Terremoto in Nuova Zelanda: la rinascita dopo il disastro naturale

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La ricostruzione dopo un disastro naturale è un tema quanto mai attuale in un paese vulnerabile dal punto di vista infrastrutturale come l’Italia, colpita recentemente dal forte terremoto in Emilia Romagna, ancora alle prese con un difficile ritorno alla normalità a aL’Aquila e con un dissesto idrogeologico diffuso su tutto il territorio.

MWH, società multinazionale di ingegneria e consulenza nell’ambito di energia, acqua e infrastrutture, ha accumulato negli anni una lunga esperienza nel campo del “disaster management”, ovvero della gestione del rischio e della ricostruzione a seguito di disastri ambientali di varia natura. Tra le numerose esperienze, ha guidato l’intero programma di ricostruzione infrastrutturale di New Orleans dopo gli uragani Katrina e Rita, e il programma di ristrutturazione della rete stradale dopo le alluvioni del 2011 nel Queensland (USA).
Più recentemente, MWH è intervenuta in occasione del terremoto di Christchurch, seconda città della Nuova Zelanda, colpita il 22 febbraio 2011 da un sisma di magnitudo 7.1. Un disastro ambientale che ha messo in ginocchio la città, provocando circa 200 morti e 1500 feriti, ma che ha rappresentato anche un’opportunità per ripensare da zero il proprio assetto urbano, dando un esempio di grande intraprendenza e innovazione che potrebbe essere di ispirazione anche per il nostro paese.

Dopo la gestione dell’emergenza iniziale, con il completamento delle operazioni di salvataggio e soccorso e  la costruzione di 10.000 case-ricovero per gli sfollati da parte del governo neozelandese, si è passati alla definizione di una strategia urbanistica a lungo termine, maggiormente attenta allo sviluppo sostenibile, piuttosto che alla mera speculazione edilizia.
Gli esperti di pianificazione urbana MWH hanno collaborato con il governo per individuare la prassi migliore per garantire la ricostruzione di una Christchurch più sicura e preparata verso futuri disastri ambientali.

“L’esperienza neozelandese ci insegna che dopo una catastrofe di questa entità ci si può risollevare grazie a soluzioni innovative e una grande volontà collettiva. Christchurch si è ricostruita con la voglia di diventare una città più solida, dove le persone sentissero di poter restare a vivere e lavorare in sicurezza”, sottolinea Antonino Rapisardi, Business Development Manager della sede italiana di MWH. “E’ necessario un profondo cambiamento del modo di pensare la pianificazione delle infrastrutture e dell’uso del territorio, anche in previsione di questi disastri. Il rischio sismico in tutto il territorio italiano è noto da tempo, eppure non si costruisce ancora con i criteri più adeguati. E’ ora che anche il nostro paese pensi con lungimiranza e la dovuta attenzione alla sicurezza e all’innovazione tecnologica.”

Nel caso di Christchurch, il centro della città, che prima del terremoto non era sufficientemente vitale, è stato ripensato del tutto cogliendo l’occasione della demolizione dei grattacieli danneggiati, con l’idea di andare ad aumentare gli spazi aperti. Per ridare vita al centro della città si pensa di lasciare spazio alle piccole attività commerciali, alle caffetterie, alle aree pedonali e alle piste ciclabili, senza dimenticare comunque la restaurazione dei palazzi storici, per tenere vivo nella cittadinanza il senso di appartenenza alla comunità.
Inoltre, è ora possibile pensare alla costruzione di strutture residenziali a basso impatto ambientale e a maggiore densità e in parallelo migliorare i collegamenti con le attrattive naturali come il fiume Avon o Hagley Park.

Tuttavia, si pone l’interrogativo se sia il caso di ricostruire in posizione centrale anche altre infrastrutture civili come ad esempio l’ospedale. Alla luce dei danni subiti con il terremoto, sono molti i pericoli in cui si incorre a centralizzare le grandi infrastrutture, soprattutto considerando i tempi lunghi necessari a un’eventuale ricostruzione.
Lo stesso vale per la rete idrica, che ha subito dei danni enormi e che, pagando le conseguenze della sua centralizzazione, ha portato disagi in tutte le aree. Un modello più vario che preveda un uso “misto” degli spazi e una delocalizzazione delle infrastrutture in nodi strategici sparsi sul territorio, potrebbe essere la scelta migliore sia per quanto riguarda le costruzioni civili che quelle residenziali.
Un altro fenomeno interessante riguarda le aree più lontane dal centro: “Dal giorno del terremoto, le periferie di Christchurch hanno completamente cambiato il loro assetto sociale”, spiega Rapisardi. “Costretti a lavorare da casa, i cittadini non hanno più potuto spostarsi verso il centro ed hanno vissuto maggiormente il quartiere. Inoltre, l’aumento del costo della benzina dà una motivazione in più a lavorare nei pressi della propria abitazione. E’ quindi possibile pianificare e progettare piccoli centri abitati con piccole attività commerciali e bar dove la cittadinanza può costruire rapporti di buon vicinato.”

In Nuova Zelanda si fa sul serio, dunque, anche perché secondo la New Zealand Structural Engineering Society con i terremoti già avvenuti, il rischio che l’intera regione del Canterbury possa essere soggetta ad un pericolo di crescente sismicità è reale, e non si tratterà di semplici scosse di assestamento ma di eventi già attivati nel sottosuolo. Si parla di un periodo di 50 anni o più durante i quali aumenteranno sensibilmente i pericoli sismici nelle vicinanze di Christchurch.
L’approvazione di una legge speciale denominata “Canterbury Earthquake Recovery act” del 2011, conferisce sufficienti poteri di azione al Canterbury Earthquake Authority (CERA) per la realizzazione di tutte le azioni necessarie per la ricostruzione. Oggi, il CERA ha il compito di sviluppare una Strategia di Recupero generale e a lungo termine per la ricostruzione di una Christchurch più ampia.
Affinché questa strategia risulti efficace e di successo, va messa in atto con senso di collaborazione e con trasparenza. Deve sottostare ad una pianificazione solida basata su approcci multidisciplinari, impegno della comunità tutta, decisioni sicure, e deve limitare la ricostruzione sui terreni ancora a rischio. Bisogna dimostrare di aver imparato dagli errori del passato ed evitare di commetterne di nuovi in futuro, e con questo va considerato anche l’adattamento al cambiamento climatico.

È importante avere una visione più ampia e rigorosa dei rischi geofisici che corre la città di Christchurch. Il terremoto ha rivelato, ad esempio, il forte dissesto idrogeologico verso valle. Il mutamento climatico, inoltre, comporterà l’aumento delle esondazioni a seguito di eventi che si prevede saranno sempre più intensi. E anche le inondazioni marine rappresentano un pericolo a seguito dell’aumento del livello del mare.

Sono tutti elementi che non possono essere ignorati da chi si occupa di pianificazione urbana, in Nuova Zelanda, come in Italia.

Per informazioni
www.mwhglobal.com

Redazione Tecnica

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