Controllo diagnostico strutturale. Quale tipo scegliere e su quali aree eseguirlo?

Controllo diagnostico strutturale. Su quali aree intervenire? Individuata la tecnologia più idonea ai fini conoscitivi. Ecco i dettagli

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La scelta di un tipo di controllo diagnostico strutturale piuttosto che di un altro, fatte salve le prove che comunque vanno eseguite anche in minima quantità per dettami normativi (es. prelievi di provini cilindrici e di barre in manufatti in calcestruzzo o prove di martinetto piatto per le murature), pur essendo ancora una volta influenzato dalle logistiche operative, dai limiti esecutivi e dal budget a disposizione, deve necessariamente essere finalizzato, ovviamente, al risultato prefissato ed in particolare alle informazioni che si vogliono ottenere.

La domanda da porsi sempre prima di cominciare a vagliare le diverse possibilità d’indagine è: “quale grandezza fisica, meccanica, geometrica, ecc. voglio analizzare e quali informazioni mi servono?” e di conseguenza: “qual è allora la prova che, con costo più contenuto ed esecuzione più agevole e rapida, mi fornisce il risultato più preciso ed attendibile possibile?

La questione può sembrare banale, ma non lo è. Vediamo il perché.

La scelta del tipo di controllo diagnostico strutturale deve tener conto, principalmente:

-della tipologia del materiale su cui si deve intervenire: ogni materiale va approcciato ed analizzato con tecnologie specifiche ad esso dedicate e per esso sviluppate e sperimentate;

-della riproducibilità ed affidabilità scientifica dell’indagine: all’interno della stessa categoria di prove indirizzate al medesimo materiale è preferibile prediligere quelle supportate da tecnologie più consolidate, da campagne di sperimentazioni scientifiche ed accademiche, da curve di correlazione di comprovata attendibilità, ecc.;

-del grado di approfondimento necessario per le informazioni che si ricercano: non sempre è richiesto l’utilizzo di tecniche diagnostiche sofisticate; in fase preliminare o per studi di fattibilità, ad esempio, possono essere sufficienti informazioni meno “raffinate” che consentano, nel breve periodo, di individuare semplicemente una linea di intervento da approfondire poi successivamente con metodologie più dettagliate;

-dellambiente in cui si deve operare e delle tempistiche consentite: la metodologia di prova deve tener conto anche delle difficoltà esecutive e delle peculiarità dell’ambiente in cui si interviene: un prelievo cilindrico in una trave posizionata a 5 m di altezza presenta, ovviamente, ostacoli operativi molto maggiori rispetto ad un carotaggio in un pilastro a quota di campagna; una prova di carico da programmare in luoghi privi di approvvigionamento idrico dovrà, probabilmente, essere eseguita con sistemi oleodinamici anziché con serbatoi; in un ambiente sanitario in attività sarà opportuno scegliere PND a basso impatto acustico, rapida esecuzione e scarsa invasività anche in termini di produzione di residui di lavorazione (polvere, acqua, materiali di risulta da demolizioni, ecc.), limitata necessità di ripristino. Indagini mirate e specifiche dovranno essere invece previste in ambienti con particolari lavorazioni o destinazioni d’uso ed atmosfera aggressiva come: aziende chimiche, caseifici, manufatti marini, ecc.; in questo caso, infatti, ammaloramenti di carattere chimico-fisico dovuti alla presenza di cloruri, solfuri o altri agenti inquinanti pericolosi per le strutture vanno indagati con tecniche appositamente sviluppate;

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delletà e dell’“importanza storico-monumentale del manufatto: è quasi ovvio ribadire che un bene monumentale di interesse storico debba essere approcciato con tecnologie specifiche e a bassissima invasività, peraltro sempre e comunque proposte e sottoposte all’attenzione ed approvazione della Soprintendenza competente: una termografia attiva eseguita in ambienti di pregio con affreschi e stucchi, ad esempio, dovrà tenerne conto utilizzando riscaldatori ad emissione di fumi controllata in modo da non provocare stress chimici ai dipinti; secondo lo stesso criterio difficilmente si potrà intervenire per la caratterizzazione geometrica e tipologica di murature antiche con tecniche semi-distruttive (scrostature o demolizioni) ma si dovranno prediligere indagini non invasive come il GPR (Georadar), la video-endoscopia e, con le dovute cautele, la suddetta termografia attiva e le verifiche soniche. Nel caso di costruzioni datate, non necessariamente di importanza storica, anzi magari anche abusive o costruite in regime di “economia diretta”, realizzate in epoche storiche in cui i controlli sulle forniture o sulle fasi di cantiere non erano sicuramente scrupolosi, può essere consigliabile intervenire con indagini magari meno raffinate ma in numero maggiore e con criteri più diffusi in modo da raggiungere un livello di conoscenza generale più elevato;

del budget a disposizione: come sappiamo, è spesso di importanza non trascurabile anche se, in questo caso, non può sempre essere vincolante: in frangenti non così rari, infatti, per raggiungere un risultato scientificamente attendibile ed ottenere informazioni oggettivamente rappresentative del reale stato dell’oggetto indagato si devono obbligatoriamente scegliere tecnologie specifiche e raffinate, anche costose, altrimenti è meglio non intervenire proprio.

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Controllo diagnostico strutturale. Su quali aree intervenire?

Individuata la tecnologia più idonea ai fini conoscitivi è poi necessario stabilire con cura le aree d’intervento e le posizioni più significative in cui operare il controllo diagnostico strutturale.

a) Per le costruzioni in muratura la scelta è normalmente dovuta più a necessità di carattere operativo che a problematiche legate alla stabilità dell’organismo strutturale; le indagini sulla muratura, salvo casi specifici, non prevedono modificazioni sensibili dello stato tensionale in essere o particolari stress locali dell’elemento indagato, mentre necessitano sicuramente di particolari accorgimenti, tra cui un corretto posizionamento, per poter produrre risultati attendibili; come esempio, si pensi alla logistica esecutiva di due tra le più frequenti prove in sito per la caratterizzazione meccanica delle murature: i martinetti piatti doppi e lo shove test; avendo entrambi bisogno di contrasti importanti in termini di massa e peso, i primi superiormente, il secondo lateralmente, devono necessariamente essere previsti in posizioni idonee all’interno del paramento murario; i martinetti piatti doppi eseguiti in un piano sottotetto, con buona probabilità, non forniranno risultati particolarmente rappresentativi (anzi, probabilmente, la prova dovrà essere sospesa perché porterà ad un sollevamento della copertura) così come uno shove test su un pilastro in mattoni pieni di modesta sezione non troverà fisicamente la geometria trasversale minima necessaria per poter essere eseguito correttamente.

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b) Per le costruzioni in calcestruzzo armato, invece, sono preponderanti due aspetti direttamente correlati:

allomogeneità o variabilità del getto e quindi del calcestruzzo: è sempre opportuno cercare di indagare elementi che siano statisticamente rappresentativi delle proprietà del materiale dell’intera struttura o almeno di una sottofamiglia della stessa, individuando ambiti omogenei diversi e mantenendo i risultati relativi alle diverse zone separati tra loro [6]; l’omogeneità è naturalmente riferita alla miscela del calcestruzzo ed è strettamente legata all’epoca di costruzione (o meglio alle tecnologie di produzione e trasporto della miscela nelle diverse epoche) e dipende anche dai ritmi e dalle tecnologie di cantiere (betonaggio) o dalla filiera di produzione e trasporto, che possono consentire di gettare quantità di calcestruzzo maggiori o minori nella stessa unità di tempo, può aver interessato un numero maggiore o minore di elementi strutturalmente, geometricamente e tipologicamente simili.

alla minor invasività possibile in termini di danno strutturale: a parità di rappresentatività dei dati desunti vanno preferite, soprattutto per le prove distruttive (carotaggi e prelievi di barre), zone in cui venga ridotto al minimo il danno, seppur locale, sulla struttura indagata e, quindi, dove le sollecitazioni agenti sono nulle o minime. Se lo scopo, inoltre, è di valutare la capacità residua di un elemento a seguito di un evento eccezionale (incendio, scoppio, urto, ecc.), ci si dovrà concentrare sulle zone più degradate o danneggiate comparando poi i risultati ricavati dalla campagna diagnostica con quelli di zone complementari ma sicuramente sane.

Al termine, comunque, di qualsiasi prelievo di carattere invasivo, finalizzato al controllo diagnostico strutturale, l’integrità e la continuità della sezione vanno opportunamente ripristinate utilizzando malte antiritiro colabili.

[6] Masi A., Vona M., Prove distruttive e non distruttive su materiali ed elementi strutturali di edifici esistenti in cemento armato, Università degli Studi della Basilicata.

Articolo originariamente pubblicato su Ingegneri.cc estratto dal volume Diagnostica delle strutture esistenti.

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Diagnostica delle strutture esistenti

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Redazione Tecnica

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