Professionisti Pa, contributo 4% su parcella. Da CdS stop a disparità

Storica decisione del Consiglio di Stato che boccia il ricorso dei ministeri dell’Economia e del Lavoro

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Il Consiglio di Stato si è espresso per riconoscere la legittima applicazione del contributo integrativo al 4% anche per la Pubblica amministrazione. Questa pronuncia ha messo la parola fine alle disparità di trattamento tra i professionisti del settore pubblico e privato. La disparità di trattamento non riguardava, però, tutte le professioni ordinistiche, ma nello specifico quelle sorte con il Decreto legislativo 103/96. In breve, se certi professionisti come ingegneri, commercialisti e avvocati, hanno potuto applicare un contributo integrativo sopra il 2% ad ogni commessa, la stessa cosa non era ancora permessa a chimici, biologi, psicologi, infermieri ecc.

Professionisti privati e Pa: finisce la disparità

Per questo la sentenza 4062/2018, pronunciata il 3 luglio dal Consiglio di Stato ha avuto una portata storica. Bocciando il ricorso presentato dai ministeri del Lavoro e dell’Economia contro la sentenza del Tar del Lazio 966/2016, si è detto un chiaro stop alle disparità tra pubblico e privato.

Come cominciò la querelle

La contesa era iniziata nel 2013 attraverso il ricorso dell’Epap (la Cassa di previdenza pluricategoriale) al Tar a causa della mancata approvazione della delibera che avrebbe aumentato il contributo integrativo al 4% per tutti (inclusi i professionisti che lavorano nella Pa).

Tutto cominciò con l’entrata in vigore della legge Lo Presti 133/2011, che consentiva agli enti di previdenza dei professionisti (Enpab, Enpap, Enpapi, Epap, Eppi) sorti con il Dlgs 103/1996, di aumentare il contributo integrativo (applicato su ogni parcella e addebitato al cliente), fino al 5%, invece che al 2%. Il contributo in questione fino al 2011 era dedicato al finanziamento dell’esclusiva gestione dell’ente, poi con la suddetta legge, ha potuto integrare per un quarto le pensioni degli iscritti.

La legge era stata approvata perché le Casse previdenziali nate con il Decreto legislativo 103, applicavano il sistema di calcolo contributivo, che ha sia vantaggi che svantaggi. Il vantaggio è di garantire l’equilibrio finanziario dell’ente, lo svantaggio più grande è quello di elargire pensioni molto basse. La legge del 2011 cercava di rimediare proprio questo problema, ma era stata introdotta con una clausola specifica, quella di non generare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Come rilevato dal Consiglio di Stato, questo inciso era stato interpretato fino ad ora in un modo che ha permesso “un’ingiustificabile ed insanabile disparità di trattamento che finirebbe per rendere peraltro recessiva, la finalità di garantire al libero professionista.. un trattamento pensionistico adeguato”.

Redazione Tecnica

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