Cambio destinazione uso da chiesa (sconsacrata) a banca, che titolo serve?

Nella rassegna sentenze di oggi anche: chiusura di un pozzo luce, che titolo edilizio è necessario? E per una tettoia? Una terrazza a sbalzo senza pareti perimetrali esprime superficie?

Mario Petrulli 21/01/20
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Eccoci all’appuntamento del martedì con la selezione delle massime di sentenze per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate la scorsa settimana: in primo piano, cambio destinazione d’uso da edificio di culto (sconsacrato) a sede direzionale-bancaria, che tipo di intervento è? Oneri concessori, l’obbligazione di pagamento grava sull’acquirente in caso di trasferimento del bene? Tettoia, quale titolo edilizio è necessario? E per chiudere un pozzo luce? Infine, una terrazza a sbalzo e senza pareti perimetrali, esprime superficie?

Cambio destinazione uso da edificio di culto a banca, che titolo serve?

TAR Veneto, sez. II, sent. 15 gennaio 2020 n. 40

La modificazione di destinazione di un immobile, attuata mediante opere, da edificio di culto sconsacrato a sede di un’attività privata con funzione direzionale-bancaria, rientra nella categoria della ristrutturazione edilizia necessitante del permesso di costruire

In via generale, “ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c), T.U. Edilizia, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche del volume, dei prospetti ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (ristrutturazione edilizia), anche se di dimensioni modeste. In via residuale, la SCIA assiste, invece, i restanti interventi di ristrutturazione c.d. leggera (compresi gli interventi di demolizione e ricostruzione che non rispettino la sagoma dell’edificio preesistente)” (T.A.R. Campania, sez. IV, 05/02/2019, n. 6209).

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Più precisamente, “gli interventi edilizi che alterino l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti o la modifica e ridistribuzione dei volumi, non possono configurarsi né come manutenzione straordinaria né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia. Non può essere ascritto, pertanto, al restauro o risanamento conservativo un intervento edilizio implicante un incremento di superficie o un mutamento di sagome o di destinazione d’uso che devono essere, in ogni caso, preceduti dall’acquisizione del relativo titolo edilizio, ravvisabile nel c.d. permesso di costruire” (T.A.R. Campania, sez. III, 03/04/2018, n. 2141).

In questo stesso senso, “per la normativa edilizia (art. 3 comma 1, lettere a e c del T.U. n. 380 del 2001, in combinato disposto con l’art. 10 comma 1, lett. c e con l’art. 23 ter del medesimo T.U.), le opere interne e gli interventi di ristrutturazione urbanistica, come pure quelli di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire ogni qualvolta comportino mutamento di destinazione d’uso tra due categorie funzionalmente autonome” (T.A.R. Lazio, sez. II, 04/04/2017, n. 4225).

Applicando i principi giurisprudenziali predetti, si è certamente dinanzi ad una ipotesi di ristrutturazione edilizia ex art. 10, comma 1, lett. c), del testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) nel caso di modificazione di destinazione di un immobile sito in zona A (centro storico), attuata mediante opere, da edificio di culto sconsacrato a sede di un’attività privata con funzione direzionale-bancaria, eseguibile con permesso di costruire o DIA/SCIA alternativa al permesso di costruire.

Oneri concessori, l’obbligazione di pagamento grava sull’acquirente in caso di trasferimento del bene?

TAR Sardegna, sez. I, sent. 13 gennaio 2020 n. 27

L’obbligazione di pagamento degli oneri concessori gravano sull’acquirente in caso di trasferimento del bene

Il costante orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, 30 novembre 2011, n. 6333; sez. IV, 23 novembre 2018, n. 6624) e della Cassazione (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2013, n. 16401) afferma la natura reale o “propter rem” delle obbligazioni di pagamento degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, sicché le stesse, caratterizzate dalla stretta inerenza alla res e destinate a circolare unitamente ad essa per il carattere dell’ambulatorietà che le contraddistingue, gravano anche sull’acquirente nel caso di trasferimento del bene.

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Tettoia, che titolo edilizio è necessario?

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 16 gennaio 2020 n. 91

Non è una mera pertinenza, e richiede il permesso di costruire, una tettoia, con dimensioni in pianta di 3,90 m x 2,15 m ed altezza massima di m 2,90, costituita da struttura in legno lamellare e copertura in tegole, addossata a due muri di contenimento preesistenti ed ospitante un angolo cottura esterno, con annesso lavello e piano di appoggio

La giurisprudenza ha chiarito che la tettoia ha autonomia solo civilisticamente pertinenziale, e non individuale e funzionale, entrando a far parte integrante di una costruzione preesistente, a guisa di opera nuova, la cui realizzazione comporta una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore: essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3490/2006; TAR Campania, Napoli, sez. VII, n. 16226/2007; n. 16493/2007; n. 361/2008; sez. III, n. 10059/2008; sez. VI, n. 21346/2008; sez. II, n. 492/2009; sez. VIII, n. 2438/2009; sez. II, n. 8320/2009; sez. VIII, n. 883/2914; Salerno, sez. II, n. 9/2015; Napoli, sez. III, n. 1351/2017; TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 6544/2007; TAR Abruzzo, Pescara, n. 98/2008; TAR Puglia, Lecce, sez. III, n. 3323/2008).

In argomento ha, inoltre, precisato che «La nozione civilistica di pertinenza differisce da quella a fini urbanistico-edilizi. La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 2 gennaio 2018, n. 24, 2 febbraio 2017, n. 694, 4 gennaio 2016, n. 19, 11 marzo 2014, n. 3952; sez. V, n. 817/2013; sez. IV, n. 615/2012) […]

[…] A differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un ‘nuovo volume’ (v. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615). Nell’ordinamento statale, infatti, vige il principio generale per il quale occorre il rilascio della concessione edilizia (o del titolo avente efficacia equivalente) quando si tratti di un ‘manufatto edilizio’ (cfr. Cons. stato, sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952). Fatta salva una diversa normativa regionale o comunale, ai fini edilizi manca la natura pertinenziale quando sia realizzato un nuovo volume, su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata una qualsiasi opera come, ad esempio, una tettoia, che ne alteri la sagoma» (Cons. Stato, sez. VI, n. 904/2019; sul punto, cfr. anche, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 19/2016; n. 1155/2017; TAR Lazio, Roma, sez. II, n. 471/2015; TAR Umbria, Perugia, n. 377/2015; TAR Campania, Salerno, sez. I, n. 1816/2016; Napoli, sez. VI, n. 732/2017; sez. VII, n. 2967/2018; Salerno, sez. II, n. 1/2019).

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Conseguentemente, non è una mera pertinenza, e richiede il permesso di costruire, una tettoia, con dimensioni in pianta di 3,90 m x 2,15 m ed altezza massima di m 2,90, costituita da struttura in legno lamellare e copertura in tegole, addossata a due muri di contenimento preesistenti ed ospitante un angolo cottura esterno, con annesso lavello e piano di appoggio.

Chiusura di un pozzo luce, quale titolo edilizio serve?

TAR Puglia, Lecce, sez. III, sent. 13 gennaio 2020 n. 22

Serve il permesso di costruire per la chiusura di un pozzo luce

Costituisce principio consolidato in giurisprudenza che la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula un uso specifico ma temporalmente limitato del bene: infatti, ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, che esclude la necessità del rilascio di un titolo edilizio, si deve prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data dal manufatto dal costruttore e si deve, invece, valutare l’opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale, con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (ex multis T.A.R. Campania – Napoli 10.6.2011 n. 3114).

Per individuare la natura precaria di un’opera, si deve quindi seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili (fra le decisioni più recenti cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1291 del 1° aprile 2016; T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione Terza, 4 febbraio 2019, n. 171).

È soggetta al regime del permesso di costruire la chiusura di un pozzo luce avente le dimensioni di mt. 2,40 x 2,40, mediante la posa in opera di pannelli in policarbonato posti ad un’altezza media di mt. 2,5 circa rispetto al piano di calpestio, ossia di spazio interno precedentemente aperto, con trasformazione dell’edificio in termini di volume e superficie, né potendo assumere rilievo la natura dei materiali utilizzati, considerato che la chiusura, anche qualora effettuata con pannelli in policarbonato, costituisce, comunque, un aumento volumetrico.

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Una terrazza a sbalzo e senza pareti perimetrali, esprime superficie?

TAR Liguria, sez. I, sent. 13 gennaio 2020 n. 17

Una terrazza a sbalzo e senza pareti perimetrali è priva di consistenza volumetrica e non esprime superficie

Una terrazza a sbalzo e senza pareti perimetrali è priva di consistenza volumetrica; essa non esprime neppure superficie utile in quanto, giusta le indicazioni formulate dal Ministero dei lavori pubblici con la circolare n. 820 del 23 luglio 1961, tale nozione identifica la somma delle superfici di pavimento dei singoli vani di un alloggio, con esclusione, tra gli altri, dei balconi e delle terrazze (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2017, n. 66).

Di conseguenza, è illegittimo il diniego di un nulla osta da parte dell’Ente Parco motivato sulla circostanza che una terrazza a sbalzo produce un aumento di volume e di superficie.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

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