Abuso edilizio su suolo pubblico, perchè è particolarmente rischioso?

Nella rassegna di questa settimana, una serie di sentenze molto interessanti: verande, tettoie, distanze, cambio d’uso e, appunto, abuso edilizio su suolo pubblico

Mario Petrulli 21/05/19
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Ecco le sentenze più interessanti pubblicate la scorsa settimana. Gli argomenti sono i seguenti: quale titolo edilizio bisogna richiedere per un intervento su area pubblica; che rilevanza rilevanza edilizia ha e quele titolo edilizio è necessario per la trasformazione di un seminario in casa religiosa di ospitalità; quale titolo edilizio è necessario per una veranda; per un abuso su suolo pubblico, quali conseguenze si pagano?; che rilevanza ha una tettoia in termini di rispetto della distanza.

Abuso edilizio su suolo pubblico

Prima la diffida, poi la demolizione

TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 16 maggio 2019 n. 1115
La diffida deve necessariamente precedere l’ordinanza di demolizione nel caso di abuso edilizio su suolo pubblico

In caso di abuso realizzato su suoli appartenenti a Enti pubblici, l’ordinanza-ingiunzione deve essere preceduta, ex art. 35 D.P.R. n. 380/2001, da una diffida non rinnovabile.
L’omissione dell’atto endoprocedimentale rende illegittimo l’atto conclusivo del procedimento (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sentenza n. 1050/2018).

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Intervento su area pubblica: cosa serve?

TAR Puglia, Lecce, sez. III, sent. 14 maggio 2019 n. 776
L’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico è necessario e indefettibile presupposto logico/giuridico per il rilascio (e, finanche, per la richiesta) del titolo edilizio per la realizzazione di qualsivoglia intervento su area pubblica

L’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico è necessario e indefettibile presupposto logico/giuridico per il rilascio (e, finanche, per la richiesta) del titolo edilizio per la realizzazione di qualsivoglia intervento su area pubblica, e/o (parimenti) per la relativa segnalazione; sicché, in mancanza di tale prodromica autorizzazione, il richiedente risulta del tutto privo del titolo di legittimazione.

E infatti, qualsivoglia titolo abilitativo edilizio può essere rilasciato, esclusivamente, al proprietario o a chi abbia titolo per richiederlo (cfr. articolo 11 D.P.R. 380/2001). Pertanto, un valido titolo per l’occupazione del suolo pubblico su cui poggia la struttura edilizia in questione è presupposto imprescindibile ed indifferibile per il rilascio della richiesta.

Veranda: che titolo edilizio è necessario?

TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 14 maggio 2019 n. 2567
Serve il permesso di costruire per la veranda

La realizzazione di una veranda rappresenta un intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio con incremento delle superfici e dei volumi, come tale, subordinato a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, co., D.P.R. n. 380 del 2001, non essendosi, al riguardo, in giurisprudenza mai dubitato che “Gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumentrica e architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzati, quali le verande edificate sulla balconata di un appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio del permesso di costruire.

Ciò in quanto, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico – giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata a non sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile” (T.A.R. Napoli sez. IV, 15/01/2015, n. 259).

In particolare la chiusura di una veranda, a prescindere dalla natura dei materiali all’uopo utilizzati, costituisce comunque un aumento volumetrico, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, atteso che, in materia urbanistico – edilizia, il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati (Cfr. T.A.R. Napoli sez. IV, 15/01/2015, n. 259).

Tettoia e distanze in edilizia: che rapporto c’è?

TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 16 maggio 2019 n. 986
La tettoia è un manufatto rilevante ai fini del rispetto dei limiti in materia di distanza

Una tettoia in legno (al servizio e di pertinenza di una unità immobiliare), aperta su tre lati, dalle dimensioni di ml 7,20 x 4,50 ml ed avente una altezza di ml 2,50, ubicata al piano terra del fabbricato, è un manufatto rilevante ai fini del rispetto dei limiti in materia di distanza.

E infatti, come affermato dalla giurisprudenza, “in relazione alle prescrizioni di cui all’art. 873 c.c., costituisce costruzione anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, sicché – al fine di verificare l’osservanza o meno delle distanze legali – la misura deve esser effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (nella specie, tettoia)” (Corte di Cassazione, Sez. II, 14 marzo 2011, n. 5934).

Da Seminario a casa religiosa di ospitalità

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 14 maggio 2019, n. 754
La trasformazione di un ex seminario-scuola in una casa religiosa di ospitalità integra gli estremi del mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante tra categorie funzionali disomogenee, con conseguente necessità del permesso di costruire e insufficienza di una mera SCIA.

La trasformazione di un ex seminario scuola in una casa religiosa di ospitalità integra gli estremi del mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante tra categorie funzionali disomogenee, con conseguente necessità del permesso di costruire e insufficienza di una mera SCIA.

E infatti, i seminari, al pari delle scuole, sono istituti religiosi la cui attività preminente è quella di prestazione del servizio di istruzione a tutti gli alunni iscritti, ai fini della formazione spirituale, umanistica e scientifica di coloro i quali decidono di intraprendere la strada del sacerdozio. Tale destinazione è riconducibile, se proprio non all’orbita delle opere di urbanizzazione secondaria ex art. 16, comma 8, del d.p.r. n. 380/2001, alla categoria funzionale produttivo-direzionale, propria degli uffici, di cui alla lett. b dell’art. 23 ter, comma 1, del d.p.r. 380/2001 ovvero, al più, alla categoria funzionale commerciale di cui alla precedente lett. c)”.

Ancora, la tipologia ‘casa religiosa di ospitalità’, fuoriesce “di certo, del novero delle opere di urbanizzazione secondaria e sia riconducibile, comunque, alla categoria funzionale turistico-ricettiva di cui alla lett. a bis dell’art. 23 ter, comma 1, del d.p.r. 380/2001.

Come è noto, deve considerarsi “urbanisticamente rilevante” quel mutamento di destinazione d’uso “tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale” (art. 23 ter del Testo Unico Edilizia – d.p.r. n. 380/2001): il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante è, cioè, quello che comporta il passaggio dall’una all’altra delle quattro categorie, funzionalmente autonome, indicate dalla citata disposizione, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere.

Ebbene, alla stregua delle superiori coordinate normative ed ermeneutiche, risulta oggettivamente innegabile che, destinando il Seminario a casa religiosa di ospitalità, si determinerebbe un cambio destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, in quanto si transiterebbe, se non proprio dal novero delle opere di urbanizzazione secondaria, da una categoria funzionale autonoma di tipo produttivo-direzionale (o, al più, commerciale) ad una distinta, autonoma e disomogenea categoria funzionale di tipo turistico-ricettiva.

Tale mutamento di destinazione d’uso inciderebbe in modo significativo sugli standard urbanistici, comportando un maggior carico urbanistico sul tessuto urbano e un aggravio di servizi per l’amministrazione comunale, in quanto si passerebbe da una destinazione (scuola), che prevede la presenza di studenti soltanto per alcune ore al giorno e soltanto per nove mesi all’anno, ad un’altra (casa religiosa di ospitalità), aperta a tutti i turisti e pellegrini che intendono soggiornare tutto l’anno. Dai superiori approdi discende, quindi, l’inidoneità abilitativa di una SCIA e la necessità del permesso di costruire, in virtù del combinato disposto degli artt. 23 ter e 32, comma 1, lett. a, del Testo Unico Edilizia.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

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Mario Petrulli

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