Sicurezza sul lavoro. Pericolo, rischio e danno: concetti connessi

Pericolo, rischio e danno sono i “pilastri” sui cui si fonda la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro. Ma come vengono definiti?

Danilo Rigoli 09/07/18
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Tra le tante spiegazioni del concetto di pericolo troviamo la seguente, ovvero quella individuata nel D.Lgs 81/2008, all’art.2, n.1, lett.r, che lo definisce come: “proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni”, dove per fattore s’intende una sostanza, un attrezzo, un metodo di lavoro, eccetera.

Pericolo: definizioni

Altre definizioni possono aiutarci a implementare quella fornita dal D.Lgs 81/2008. Infatti, secondo la norma UNI 11230, il pericolo è definito come “la causa o l’origine di un danno”, mentre nella UNI EN ISO 12100-1, esso è delineato come “potenziale sorgente di danno” oppure UNI EN 292 parte I/1991 (ritirata) “fonte di possibili lesioni o danni alla salute”, anche se qui il termine pericolo è generalmente usato insieme ad altri termini che definiscono la sua origine o la natura della lesione riferita propriamente ai pericoli di elettrocuzione, di schiacciamento. Da ultimo, nella norma OHSAS 18001, 3.4,  il pericolo è definito come “fonte o situazione potenzialmente dannosa”.

Rischio: definizioni

Il concetto di rischio è sempre espresso dal D.Lgs 81/2008, art. 2, n.1, lett.s ed è caratterizzato dalla “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alle loro combinazioni”.

Qui, oltre alla classica definizione, ne reperiamo un’altra nella norma UNI 11230, laddove definisce il rischio come “insieme della possibilità di un evento e delle sue conseguenze sugli obiettivi”, invece, nella UNI EN ISO 12100-1 il rischio è una “combinazione della probabilità di accadimento di un danno e della gravità di quel danno” e, nella OHSAS 18001, 3.4, esso è  stabilito come “combinazione della probabilità e della conseguenza del verificarsi  di uno specifico evento pericoloso”.

Qui notiamo che, mentre nella definizione del rischio nel D.Lgs 81/2008 si parla di probabilità del raggiungimento di un livello potenziale di danno, nelle altre emerge il termine “combinazione della probabilità” facendo comprendere la necessità di un’unione di più elementi per raggiungere un possibile rischio.

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La misurazione del rischio

Una doverosa nota va rivolta alla misurazione del rischio. Generalmente, la misurazione del rischio è espressa dalla formula R = P x D, dove R è il rischio, P rappresenta il pericolo, ovvero la probabilità che un evento si verifichi in un determinato spazio e/o tempo, moltiplicato per  D che identifica la magnitudo ossia l’indice di gravità delle conseguenze dannose.

Il risultato del calcolo effettuato si andrà a collocare nella matrice riportata  in figura 1 e, in base al valore ottenuto, si organizzerà una scala di priorità per gli interventi finalizzati ad aumentare il livello di sicurezza.

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Figura 1

La scala cromatica dei colori verde, giallo e rosso raffigurati nello schema di figura 1, rappresentano i vari livelli di probabilità per l’accadimento di un evento dannoso.   Il colore rosso equivale a un evento altamente probabile dove il rischio rilevato nella circostanza è  R>8 (rischio elevato), in questo caso saremo obbligati ad azionare correttivi indilazionabili; se, invece, il rischio sarà  4<=R<=8 (rischio medio) si dovranno  programmare interventi correttivi urgenti; allorquando il valore sarà  2<=R<=3 (rischio basso), si adotteranno azioni correttive tese a migliorare nel breve-medio termine la sicurezza nei luoghi di lavoro e, qualora, fosse R=1 (rischio minimo) si valuteranno, in fase di programmazione, interventi non urgenti (v. figura 2).

Sicurezza sul lavoro. Pericolo, rischio e danno: concetti connessi figura 2
Figura 2

Il danno: definizione e misurazione

Infine, il danno rappresenta una perdita o una lesione fisica o danno alla salute come viene citato nella norma UNI- EN -ISO 12100-1 [nota 1]. La “misura” del danno è rapportata alla sua gravità, infatti riscontreremo un danno gravissimo quando avremo un infortunio mortale che mette in pericolo la vita, mentre si avrà un danno grave quando l’evento comporterà un indebolimento di un organo o di un senso oppure una malattia che mette in pericolo la vita; il danno lieve lo avremo quando, a seguito di un infortunio, vi sarà una prognosi superiore a un giorno ma inferiore a quaranta e, infine, ci troveremo di fronte a un danno trascurabile, quando avremo un infortunio che non comporta lesioni rilevabili, con esiti nulli nell’arco della giornata.

Conclusioni: il triangolo della sicurezza

A mio modo di vedere, pericolo, rischio e danno vanno a formare quello che definisco il “triangolo della sicurezza”; infatti, riducendo l’esposizione al pericolo e quindi al rischio, sarà minore la probabilità di avere un danno, è qui che notiamo l’interdipendenza tra i citati parametri.

Si coglie l’occasione per affermare che pericolo e rischio non sono sinonimi, ma nel linguaggio comunemente usato, il termine pericolo viene confuso con quello di rischio. Ricordiamo che non è il pericolo in sé che danneggia il lavoratore bensì, come detto prima, è l’esposizione al pericolo che si concretizza nel rischio. A parere del sottoscritto, laddove le norme sulla prevenzione, l’informazione e la formazione hanno fallito, emerge il danno come conseguenza più o meno grave della “leggerezza” con la quale ci si approccia alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

Concludendo, bisognerà entrare sia nell’ottica prevenzionistica per limitare gli infortuni sia nella tanto declamata “cultura della sicurezza” affinchè quest’ultima non rimanga un’arida citazione, ma diventi un serio obiettivo da raggiungere.

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Note
[1] L’acronimo UNI contraddistingue tutte le norme nazionali italiane e, nel caso sia l’unica sigla presente significa che la norma è stata elaborata direttamente dalle Commissioni UNI o dagli Enti Federati; mentre EN identifica le norme elaborate dal CEN (Comité Européén de Normalisation), quest’ultime devono essere  obbligatoriamente recepite dai Paesi membri e la sigla, nel caso dell’Italia, diventerà UNI EN (quindi vuol dire che la normativa è uniforme in tutta Europa).
Infine, ISO individua le norme elaborate dall’International Organization for Standardization e sono un riferimento applicabile in tutto il mondo. Ogni Paese può decidere se rafforzarne ulteriormente il ruolo adottandole come  norme nazionali, nel qual caso in Italia la sigla diventa UNI ISO o UNI EN ISO se la norma è stata adottata anche a livello europeo.

Danilo Rigoli

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