
A seguito dei tragici eventi calamitosi che recentemente sono balzati agli onori della cronaca, abbiamo assistito ad infiniti dibattiti televisivi e sentito pareri più o meno illustri di svariati politici, “esperti” e consulenti.
In questo marasma di emozioni, solidarietà, sofferenza e difficoltà abbiamo avuto modo di tracciare un quadro più o meno realistico dello “status quo”, evidenziando l’indubbia vulnerabilità al sisma di molti manufatti edilizi e di gran parte dell’edificato nazionale.
Il problema però si è palesato quando alcuni pseudo-esperti hanno proferito pareri non troppo tecnici che hanno creato confusione e diffuso una inesatta informazione a misura dell’utente privo di formazione tecnica in materia di progettazione strutturale e statica.
Vediamo di chiarire alcuni aspetti di importanza fondamentale per meglio comprendere quanto accaduto:
E’ vero che SOLO i materiali “naturali” resistono al terremoto? (vedi “Solo i materiali naturali resistono al terremoto“)
NO!
Il legno, come l’acciaio ed il C.C.A. hanno ciascuno le proprie peculiarità in termini di resistenza, elasticità e reazione alle sollecitazioni (alcuni materiali resistono meglio alla compressione, altri al taglio, alla flessione, alla torsione o a sollecitazioni composite come la flesso torsione…etc.).
Non esiste quindi UN materiale eletto o UN solo materiale che sia adatto allo scopo di realizzare edifici e manufatti resistenti al sisma: esiste se mai un BUON progettista (e direttore dei lavori) che, ben conoscendo i materiali, è in grado di progettare e dimensionare le strutture calcolandole e verificandole correttamente affinchè esse resistano alle sollecitazioni indotte dalle azioni orizzontali.
Peraltro quando non erano ancora in vigore le normative odierne sull’antisismica, i prefabbricati come i capannoni e i siti industriali/produttivi non avevano cerniere nei punti di giunzione tra pilastri e travi, ergo con strutture semplicemente appoggiate appare lapalissiano anche a un non tecnico che tali manufatti fossero progettati/concepiti con l’intento e la finalità di reagire alle sole forze verticali, perpendicolari al terreno (peso proprio e sovraccarichi) e non a quelle orizzontali e parallele al terreno, indotte da un eventuale terremoto.
Quando invece la struttura è in legno (anche non il nobile, resistentissimo e costoso lamellare), lo scheletro portante e le giunzioni tra elementi orizzontali e verticali vengono sempre e comunque collegate (è rarissimo che una struttura portante in materiale ligneo sia semplicemente appoggiata in quanto il peso proprio della stessa non fornisce garanzia alcuna di mantenere la posizione in cui la si è collocata).
Poi va da sè che l’applicazione del metodo semi probabilistico agli stati limite e la gerarchia delle resistenze così come l’analisi pushover o l’impiego di smorzatori e qualsivoglia trovato siano senza dubbio alcuno un eccezionale strumento per una progettazione a margine di sicurezza…
…ma ci sono comunque edifici, anche datati e tecnologicamente obsoleti, che hanno resistito e reagito egregiamente alle azioni del sisma.
Gli esempi più fulgidi sono quelli a pareti/setti portanti, le strutture iperstatiche e tutti i manufatti che presentavano gli elementi di raccordo e giunzione tra forze orizzontali e verticali ben raccordati e solidarizzati l’uno con l’altro (attenzione analoga andrebbe adottata anche ai raccordi affinchè non si inneschi il pericoloso fenomeno di “martellamento”).
Il dato di fatto che il legno abbia proprietà differenti dagli altri materiali è ovvio, la ragione per cui i manufatti lignei (non tutti, si badi bene) si siano dimostrati più resistenti di altri non è pertanto solo insita nelle proprietà e caratteristiche fisiche e statiche del legno (di cui quasi tutti conoscono leggerezza e comportamento elastico) ma anche e soprattutto negli ancoraggi tra loro solidali delle cerniere che collegano strutture orizzontali e verticali.
E’ altresì noto che i capannoni prefabbricati in precompresso, prima dell’avvento delle NTC e dei criteri di progettazione antisismici, venissero nel 99,99999% dei casi edificati e messi in opera per semplice appoggio.
Infine appare del tutto illogico presumere che il CLS abbia comportamento elastico, difatti è arcinoto che sia un materiale la cui peculiarità sia la resistenza a COMPRESSIONE.
Va anche corretta la definizione secondo cui il legno sia un materiale naturale e sostenibile: certamente nel caso di legno vergine ciò è senz’altro vero, ma possiamo definirlo “ecosostenibile” solo se esso sia coltivato in modo rinnovabile da filiera certificata.
Tale considerazione infatti non è altrettanto valida ed estendibile per il lamellare che viene impregnato di resine chimiche e collanti in autoclave per far aderire le lamine e conferirgli la sua straordinaria (e peculiare) resistenza ed elasticità.
Spesso il buon senso anticipa certamente le norme e le leggi, però alcune affermazioni e leggerezze posso instillare dubbi e veicolare pericolose “leggende metropolitane” che sono dannose per chi non ha cognizione in materia.
perchè in fatto di IMU erano competenti ??? neanche il ministro sà che la rendita catastale è a vani e non a metro quadrato …. definirlo un delinquente è fargli un complimento !!! …. se poi analizziamo i particolari è evidente che le zone popolari ( centro città ) sono classificate molto più care delle zone residenziali prestigiose ( periferiche )
Sono pienamente d’accordo sul contenuto dell’articolo. Per quanto riguarda i capannoni dissestati occorre tenere presente la necessità, dettata dai tempi che dovrebbero essere ristretti per motivi economici, di intervenire subito conferendo loro un adeguamento sismico con sistemi ampiamente conosciuti e collaudati dall’esperienza. La burocrazia che si cela dietro le Norme Tecniche senza volerlo produce del danno nei casi di emeregenza; va bene se si opera in fase di prevenzione e recupero del costruito.
Nell’ultimo capoverso dell’articolo l’affernazione “Lamellare che viene impregnato di resine chimiche e collanti in autoclave per far aderire le lamine…” non è corretta in quanto le tavole (lamine) di legno, che costituiranno la trave, non sono “impregnate” di resine, se non in rari casi di utilizzi particolari, ma, semplicemente, sulle facce si spalma l’adesivo idoneo per poi procedere con l’applicazione della pressione fino al suo indurimento. Quindi niente impregnazione in autoclave!
In realtà è corretto affermare che “non tutto il legno lamellare sia adeso in autoclave” ma non è nemmeno vero che non esista lamellare autoclavato, basta leggere le specifiche degli svariati manufatti recanti la dicitura “legno lamellare autoclavato classe GL24”.
Il processo di adesione delle lamelle è senz’altro nella stragrande maggioranza dei casi effettuato per spalmatura e pressione delle lamelle; le operazioni di incollaggio costituiscono una fra le operazioni più importanti e delicate dal punto di vista operativo e tecnologico.
Gli incollanti devono instaurare legami intermolecolari fra la colla stessa e le sostanze che costituiscono il legno, cioè le fibre di cellulosa e lignina, in modo da garantire, nel piano di incollaggio, lo stesso legame della corrispondente essenza legnosa.
Le resistenze fisico-meccaniche del collante devono essere almeno eguali a quelle del legno, in modo che i piani di incollaggio non siano piani preferenziali di rottura.
Le colle più comunemente usate nella pratica costruttiva sono:
– Colle a base di urea-formolo:
di colore bianco, hanno una tenuta mediocre, soprattutto se sottoposte a elevate temperature e quindi in presenza di notevoli escursioni termiche. Per contro presentano un costo abbastanza vantaggioso. Sconsigliabili per esterni e per elementi strutturali esposti agli agenti atmosferici.
– Colle a base di resorcina-formaldeide:
di colore rosso-bruno, sono tra le più usate perché più resistenti all’aggressione degli agenti atmosferici, specialmente in climi caldo-umidi, anche se sono le più onerose per costi fra le colle del legno; consentono ottime prestazioni in ambienti difficili e mantengono le proprie caratteristiche nel tempo.
– Colle a base di melammina-urea-formaldeide:
ultimamente molto utilizzate, queste colle sembrano offrire caratteristiche meccaniche assimilabili a quelle delle colle resorciniche e sono di colore bianco. La normativa attuale non consente comunque il loro utilizzo per strutture portanti all’aperto.
L’applicazione della colla sulle lamelle avviene automaticamente ed il sistema attualmente più utilizzato è quello della cosiddetta “incollatrice a fili” che consente di ottenere la realizzazione di un piano di incollaggio con distribuzione abbastanza uniforme della colla.
Grazie per la puntualizzazione che mi ha permesso di approfondire alcuni punti su questo splendido materiale.