Autorizzazione paesaggistica, che rilevanza hanno portico e volumi interrati?

Nella rassegna sentenze di oggi anche: annullabilità (senza limiti di tempo) di una DIA/SCIA con falsa rappresentazione del privato, cosa fare nel caso di pratiche edilizie irreperibili e permesso di costruire

Mario Petrulli 25/02/20
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Eccoci alla selezione delle massime di sentenze per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate la scorsa settimana: accertamento di compatibilità paesaggistica, che rilevanza hanno portico e volume interrato? Annullamento DIA/SCIA per falsa rappresentazione da parte del privato, che limite temporale?

E anche: utilizzo di un immobile industriale, artigianale o commerciale quale luogo di preghiera, serve permesso di costruire? Pratica edilizia irreperibile, quando è legittimo il diniego di accesso?

Autorizzazione paesaggistica, rilevanza di portico e volumi interrati

TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 17 febbraio 2020 n. 135

Ai fini dell’accertamento di compatibilità paesaggistica rilevano sia il portico sia il nuovo volume interrato

L’art. 167 comma 4 del D. Lgs. 42/2004 prevede il possibile accertamento postumo della compatibilità paesaggistica solo nei seguenti tassativi casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria.

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La giurisprudenza ha chiarito che la norma in esame ritiene sufficiente l’aumento di volumetria a precludere l’accoglimento dell’istanza di conformità, riferendosi la necessità dell’utilità alle sole superfici (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 2/8/2018 n. 1923). In merito poi alle modalità di calcolo dei volumi e superfici a fini paesistici, la giurisprudenza ha dato rilievo alla circolare del Segretario generale del MIBACT n. 33 del 26/6/2009, che nel dettare talune linee interpretative ed operative ai fini dell’autorizzazione paesaggistica postuma, ai sensi del menzionato art. 167 D. Lgs. 42/2004, ha chiarito che per volumi s’intende qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto”. È stato rilevato, in particolare, che le nozioni di superficie e volume sotto il profilo paesaggistico sono diverse e non sovrapponibili a quelle conosciute in ambito urbanistico: si tratta “… di qualificazioni che interessano le superfici e i volumi di qualsiasi natura, in quanto rileva la loro percepibilità come ingombro alla visuale ovvero la modificazione alla realtà preesistente, tale da arrecare un “vulnus” agli interessi superiori di tutela del paesaggio” (TAR Friuli Venezia Giulia – 31/5/2019 n. 239; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 1/7/2019 n. 1523; T.A.R. Puglia Bari, sez. III – 25/9/2019 n. 1218).

È stato da tempo chiarito che costituisce jus receptum quello per cui il divieto di incremento di volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e di altro tipo, costituendo opera valutabile anche la realizzazione di un garage interrato con accesso all’esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 14/5/2019 n. 2539 e la giurisprudenza di secondo grado ivi citata).

Un portico integra la nozione di volume rilevante ai fini dell’accertamento di compatibilità paesistica.

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Sul volume interrato, vale il canone secondo cui il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno (cfr. T.A.R. Abruzzo Pescara – 7/10/2019 n. 235; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I – 31/5/2017 n. 874; Consiglio di Stato, sez. VI – 23/4/2019 n. 257, ad avviso del quale non è consentito all’interprete ampliare la portata della norma di cui all’art. 167 comma 4, che costituisce eccezione al principio generale delle necessità del previo assenso, per ammettere fattispecie letteralmente, e senza distinzione alcuna, escluse; cfr. anche T.A.R. Campania Napoli, sez. VI – 15/10/2019 n. 4888).

Infatti, la realizzazione di un volume interrato determina inevitabilmente una non trascurabile alterazione dello stato dei luoghi, sicché la scelta legislativa di precludere l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria si pone in perfetta coerenza con la regola della non sanabilità ex post degli abusi commessi in zona vincolata, fatta eccezione per le poche ipotesi, oggetto di elencazione tassativa, che riguardano interventi effettivamente privi di impatto sull’assetto del bene vincolato (T.A.R. Liguria, sez. I – 22/5/2019 n. 468). In buona sostanza, l’irrilevanza paesaggistica dei volumi interrati è smentita da unanimi approdi giurisprudenziali, secondo cui il divieto di sanatoria si applica anche nei confronti di questo tipo di interventi realizzati senza titolo, a nulla rilevando il fatto che essi non rappresentino un ostacolo o una limitazione per le visuali panoramiche (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII – 14/6/2019 n. 3288).

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Scelte urbanistiche e connotazione di ampia discrezionalità

TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 20 febbraio 2020 n. 149

Il disegno urbanistico definito da uno strumento di pianificazione generale o da una sua variante costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità

In linea generale, giova ricordare che la giurisprudenza amministrativa ha costantemente e da tempo precisato (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 25 giugno 2019, n. 4343) che il disegno urbanistico definito da uno strumento di pianificazione generale o da una sua variante costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, che rispecchia delle scelte riguardanti non solo l’organizzazione del territorio, ma anche il quadro assai più vasto delle opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico (Consiglio di Stato, sez. IV, 1 agosto 2018, n. 4734). Le scelte urbanistiche configurano dunque valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo i casi in cui siano inficiate da errori di fatto, violazioni procedurali, illogicità abnormi o siano confliggenti con particolari situazioni che abbiano dato luogo ad aspettative qualificate (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821).

Si è da tempo ritenuto, inoltre, che l’onere di motivazione che deve essere assolto dall’Amministrazione in sede di pianificazione del territorio sia di carattere generale e pertanto possa essere soddisfatto attraverso l’indicazione dei criteri sottesi alle scelte compiute (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 25 maggio 2016, n. 2221).

Le scelte urbanistiche, inoltre, non sono nemmeno condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (piano di lottizzazione, piano particolareggiato, piano attuativo) approvato o convenzionato, o quantomeno adottato e tale quindi da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione.

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Annullamento DIA/SCIA per falsa rappresentazione da parte del privato, che limite temporale?

TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 18 febbraio 2020 n. 774

Sempre annullabile, senza limiti di tempo, una DIA/SCIA in cui la rappresentazione dei fatti compiuta dal privato sia tale da aver indotto in errore il Comune circa la liceità dell’intervento edilizio

Come affermato in precedenza dalla giurisprudenza (TAR Liguria, sez. I, sent. 29 maggio 2019, n. 501), è legittimo il provvedimento con cui l’Amministrazione annulla — oltre il termine di 18 mesi — gli effetti di una d.i.a. nel caso in cui la rappresentazione dei fatti compiuta dal privato sia tale da aver indotto in errore il Comune circa la liceità dell’intervento edilizio.

La giurisprudenza ha più volte chiarito che, in materia di DIA o SCIA, la pubblica Amministrazione mantiene il potere di verificare la sussistenza in concreto di tutti i requisiti e presupposti per l’esercizio dell’attività comunicata dal privato: quindi, entro il termine legale ogni denuncia/segnalazione può essere assoggettata al potere di verifica della conformità a legge dell’attività denunciata e all’adozione di strumenti inibitori; decorso tale termine, poiché presupposto indefettibile perché la d.i.a o s.c.i.a. possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell’autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all’Amministrazione, sussiste comunque il potere di inibire l’attività dichiarata.” (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 25 luglio 2016, n. 3869).

Inoltre, data la non veritiera prospettazione delle circostanze di fatto e diritto del privato sulla volumetria dell’intervento, è escluso che in capo allo stesso possa configurarsi un affidamento legittimo, sicché l’onere motivazione gravante sull’Amministrazione si ritiene soddisfatto proprio attraverso il documentato riferimento alla non veritiera rappresentazione.

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Questi principi sono stati enunciati da Ad.pl. Cons. St. 17 ottobre 2017 n. 8, che ha stabilito che se pur vero che nella vigenza dell’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole, e altresì vero che: a) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro; b) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi); c) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.

Immobile industriale/artigianale/commerciale da usare come luogo di preghiera, serve permesso di costruire?

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 17 febbraio 2020 n. 317

Non è possibile utilizzare un immobile avente una destinazione, ancora attuale, ad ambiti industriali, artigianali, commerciali, direzionali quale luogo di preghiera in assenza di permesso di costruire

Non è possibile utilizzare un immobile avente una destinazione, ancora attuale, ad ambiti industriali, artigianali, commerciali, direzionali quale luogo di preghiera in assenza di permesso di costruire: senza tale titolo, infatti, non si può accertare l’idoneità dell’immobile a sostenere il significativo aggravio di carico urbanistico (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 8 novembre 2013, n. 2486, secondo cui la destinazione funzionale a luogo di culto può dirsi impressa allorché l’edificio costituisca un forte centro di aggregazione umana e richieda quindi, attraverso l’acquisizione del permesso di costruire, la verifica delle dotazioni di attrezzature pubbliche rapportate a detta destinazione).

La necessità del titolo edilizio per cambio di destinazione discende dalla diversità funzionale tra le attività commerciali o industriali/artigianali e quelle culturali e di culto, che rappresentano categorie urbanistiche autonome, cui si correla un differente carico insediativo, certamente maggiore per le seconde (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, II, 30 settembre 2019, n. 2053; 18 giugno 2019, n. 1411).

Difatti, il fondamento di quanto in precedenza sostenuto è quello di consentire all’Amministrazione comunale poter controllare (ex ante) la conformità alla disciplina urbanistica delle strutture che, essendo suscettibili di richiamare un notevole afflusso di persone, comportano un conseguente notevole aggravio di carico urbanistico sul territorio (Consiglio di Stato, VI, 5 luglio 2019, n. 4681).

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Pratica edilizia irreperibile, quando è legittimo il diniego di accesso?

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 20 febbraio 2020 n. 343

È illegittimo il diniego di accesso ad una pratica edilizia fondato unicamente sulla mera dichiarazione di irreperibilità dei documenti oggetto della richiesta ostensiva, senza dare puntuale conto delle modalità di conservazione degli atti invocati in visione, delle ragioni del loro smarrimento e delle ricerche in concreto compiute

Per costante giurisprudenza, alla stregua del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l’esercizio del relativo diritto non può che riguardare, per evidenti motivi di buon senso e ragionevolezza, i documenti esistenti e non anche quelli distrutti o comunque irreperibili (v. tra le altre, TAR Campania, Napoli, Sez. V, 3 luglio 2018 n. 4411), non essendo tuttavia sufficiente – al fine di dimostrare l’oggettiva impossibilità di consentire il diritto di accesso e quindi di sottrarsi agli obblighi tipicamente incombenti sull’amministrazione in base alla normativa primaria in tema di accesso – la mera e indimostrata affermazione in ordine all’indisponibilità degli atti quale mera conseguenza del tempo trascorso e delle modifiche organizzative medio tempore succedutesi, in quanto spetta all’Amministrazione destinataria dell’istanza di accesso l’indicazione, sotto la propria responsabilità, degli atti inesistenti o indisponibili che non è in grado di esibire, con l’obbligo di dare dettagliato conto delle ragioni concrete di tale impossibilità (v. Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2013 n. 892).

Occupandosi di casi di dichiarata irreperibilità dei documenti oggetto di istanza di accesso, la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare che in simili situazioni l’Amministrazione è tenuta ad eseguire con la massima accuratezza e diligenza sollecite ricerche per rinvenire i documenti chiesti in visione – destinando all’uopo idonee risorse in termini di personale e tempo –, e qualora, ciò nonostante, la documentazione non venisse reperita, deve estendere le relative indagini, anche con le opportune segnalazioni e denunce all’Autorità giudiziaria, presso altre Amministrazioni che fossero in possesso di copia della documentazione richiesta, per poi – in caso di ulteriore esito negativo delle ricerche – dare conto al privato delle ragioni dell’impossibilità di ricostruire gli atti mancanti, delle eventuali responsabilità connesse a tale mancanza (smarrimento, sottrazione, ecc.) e dell’adozione degli atti di natura archivistica che accertino lo smarrimento/irreperibilità in via definitiva dei documenti medesimi (v. sentt. n. 2587 del 15 novembre 2018 e n. 1255 del 31 maggio 2019).

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È illegittimo il diniego di accesso ad una pratica edilizia fondato unicamente sulla mera dichiarazione di irreperibilità dei documenti oggetto della richiesta ostensiva, senza dare puntuale conto delle modalità di conservazione degli atti invocati in visione, delle ragioni del loro smarrimento e delle ricerche in concreto compiute.

L’ente, perciò, nel gestire una richiesta di accesso ad una pratica edilizia, se non riesce ad individuare i documenti, deve attivare ogni iniziativa utile a reperire la restante documentazione richiesta dall’interessato, con l’obbligo di acquisire attestazioni formali dei Responsabili degli uffici interessati circa l’effettuazione delle ricerche compiute e le ragioni dell’eventuale irreperibilità della documentazione in questione, all’esito di un’indagine esaustiva e completa, certificata da chi ha la competenza per farlo.

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