Tari, per evitare l’aumento si ricorre all’imposta di soggiorno?

Le amministrazioni gestiscono questi fondi in maniera autonoma, senza concertazione con le categorie, e tali fondi vengono spesso destinati ad attività di spesa corrente

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In questo periodo di vacche magre, alcuni comuni prospettano di ricorrere (in sede di variazioni di bilancio) ai proventi dell’imposta di soggiorno per pareggiare i conti evitando di aumentare la Tari. Anticipiamo che a noi sembra che l’errore stia (tra altro) nel difetto di programmazione (ex ante) delle complessive entrate e spese, nonché nella mancata e/o lacunosa monitorazione dell’andamento del servizio, nei suoi costi e ricavi.

Giova preliminarmente soffermarsi sulle rispettive discipline dei due diversi proventi, ricercandone il possibile “raccordo” tra esse, la coerenza che sfugga alla occasione di fare solo palcoscenico, occultando una diversa situazione.

Tari e imposta di soggiorno: che rapporto c’è?

Anzitutto, va ricordato che l’imposta di soggiorno (di cui all’art. 4 del D. Lgs 14 marzo 2011, n. 23 [nota 1]) è considerata un tributo di scopo, avente il presupposto dell’ingresso di turisti in località turistiche, città d’arte  – con forte afflusso di non residenti, fermo restando le ipotesi di soggiorno per motivi di studio e di lavoro – che utilizzano delle cosiddette “prestazioni alloggiative” [2], le quali sono una sorta di manifestazione indiretta di capacità contributiva [3].

Il prelievo in parola finanzia interventi in materia di turismo, compreso il recupero di beni culturali e ambientali, in quest’ultimo caso il fine è quello di internalizzare delle esternalità negative provocate dall’impatto dei flussi turistici che – per la loro presenza e permanenza –  potenzialmente inquinano (pollution charge) [4].

La carente strutturalità dell’imposta di soggiorno (ex art. 23 Cost.) viene sovente aggirata ricorrendo alla regolamentazione attuativa dell’art.52 del D.Lgs. n. 446/1997, correlando l’imposta  (proporzionalmente) al costo dell’albergo o della struttura ricettiva (più che alla loro classificazione), non senza introdurre dei correttivi: stagionalità, fine settimana, concomitanza di eventi, etc..

Più generalmente parlando, “l’imposta di soggiorno si pone in una logica commutativa: il prelievo è intrinsecamente collegato col godimento di un bene a rilevanza turistica oppure ad un servizio di natura turistica preesistente al prelievo ed, eventualmente, da questo finanziato” [5].

Taluno contesta la finalità (normativamente prestabilita), considerando che il vincolo del gettito dell’imposta non entra a far parte della fattispecie imponibile, evidenziando  – al contempo – l’opportunità che gli amministratori locali pongano attenzione al vincolo di gettito che deve comunque essere destinato a finanziare gli interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonchè dei relativi servizi pubblici locali [6].

Infatti, l’entrata de qua non è di libera spesa per l’ente impositore, in quanto il suo concreto utilizzo deve seguire il solo scopo fissato per legge “seppure declinato nelle opzioni di libera scelta del comune”, pertanto, “la ragione della spesa può essere (..) di variegata direzione e per obiettivi specifici ma, comunque, sempre riconducibile all’alveo dell’obiettivo prefissato ex lege della promozione, sostegno e valorizzazione del prodotto turistico nei limiti e nei compiti dell’ente locale” [7].

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L’Osservatorio Nazionale sulla Tassa di Soggiorno, curato dal centro studi Panorama Turismo, ha evidenziato che le amministrazioni comunali non dichiarano gli investimenti che effettuano con i proventi dell’imposta di soggiorno. Le amministrazioni gestiscono questi fondi in maniera autonoma, senza concertazione con le categorie, e tali fondi vengono spesso destinati ad attività di spesa corrente o per non meglio identificati fini sociali, non sempre per finalità turistiche.

Un chiarimento viene (ex multiis) dal parere reso dalla Sezione regionale per il controllo della Corte dei Conti del Veneto, con deliberazione n.172/2015/PAR in data 5 marzo 2015, ribadendo che trattasi di spese finanziate con entrate a destinazione vincolata, alle quali sono “applicabili i limiti ed i divieti previsti dall’art. 6 comma 8 e 9 del dl 78/2010”.

Una analoga situazione di utilizzo per finalità lato sensu ambientali, è recentemente offerta dalla c.d. “imposta di sbarco” (sorella minore dell’imposta di soggiorno), talchè alcune realtà comunali hanno grazie ad essa rimpinguato le loro esangui casse [8]. Però qui siamo in presenza di una norma speciale, ancorchè contrastante la disciplina Tari. Proprio la specialità del “contributo di sbarco” chiarisce meglio se e come può essere utilizzata (si badi: ordinariamente) per la gestione dei rifiuti l’entrata dall’imposta di soggiorno.

Merita altresì riflettere sul fatto che maggiori entrate non necessariamente impongono maggiori spese: la sentenza TAR Puglia (Lecce, Sez. 2^) n. 748 del 16 febbraio 2012 stabilisce che all’istituzione della nuova imposta di soggiorno non corrispondono servizi che precedentemente a essa venivano già completamente finanziati: “in effetti, la testuale lettura dell’art.4 del D.L. n.23 del 2011, non depone per un necessario  incremento delle spese per gli interventi in materia di turismo, ma ne limita il campo di spesa. Ciò dimostra come l’imposta di soggiorno, se ben speso il gettito ricavato, oltre al beneficio per gli operatori e fruitori del turismo, possa indurre anche un beneficio, di riflesso, per la popolazione comunale sia per la possibilità di deviare le risorse finanziarie prima destinate al turismo ad altri servizi di interesse collettivo, sia per possibili interventi in riduzione sulle addizionali IRPEF o anche sulle aliquote IMU, magari riferibili agli immobili delle strutture ricettive” [9].

Invero l’imposizione della Tari e dell’imposta di soggiorno non riguardano aspetti distributivi del complessivo carico fiscale, secondo le note scelte e criteri della pura fiscalità locale, rimanendo ancorati (almeno teoricamente) ad aspetti perlopiù tendenzialmente commutativi.

La Tari, ictu oculi, ha natura e struttura assai diversa dall’imposta di soggiorno, essendo una tariffa (pur se molto impregnata di aspetti tributari), talchè se i costi del servizio aumentano essi vanno allocati e considerati entro un preciso sistema contabile (di cui al “metodo normalizzato” del D.P.R. n.158/1999, pur nelle sue “varianti” o “deroghe”) in una logica tendenzialmente sinallagmatica e quindi non meramente distributiva (salvo forse per la parte fissa della tariffa). Per espressa statuizione legislativa, la Tari deve coprire tutti i costi del servizio, nella combinazione tra il principio del “full cost recovery” e il criterio del “price cap”, rispettando l’impianto strutturale cosiccome disciplinato.

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Più a monte è la programmazione che “a cascata” si riflette nel bilancio preventivo e nel piano economico finanziario (PEF) annuale, documenti fondamentali e propedeutici alla politica fiscale, nonché alla determinazione tariffaria. Ivi si preventiva (e si budgettizza) una gestione che dev’essere sintotica al PEF, quindi “autorizzata”, riportando a costi/ricavi gli effetti della gestione  economica-finanziaria (e degli aspetti organizzativi e di utilizzo delle risorse) cosiccome attesa e voluta.

Per cui in presenza di scostamenti (o varianti) nella gestione, comportanti maggiori costi e/o minori ricavi e/o comunque nella necessità per il comune di ricorrere ad un aumento tariffario, occorrerà in primo luogo comprendere se la programmazione e la gestione rimangano coerenti e rispettose di quanto “autorizzato”.

Diversamente, dovranno responsabilizzarsi coloro che hanno provocato, con una gestione “anomala” (salvo per gli eventi straordinari o giustificati) la necessità di aumentare la tariffa, rispetto al budgettato. Del resto, ognun se ne avvede, la reportistica e l’analisi degli scostamenti (o delle varianti) servono proprio a questo.

Tari e imposta di soggiorno: è legittimo il collegamento?

La domanda allora è se sia legittimo che il comune preventivi nell’impianto tariffario delle entrate derivanti da una imposta che ha natura e funzione diversa come quella di soggiorno. Inoltre è corretto che il comune ricorra al finanziamento di parte dei costi del servizio rifiuti con un aumento tariffario, tramite (appunto) altre entrate?

Peraltro questa eventualità non è annoverata tra le previsioni e nemmeno tra le “eccezioni” della disciplina Tari [10]. Ne viene che l’utilizzo delle entrate di cui all’imposta di soggiorno, quale extra-entrata per coprire (finanziare) i maggiori costi del servizio di gestione dei rifiuti è una obiettiva forzatura. Ciò soprattutto ove l’utilizzo non sia stato ex ante preventivato e contemplato, in modo “strutturale” (costante, regolare, regolamentato) e rispettoso delle finalità delle diverse entrate.

Ne viene che un siffatto, “improvviso”, utilizzo sembra un espediente cui le amministrazioni ricorrono per evitare di ratificare o provvedere a improvvidi aumenti tariffari, se non i costi della gestione “ordinaria” dei rifiuti [11].

Ancora, sotto altro angolo visuale, il presupposto della Tari riguarda l’occupazione o detenzione dei locali quale elemento presuntivo di produzione dei rifiuti. Il turismo (come il pendolarismo) incide, ovviamente, quale maggior produzione di rifiuti e maggior richiesta di servizio (dimensione, frequenza, etc.), cioè pei conseguenti maggiori costi.

Ma la gestione del sistema integrato dei rifiuti se intesa in senso, per così dire, “basico”, venendo ordinariamente (e strutturalmente) finanziata dalla Tari, non può ossigenarsi e/o “salvarsi” grazie ad altre entrate fiscali.

Infine, una considerazione di buon senso, oltre che di correttezza comunicativa. Non si può  – come talvolta avviene – affermare che non si aumenta la Tari, pur in presenza dell’aumento dei costi del servizio gestione rifiuti, proprio grazie ai proventi dell’imposta di soggiorno, introitati dai turisti (ovvero dai non residenti/cittadini) così non gravando sulla comunità. Difatti, il gettito dell’imposta di soggiorno, ove (giustamente) non venga utilizzato per pareggiare i conti della Tari, consentirebbe la realizzazione di altri servizi e/o interventi, destinati comunque (e più trasparentemente) a beneficio della comunità.

La vera questione sta nella “giusta” (echeggiando il principio “chi inquina paga” e altro ancora) imputazione, contabilizzazione e redistribuzione dei costi/ricavi del sistema tariffario, che (a rigore) non tollera la contaminazione (e pure la contraddizione negli effetti) di diverse entrate fiscali, quale l’imposta di soggiorno, onde consentire di raggiungere l’equivalenza (equilibrio) tra costi e ricavi nella gestione dei rifiuti.

articolo di Alberto Pierobon

Note

[1] L’imposta è apparsa nel panorama tributario italiano già con la Legge 11 dicembre 1910, n.863, successivamente modificata e integrata, fino a confluire nel R.D. 14 settembre 1931, n.1175 (T.U.F.L.), Cfr.  A.MAGLIARO, L’imposta di soggiorno e l’imposta di sbarco, in AA.VV., Manuale dei tributi locali, Santarcangelo di Romagna (RN), 2012, pag.1307.
[2] “La ratio dell’imposta si basa sull’obbligazione di compartecipazione alle spese pubbliche da parte dei soggetti non residenti, quali potenziali fruitori dei servizi pubblici indivisibili” così IFEL – Fondazione ANCI, Le imposte comunali sul turismo, Didattica II/2013,pag. 66, www.fondazioneifel.it.
[3] R.ALFANO, Tributi ambientali. Profili interni ed europei,Torino,2012,pagg.274-282. Per E.CORALI, Cittadini, tariffe e tributi. Principi e vincoli costituzionali in materia di prestazioni patrimoniali imposte, Milano,2009, pag.152 trattasi di prelievi paracommutativi (prestazioni patrimoniali imposte di matrice extra-tributaria),sganciate dai principi di progressività e di capacità contributiva del soggetto passivo.
[4] C.FAVA, I tributi ambientali erariali, regionali e locali, in (a cura di K.AQUILINA, P.IAQIUINTA), Il sistema ambiente, tra etica, diritto ed economia, Padova,2013., pag.196. Lo strumento in parola, similare ai ticket di ingresso, dovrebbe essere utilizzato al fine della regolazione dei flussi di traffico, della riduzione dell’inquinamento e della tutela di aree urbane di pregio i migliori risultati del ticket di ingresso sull’inquinamento, si ottengono col provento commisurato alle emissioni inquinanti dei mezzi di trasporto: Cfr. C.BURATTI, La tassazione ambientale a livello locale. Le prospettive aperte dalla legge delega sul federalismo fiscale, in (a cura di) L.ANTONINI, L’imposizione ambientale nel quadro del nuovo federalismo fiscale, Napoli,2010, pag.133.
[5] R.ALFANO, Tributi ambientali.cit.,pag.276.
[6] A.MAGLIARO, op.cit., pag.1327.
[7] IFEL – Fondazione ANCI, op.cit.,pagg. 21-31.
[8] Con l’istituzione – ex art.33 Legge 28 dicembre 2015, n.221 (c.d. “Green economy”) – del “contributo di sbarco” (che sostituisce l’imposta) che è destinato a finanziare gli interventi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, gli interventi di recupero e salvaguardia ambientale nonché interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità nelle isole minori regolamentati dai comuni (ex art. 52 D.Lgs. n.446/1997), anche in alternativa all’imposta di soggiorno. Il che sembra pasticciare un po’ tra i tributi e la loro finalità.
[9] Così IFEL – Fondazione ANCI,op.cit,pag. 36.
[10] Le “eccezioni” (agevolazioni, esclusioni, esenzioni, etc.) nella disciplina Tari vengono specificatamente contemplate, rispettandosi la riserva relativa di legge ex art. 23 Cost.
[11] diversamente  si potrà considerare di veicolare certune spese in ambito ambientale per realizzare indirettamente le finalità dell’imposta di soggiorno, in proposito ci riserviamo di intervenire prossimamente.

Redazione Tecnica

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