Gazebo a uso permanente: serve permesso di costruire?

E per il riparo provvisorio e mobile per una cavalla? Oggi nella rassegna sentenze tutto a tema su permessi edilizi, SCIA e abusi edilizi

Mario Petrulli 30/03/21
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Ecco una selezione delle massime di alcune sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica, pubblicate nei giorni scorsi; gli argomenti oggetto delle pronunce sono: gazebo a uso permanente: serve permesso di costruire? SCIA, dopo 30 giorni è efficace il comportamento inibitorio? Segnalazioni circostanziate di abusi edilizi, come si comporta l’ufficio tecnico?

Oltre a questi temi: riparo provvisorio e mobile per una cavalla, serve permesso di costruire? Proroga del permesso di costruire, quando vale il silenzio-assenso? Riportiamo in dettaglio tutte le sentenze.

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Gazebo a uso permanente: serve permesso di costruire?

TAR Molise, sez. I sent. 22 marzo 2021n. 109

Il gazebo destinato ad un uso permanente è un intervento di nuova costruzione necessitante il permesso di costruire

La giurisprudenza, con specifico riferimento alla normativa edilizio-urbanistica applicabile ai gazebo, è orientata a distinguere a seconda che la struttura in discussione sia destinata, in concreto, a un uso temporalmente limitato ovvero permanente.

Nel primo caso la natura meramente temporanea dell’opera escluderebbe la sua idoneità ad alterare lo stato dei luoghi, e dunque la necessità del permesso di costruire; nel secondo caso, invece, si sarebbe in presenza di un intervento di nuova costruzione, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 3, comma 1, lett. e), e 5 del d.p.r. n. 380/2001, con conseguente necessità del permesso di costruire e soprattutto, a monte, del rispetto delle ordinarie regole urbanistico- edilizie.

In argomento sembra particolarmente utile richiamare una recente sentenza emessa proprio con riferimento alla costruzione di un gazebo, il cui contenuto ben sintetizza l’orientamento giurisprudenziale sopra delineato: “4.3. Con riferimento, infine, ai due gazebo, si osserva che, secondo la giurisprudenza prevalente dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, l’intervento edilizio che ha comportato la sistemazione degli spazi esterni (viali pedonali e muretti di perimetrazione, gazebo, pensiline), è annoverabile nel concetto di “nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett. e), d.P.R. n. 380/2001, che riguarda ogni trasformazione urbanistica del territorio non rientrante nelle categorie della manutenzione ordinaria e straordinaria, del restauro e risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia, e che comprende qualunque manufatto autonomo o modificativo di altro preesistente, necessitante in base al successivo art. 10 del permesso a costruire e sanzionabile, in sua mancanza, con la sanzione della demolizione ex art. 31 (T.A.R. Napoli n. 5313/2018).

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Ancora, si rileva che i manufatti funzionali a soddisfare esigenze permanenti, devono essere considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, non rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie; ciò in quanto il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è utilizzato per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo reiterato nel tempo, in quanto opere realizzate per attività stagionali. Deve pertanto rilevarsi come, ai fini dell’esonero dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, l’opera precaria deve essere destinata ad un uso temporalmente limitato del bene, mentre la stagionalità dell’uso non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo (T.A.R. Lecce n. 666/2019).

Infine, gli interventi consistenti nella installazione di tettoie o di altre strutture analoghe, quali i gazebo, che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi, non possono ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.

Orbene, nel caso in esame, i gazebo presentano delle dimensioni importanti (circa 20 mq complessivi) e, quindi, non tali da consentire che l’opera possa essere ritenuta, in senso urbanistico, qualificata come meramente accessoria al manufatto principale, di cui modifica la sagoma e i prospetti. Né possono essere ritenuti “precari”, in quanto sono destinati a garantire un’utilità stabile nel tempo” (Così TAR Puglia, Lecce, I, sentenza n. 257 del 2020; in senso analogo, sempre in tema di gazebo, cfr. TAR Molise, sentenza n. 353 del 2016; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4318 del 2017; n. 4438 del 2013; sez. VI, n. 6382 del 2012; sez. IV, n. 2705 del 2008; e cfr. altresì Consiglio di Stato, sezione II, sentenza n. 4541 del 2020, in materia di tettoie: “ai fini dell’osservanza delle norme sulle distanze legali tra edifici, la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell’opera”).

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SCIA, dopo 30 giorni è efficace il comportamento inibitorio?

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 26 marzo 2021 n. 3716

Inefficace il provvedimento inibitorio adottato trascorsi 30 giorni dalla presentazione della SCIA

L’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 prevede che i poteri inibitori debbano essere esercitati entro il termine stabilito dal legislatore e che, decorso tale termine, “l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’articolo 21-nonies” (così il comma 4 del suddetto articolo 19, come sostituito, da ultimo, dall’articolo 6, comma 1, lett. a), della legge 7 agosto 2015, n. 124). Il che equivale ad affermare, secondo quanto da tempo chiarito dalla giurisprudenza, che una volta che sia scaduto il periodo di trenta giorni stabilito dalla legge, il “consolidarsi” della denuncia di inizio attività determina – di regola – l’impossibilità per il Comune di intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, 22 settembre 2014 n. 4780). Più esattamente, anche dopo la scadenza del termine di trenta giorni, i poteri esercitati dall’amministrazione sono pur sempre di tipo inibitorio, ma tali poteri sono azionabili solo subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 717).

Inoltre, con il d.l. n. 76 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, il legislatore ha introdotto rilevanti innovazioni alla legge n. 241 del 1990, stabilendo espressamente, attraverso l’inserimento del comma 8 bis dell’art. 2, l’inefficacia del provvedimento inibitorio tardivamente adottato dall’amministrazione in relazione alla SCIA.

La ratio sottesa alla previsione in esame è quella della riduzione dei tempi procedimentali e della definizione delle conseguenze correlate alle inerzie dell’amministrazione; ed in tale prospettiva emerge la saldatura del comma 8 bis con le previsioni del comma 4 bis, pure introdotto con la novella, (ai sensi del quale “le pubbliche amministrazioni misurano e rendono pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente”), con l’obiettivo di disincentivare le inerzie dell’amministrazione e assicurare la piena effettività delle disposizioni richiamate nel comma 8 bis in esame, tra le quali anche l’art. 19, commi 3 e 6 bis della medesima legge.

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Segnalazioni circostanziate di abusi edilizi, come si comporta l’ufficio tecnico?

TAR Piemonte, sez. II, sent. 22 marzo 2021 n. 320

In ipotesi di segnalazioni circostanziate e documentate, l’Amministrazione ha l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia

Come noto, in presenza di una formale istanza l’amministrazione è tenuta a concludere il procedimento, e ciò anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, non potendo rimanere inerte. Il legislatore, infatti, ha imposto al soggetto pubblico di rispondere alle istanze private, sancendo l’esistenza di un dovere che rileva ex se quale diretta attuazione dei principi di correttezza, buon andamento e trasparenza, consentendo altresì alle parti, attraverso l’emanazione di un provvedimento espresso, di tutelare in giudizio i propri interessi a fronte di provvedimenti ritenuti illegittimi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 19.04.2018, n. 2370; Cons. Stato, Sez. III, 18.05.2020, n. 3118).

Con specifico riferimento alla denuncia dell’abuso edilizio realizzato dal vicino, la giurisprudenza ritiene che il proprietario confinante, in ragione dello stabile collegamento con il territorio che si esprime nel concetto di vicinitas, goda di una posizione differenziata e qualificata rispetto alla collettività, essendo direttamente inciso dagli effetti dannosi del mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi relativi ad abusi edilizi da parte dell’organo preposto. Questi risulta, pertanto, titolare di una posizione di interesse legittimo a che l’amministrazione si attivi con l’adozione delle misure rese necessarie dall’illegittima edificazione, in mancanza delle quali può pretendere un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni e che dia conto delle valutazioni dell’ente in merito alla sussistenza o meno dell’abuso denunciato (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 4.11. 2019, n. 2290; Cons. Stato, Sez. VI, 28.03.2019 n. 2063). In coerenza con quanto sopra, “in ipotesi di segnalazioni circostanziate e documentate, l’Amministrazione ha comunque l’obbligo di attivare un procedimento di controllo e verifica dell’abuso della cui conclusione deve restare traccia, sia essa nel senso dell’esercizio dei poteri sanzionatori, che in quella della motivata archiviazione, dovendosi in particolare escludere che la ritenuta mancanza dei presupposti per l’esercizio dei poteri sanzionatori possa giustificare un comportamento meramente silente (v. Cons. Stato, Sez. IV, 4 maggio 2012 n. 2592)” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 18.01.2021, n. 170).

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Riparo provvisorio e mobile per una cavalla, serve permesso di costruire?

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 23 marzo 2021 n. 761

Non è una nuova costruzione necessitante del permesso di costruire la realizzazione di una struttura mobile, posta su un carrello con ruote, di dimensioni modeste, priva di pavimentazione, con copertura in cellophane provvisoria, destinata a dare un “riparo temporaneo dalla pioggia” ad una cavalla

Non è una nuova costruzione una struttura mobile, posta su un carrello con ruote, di dimensioni modeste (3,20 x 3,20 metri ed altezza da 2,70 a 3,20 metri), priva di pavimentazione, con copertura in cellophane provvisoria, destinata a dare un “riparo temporaneo dalla pioggia” ad una cavalla, in considerazione anche del fatto che la pre-esistente stalla era stata demolita in quanto abusiva e che il recinto all’aperto era stato considerato inidoneo al ricovero dell’animale da parte della polizia locale, che l’aveva dunque sottratto al proprietario.

Secondo i giudici, “il complesso delle caratteristiche descritte – in particolare le ridotte dimensioni e il conseguente irrilevante impatto sull’aspetto dei luoghi, il mancato ancoraggio della struttura al terreno, l’assenza di pavimentazione, l’attuale funzionalità delle ruote (tant’è che la struttura è stata già spostata più volte sul medesimo terreno), la temporaneità della copertura in cellophane prevista per la protezione dalle intemperie, l’assenza di alimentazione di servizi essenziali quale l’acqua, l’assenza di elementi da cui inferire una destinazione ad uso naturalmente prolungato nel tempo – non consenta di qualificare l’opera, ai sensi dell’art. 3 d.P.R. n. 380/2001, come intervento di “nuova costruzione”. La norma, infatti, esclude espressamente (lettera e.5) l’installazione di manufatti leggeri e strutture di qualsiasi genere, incluse le case mobili, che, come nel caso di specie, siano idonei a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Per la precarietà e temporaneità della struttura in esame, nonché l’irrilevanza di impatto sui luoghi, deve escludersi la necessità di un titolo abilitativo per l’intervento edilizio in questione; ed infatti, la giurisprudenza qualifica come “nuova costruzione” le opere, anche su struttura mobile, quando queste abbiano una destinazione stabile (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 7 febbraio 2018, n. 354; T.A.R. Liguria, Sez. I, 25 marzo 2019, n. 274), o comunque dimensioni tali da comportare “un’apprezzabile trasformazione del territorio cui si correla la violazione dell’assetto urbanistico e paesaggistico” (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 20 gennaio 2021, n. 55; T.A.R. Veneto, Sez. II, 26 novembre 2020, n. 1133; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 3 agosto 2020, n. 2001).

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Proroga del permesso di costruire, quando vale il silenzio-assenso?

TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 23 marzo 2021 n. 285

La proroga del permesso di costruire non può essere concessa per silenzio-assenso ma solo con provvedimento motivato

In base all’articolo 15, comma 2, del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) “La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell’opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all’inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.

La norma rappresenta una deroga alla disciplina generale dei termini di avvio e di conclusione dei lavori autorizzati di cui all’art. 15 D.P.R. n. 38072001, finalizzata (la disciplina generale) ad evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più. Per tale motivo, la deroga prevista dal comma 2 dell’art. 15 va interpretata in senso restrittivo in modo da limitare le proroghe a casi che oggettivamente non dipendono dalla volontà del titolare del permesso di costruire.

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La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione in ordine alle cause del ritardo e alla non imputabilità di quest’ultimo all’interessato.

Venendo in considerazione un atto dal contenuto prettamente discrezionale, non è configurabile un suo perfezionamento per silenzio-assenso, secondo noti principi.

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Foto: iStock/krblokhin

Mario Petrulli

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