Volumi interrati, nuova sentenza: vietato aumentarli

Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi tipo di ampliamento.

Mario Petrulli 19/02/19
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Ecco la selezione delle sentenze pubblicate la scorsa settimana; gli argomenti oggetto delle pronunce sono i seguenti:
Volumi interrati: compatibilità paesaggistica postuma;
piscina pertinenziale: compatibilità con la zona agricola;
certificato di destinazione urbanistica: mancato rilascio;
– effetti del piano di recupero;
titolo edilizio in sanatoria: calcolo oneri concessori.

Volumi interrati: compatibilità paesaggistica postuma

TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 12 febbraio 2019 n. 762

In materia di compatibilità paesaggistica postuma, il divieto di incremento dei volumi esistenti si riferisce anche ai volumi interrati

A nulla rileva che i manufatti siano seminterrati, essendo il regime della tutela paesaggistica indifferente alla circostanza che trattasi di volumi fuori terra o interrati, che in ogni caso non possono conseguire l’assenso paesaggistico se realizzati in assenza della preventiva autorizzazione (cfr., in tema di compatibilità paesaggistica postuma, la sentenza della Sezione del 30/8/2018 n. 5309: “il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce infatti a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno…”).

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Piscina pertinenziale: compatibilità con la zona agricola

TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent, 14 febbraio 2019 n. 433

Una piscina pertinenziale può essere realizzata in zona agricola

La giurisprudenza pacificamente riconosce l’assentibilità, in quanto pertinenziale rispetto ad edificio residenziale di una piscina realizzata in zona agricola, finanche in sede di sanatoria (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, sentenza n. 931/2018).

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Certificato di destinazione urbanistica: mancato rilascio

TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 12 febbraio 2019 n. 766

Illegittimo il silenzio dell’ufficio tecnico comunale sulla richiesta di rilascio del certificato di destinazione urbanistica da parte dell’interessato

Il certificato di destinazione urbanistica, pur rientrando nella categoria degli atti di certificazione redatti da pubblico ufficiale e non avendo, pertanto, natura provvedimentale ma dichiarativa di situazioni giuridiche già esistenti (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 febbraio 2014 n. 505; TAR Puglia Bari, Sez. III, 3 gennaio 2018 n. 5), costituisce comunque un atto amministrativo di manifestazione del potere certificativo della pubblica autorità, cui sono ricollegabili posizioni di interesse legittimo in capo ai privati richiedenti la certificazione e correlativi obblighi di “provvedere” in capo all’amministrazione, da intendere, questi ultimi, evidentemente in senso lato come obblighi di pronunciamento espresso (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 25 marzo 2013 n. 450).

Peraltro, nella presente materia, l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi in maniera espressa sull’istanza del privato assume ancora maggiore consistenza a cagione dell’indispensabilità del certificato di destinazione urbanistica ai fini della regolare stipula (o sanatoria) degli atti di compravendita di terreni, come si evince dalla piana lettura dell’art. 30, commi 2 e ss., del d.P.R. n. 380/2001: infatti tale normativa, rimettendo al libero apprezzamento dell’interessato la possibilità di produrre, in alternativa, la dichiarazione sostitutiva del certificato non emesso, non esclude che costui possa insistere nel pretendere il rilascio della più attendibile certificazione urbanistica comunale.

Ai sensi del richiamato quadro normativo, sussiste l’obbligo dell’amministrazione comunale di provvedere in merito all’istanza di rilascio del certificato in questione, concludendo il relativo procedimento mediante un atto espresso e motivato, in applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990.

Piano di recupero: effetti

TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 12 febbraio 2019 n. 268

Il piano di recupero esplica gli stessi effetti e reca la medesima disciplina del piano particolareggiato esecutivo

Il piano di recupero esplica gli stessi effetti e rechi dunque la medesima disciplina del piano particolareggiato esecutivo.
L’assunto è confortato da diversi precedenti giurisprudenziali a tenore dei quali “I piani di cui agli artt. 28 e 30 della legge 5 agosto 1978, n. 457, nati per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, rivestono natura di “strumento attuativo” del piano regolatore generale, e come tali restano gerarchicamente subordinati alla strumentazione urbanistica di rango superiore.

Adottati ed approvati dai Consigli Comunali, sono assimilabili, quanto a struttura e funzione, ai piani particolareggiati” (T.A.R. Campania – Salerno, Sez. II, 30/07/2012, n. 1542), nonché “I piani di recupero, nella configurazione ad essi data dagli artt. 28 e 30, l. 5 agosto 1978, n. 457, sono strumenti di pianificazione urbanistica a finalità attuative e di livello gerarchicamente subordinato ai quali si riconnettono obblighi di trasformazione edilizia e urbanistica per i proprietari e per il Comune e non hanno, quindi, una natura meramente programmatica; di conseguenza è ad essi applicabile, per esplicita volontà di legge, la disciplina statale per i piani particolareggiati”. (T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. II, 09/11/2012, n. 2730).

Titolo edilizio in sanatoria: calcolo oneri concessori

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 11 febbraio 2019 n. 1788

Ai fini del calcolo degli oneri concessori, vanno applicate le tariffe vigenti al momento del rilascio del titolo edilizio in sanatoria

Ai fini del calcolo degli oneri concessori, vanno applicate le tariffe vigenti al momento del rilascio del titolo edilizio in sanatoria, anche nel caso in cui nel lasso di tempo tra la presentazione della domanda di sanatoria e il rilascio del suddetto titolo l’Amministrazione abbia aggiornato le tariffe, dovendo in tema di sanatoria edilizia aversi riguardo, quanto al momento di calcolo delle somme dovute a titolo di oblazione, alla data di presentazione della domanda di condono, mentre per gli oneri concessori alla data di rilascio del provvedimento concessorio (TAR Lazio, Roma, sent. n. 2015/14).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

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