con impatto profondo su norme, enti, strutture, modalità lavorative, visione della cosa pubblica e che richiede, per la sua attuazione, volontà, interventi e scelte per il momento, al di là dei proclami, non pervenuti e la cui assenza viene continuamente confermata dalle fantasiose soluzioni adottate come quella, fra le tante, del ricorso alla nomina di commissari per le grandi opere pubbliche con incarichi multipli (nell’ordine di 6 o 7 per ciascuno dei soggetti ultimamente nominati) su opere di tale rilevanza che risulterebbero problematiche anche considerate singolarmente.

L’auspicio

Per tutti gli operatori del settore le vicissitudini che hanno caratterizzato il percorso dell’attuale codice dei contratti hanno ulteriormente incrementato, se possibile, le già rilevanti difficoltà che il combinato disposto di un quadro normativo impreciso e incompleto ha fatto ricadere sulle spalle di tutti i soggetti coinvolti, dai progettisti agli esecutori delle opere pubbliche.

Questo scenario si è aggiunto a procedure autorizzative e dinamiche comportamentali che, in assenza di alcuna forma di responsabilità da parte degli enti e soggetti deputati, hanno esteso le tempistiche di attuazione degli interventi in modo incontrollato (non solo per le opere pubbliche).

Soprattutto dopo il quadro appena descritto la concreta possibilità di poter costruire un nuovo corredo normativo di settore per le opere pubbliche risiede nella volontà e nella capacità di creare una struttura di sistema lineare e semplificata in tutti gli ambiti normativi, autorizzativi, esecutivi  e di erogazione delle risorse con gli enti e soggetti preposti organizzati con procedure e assegnazioni di responsabilità strettamente finalizzate al raggiungimento di obiettivi reali e non alla sola giustificazione della loro permanenza in vita.

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L’unico segnale di svolta concreta che, allo stato attuale, può rappresentare il vero punto di svolta è quello di porre in essere pochi ma sostanziali cambiamenti strutturali di tutto il sistema (non solo quelli relativi al codice dei contratti), che prevedano anche il riconoscimento delle necessarie professionalità e delle conseguenti responsabilità, riuscendo a ricostruire la certezza del diritto di poter vedere completato un iter autorizzativo ed esecutivo di un intervento sulla base di tempistiche e comportamenti certi e paragonabili agli standard europei. In difetto si sarà soltanto rinnovata l’intramontabile pratica dei soliti grandi proclami senza nessun effetto concreto di natura strutturale se non quello di aver perso immense risorse economiche ed umane in un settore un tempo trainante per la crescita del Paese.

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