Direzione lavori su edificio vincolato, chi è il professionista competente?

Ancora competenze professionali: gli ingegneri possono svolgere la direzione lavori su un edificio vincolato? La rassegna settimanale di sentenze ci parla poi anche di titoli edilizi, annullamento SCIA e ampliamento/innalzamento di un fabbricato.

Mario Petrulli 12/06/18
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Gli argomenti della selezione di sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate la settimana scorsa sono… 1) Direzione lavori su edificio vincolato, professionista competente; 2) Ampliamento e innalzamento di un fabbricato, qualificazione dell’intervento; 3) Rilascio del permesso di costruire in sanatoria, carattere oggettivo e vincolato; 4) Rilascio di un titolo edilizio in assenza di piano attuativo, condizioni; 5) Annullamento SCIA, necessità della motivazione; 6) Impugnazione strumenti urbanistici, decorrenza del termine.

Direzione lavori su edificio vincolato, a chi spetta?

Estremi della sentenza: TAR Campania, Napoli, sez. I, sent. 5 giugno 2018, n. 3718
Massima: La direzione lavori su un edificio vincolato spetta all’architetto e non all’ingegnere

Come è noto, l’art. 52 del R.D. n. 2537/1925, recante il regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto, dispone che “le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l’antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall’architetto quanto dall’ingegnere”.

Secondo l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Lazio, Roma, sez. II quater, sent. n. 7997/2011; TAR Campania, Salerno, sent. n. 149/2015), la riserva di competenza degli architetti sussiste per ogni tipologia di intervento su immobili gravati da vincolo storico – artistico, ad eccezione delle attività propriamente tecniche di edilizia civile per le quali il citato art. 52 prevede la competenza anche degli ingegneri; la competenza degli architetti, poi, si estende anche agli interventi realizzati su immobili non assoggettati a vincolo quando presentino “rilevante interesse artistico”.

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Di conseguenza, è corretta la decisione di un comune di riservare la direzione dei lavori su un immobile sottoposto a tutela culturale e ambientale (e per i quali la Soprintendenza aveva espresso parere con precise prescrizioni) ad un professionista in possesso della qualifica di architetto.

Ampliamento e innalzamento di un fabbricato, qualificazione dell’intervento

Estremi della sentenza: TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 7 giugno 2018 n. 900
Massima: L’ampliamento e l’innalzamento di un fabbricato esistente non integra una ristrutturazione edilizia ma un’ipotesi di nuova costruzione

Come indicato in precedenza dalla giurisprudenza, l’ampliamento e l’innalzamento di un fabbricato esistente non integra una ristrutturazione edilizia ma un’ipotesi di nuova costruzione (T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 18/11/1991, n. 1303).

Rilascio del permesso di costruire in sanatoria

Estremi della sentenza: TAR Friuli Venezia Giulia, sent. 6 giugno 2018 n. 187
Massima: Il provvedimento di rilascio del permesso di costruire in sanatoria ha carattere oggettivo e vincolato, risultando del tutto scevro da apprezzamenti discrezionali

Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria impone “l’accertamento della conformità alle prescrizioni urbanistiche dell’intervento edilizio realizzato senza titolo abilitativo, vale a dire di opere che, pur essendo effettuate senza il preventivo rilascio del titolo abilitativo edilizio, risultino ammissibili sotto l’aspetto urbanistico.

Tale istituto è dunque finalizzato a sanare violazione di carattere puramente formale, laddove un intervento edilizio è comunque abusivo per effetto della mera mancanza del prescritto titolo abilitativo, anche se per ipotesi le opere siano assentibili, nel qual caso l’interessato ha l’onere di chiedere tempestivamente la sanatoria, per il cui rilascio la normativa richiede la cd. ‘doppia conformità’.

Infatti, le opere abusive possono essere sanate solo se sia provata la conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

La doppia conformità è condicio sine qua non della sanatoria ed investe entrambi i segmenti temporali, cioè il tempo della realizzazione dell’illecito ed il tempo della presentazione dell’istanza” (da ultimo: T.A.R. Campania, Sez, III, n. 4249 del 2017).

Il provvedimento possiede pertanto carattere oggettivo e vincolato, risultando del tutto scevro da apprezzamenti discrezionali. L’Amministrazione è infatti tenuta ad accertare i requisiti di assentibilità dell’intervento edilizio sulla base della normativa urbanistica ed edilizia vigente in relazione ad entrambi i momenti, conducendo, a tal fine, una valutazione essenzialmente doverosa, rigidamente ancorata alle prescrizioni fissate dalla strumentazione applicabile (così T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, n. 6305 del 2014).

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Rilascio di un titolo edilizio in assenza di piano attuativo, condizioni

Estremi della sentenza: TAR Lazio, Latina, sent. 6 giugno 2018 n. 316
Massima: Un titolo edilizio può essere rilasciato, anche in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore, solo se è stato accertato che il lotto del richiedente è l’unico a non essere stato ancora edificato e si trova in una zona che, oltre ad essere integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti

Come indicato dalla giurisprudenza in precedenza (Consiglio di Stato sez. IV 27 marzo 2018 n. 1906), un titolo edilizio può essere rilasciato, anche in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore, solo se è stato accertato che il lotto del richiedente è l’unico a non essere stato ancora edificato e si trova in una zona che, oltre ad essere integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti.

Anche in presenza di una zona già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo è esclusa solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo, ma non anche nell’ipotesi in cui, per effetto di una edificazione disomogenea, ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all’abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico della zona, ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria o integrando l’urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l’armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all’edificazione.

Questo in quanto l’esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, s’impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della maglia e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata.

Annullamento SCIA, necessità della motivazione

Estremi della sentenza: TAR Lazio, Latina, sent. 6 giugno 2018 n. 290
Massima: Un provvedimento di annullamento di una SCIA è illegittimo se non reca alcuna motivazione in punto di interesse pubblico alla rimozione del titolo annullato né tantomeno in punto di necessaria comparazione tra interesse pubblico e interesse privato e di prevalenza del primo sul secondo

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Un provvedimento di annullamento di una SCIA è illegittimo se, in violazione di quanto stabilisce l’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, non reca alcuna motivazione in punto di interesse pubblico alla rimozione del titolo annullato né tantomeno in punto di necessaria comparazione tra interesse pubblico e interesse privato e di prevalenza del primo sul secondo.

Si potrebbe obiettare che una simile motivazione non sarebbe necessaria nel caso di poco tempo intercorso tra il “consolidamento” della SCIA e l’intervento dell’amministrazione; va però rilevato in contrario che, se si sostenesse tale tesi, si finirebbe per negare ogni rilevanza alla prescrizione di legge secondo cui l’amministrazione può e deve inibire i lavori entro trenta giorni e si introdurrebbe nel sistema un elemento di profonda incertezza dato che la soluzione che si critica renderebbe, nel silenzio della legge, necessario individuare quale possa essere il “termine ragionevole” entro il quale l’amministrazione può annullare senza motivare sull’interesse pubblico.

Pare più corretto ritenere che – ferma restando la necessità della motivazione in punto di comparazione tra interesse pubblico e privato (se non altro perché prescritta dalla legge) – il tempo trascorso possa rilevare nel complesso della valutazione da compiersi, nel senso che un intervento molto tempestivo (cioè a immediato ridosso della scadenza del termine per l’ordine di non eseguire i lavori) può giustificare una valutazione di recessività dell’interesse del privato di fronte all’interesse pubblico in particolare nei casi in cui venga in rilievo un’illegittimità non particolarmente grave (nel senso che più è grave il profilo di contrasto dell’intervento con la normativa urbanistico-edilizia più sarà giustificato un intervento a distanza di tempo dal consolidamento della SCIA).

Impugnazione strumenti urbanistici, decorrenza del termine

Estremi della sentenza: TAR Piemonte, sez. II, sent. 5 giugno 2018 n. 701
Massima: Il termine per l’impugnazione degli strumenti attuativi da parte di soggetti terzi, in quanto non direttamente contemplati in essi, decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione della detta delibera di approvazione

Secondo principi generali, il termine per l’impugnazione degli strumenti attuativi da parte di soggetti terzi, in quanto non direttamente contemplati in essi, decorre dall’ultimo giorno di pubblicazione della detta delibera di approvazione (C.d.S., IV, 13 aprile 2005, n. 1696; TAR Piemonte, I, 19 aprile 2006, n. 1873 e 6 luglio 2005, n. 2438; TAR Puglia, Lecce, I, 8 settembre 2005, n. 4177).

Analoghi principi valgono per il Piano Regolatore Generale, in relazione al quale la Sezione ha ribadito di recente il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui “Nel sistema di pubblicità-notizia disciplinato dalla legislazione urbanistica nazionale e regionale, nonché ai sensi dell’art. 124 del TUEL, approvato con d.P.R. n. 267/2000, il termine per l’impugnazione dello strumento urbanistico generale decorre non dalla notifica ai singoli proprietari interessati dalla disciplina del territorio, ma dalla data di pubblicazione del decreto di approvazione o, al più tardi, dall’ultimo giorno della pubblicazione all’albo pretorio dell’avviso di deposito presso gli uffici comunali dei documenti riferiti al piano approvato, salvo che esso non incida specificatamente, con effetti latamente espropriativi, su singoli, determinati beni” (TAR Piemonte, II, n. 1223 del 15 novembre 2017; in senso conforme, di recente, Consiglio di Stato sez. VI  13 febbraio 2017 n. 622; T.A.R. Napoli sez. II  07 luglio 2017 n. 3659).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Mario Petrulli

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