Recinzione con muretto: quale titolo edilizio serve?

Per una recinzione con muretto di calcestruzzo e paletti di ferro, quale titolo edilizio serve? E un muro di cinta con altezza non superiore ai 3 metri conta nel calcolo delle distanze? Questo e altro nella rassegna di sentenze..

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Ecco la selezione delle alcune sentenze pubblicate la scorsa settimana. Gli argomenti sono: recinzione con muretto di calcestruzzo e paletti di ferro: quale titolo edilizio serve? Muro di cinta con altezza non superiore ai 3 metri: rilevanza per il rispetto dei limiti in materia di distanza; DIA/SCIA: poteri comunali dopo il termine dei 30 giorni dalla presentazione; motivazione di scelte urbanistiche; impianti di produzione di energia elettrica: si possono collocare in zona agricola?

Recinzione con muretto di calcestruzzo e paletti di ferro: quale titolo edilizio serve?

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 25 ottobre 2017 n. 2022
Massima: Un recinzione costituita da un muretto in calcestruzzo e paletti di ferro richiede il permesso di costruire

 

Secondo l’orientamento della giurisprudenza dominante, “sono esenti dal regime del permesso di costruire solo le recinzioni che non configurino un’opera edilizia permanente, bensì manufatti di precaria installazione e di immediata asportazione (quali, ad esempio, recinzioni in rete metalliche, sorrette da paletti in ferro o di legno e senza muretto di sostegno), in quanto entro tali limiti la posa in essere di una recinzione rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà, che comprende lo “ius excludendi alios” o, comunque, la delimitazione delle singole proprietà.

Viceversa, è necessario il permesso di costruire quando la recinzione costituisca opera di carattere permanente, incidendo in modo durevole e non precario sull’assetto edilizio del territorio, come ad esempio se è costituita da un muretto di sostegno in calcestruzzo con sovrastante rete metallica o da opera muraria (cfr. fra le tante T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 10/05/2013, n. 714)” (così: TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 20 maggio 2014, n. 1306; in termini: TAR Puglia, Bari, Sez. III, 15 settembre 2015, n. 1236; cfr. anche Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 333; Id., Sez. V, 9 aprile 2013, n. 1922; TAR Umbria, 7 agosto 2013 n. 434; TAR Campania, Salerno, Sez. I, 7 marzo 2011 n. 430).

Conseguentemente, una recinzione costituita da un muretto in calcestruzzo con paletti di ferro a sostegno di una rete metallica richiede il permesso di costruire.

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Muro di cinta più basso di 3 metri: deve rispettare le distanze?

Estremi della sentenza: TAR Molise, sent. 26 ottobre 2017 n. 388
Massima: Il muro di cinta con altezza non superiore ai 3 metri non è costruzione rilevante ai fini del calcolo delle distanze

 

Come affermato dalla Suprema Corte, non costituisce costruzione rilevante a fini del rispetto dei limiti delle distanze, per la funzione che svolge, il muro di cinta con altezza non superiore ai tre metri (art. 878, primo comma, c.c.: “il muro di cinta e ogni altro muro isolato che non abbia un’altezza superiore ai tre metri non è considerato per il computo della distanza indicata dall’art. 873”: sul punto cfr. Cass. Civ., n. 2940/1992 e n. 5472/1991).

Scelte pianificatorie: condizionamento delle precedenti valutazioni

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 26 ottobre 2017 n. 4941
Massima: Le nuove scelte pianificatorie non sono condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o una sua variante, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (piano di lottizzazione, piano particolareggiato, piano attuativo) approvato o convenzionato o quantomeno adottato, e tale quindi da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione

 

In linea generale, costituisce ambito di ampia discrezionalità il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale, o da una sua variante, che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all’organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico.

Tali scelte non sono condizionate dalla pregressa indicazione, nel precedente piano regolatore, di destinazioni d’uso edificatorie diverse e più favorevoli rispetto a quelle impresse con il nuovo strumento urbanistico o una sua variante, con il solo limite dell’esigenza di una specifica motivazione a sostegno della nuova destinazione quando quelle indicazioni avevano assunto una prima concretizzazione in uno strumento urbanistico esecutivo (piano di lottizzazione, piano particolareggiato, piano attuativo) approvato o convenzionato, secondo giurisprudenza univoca (cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4168), o quantomeno adottato, e tale quindi da aver ingenerato un’aspettativa qualificata alla conservazione della precedente destinazione.

Al contrario, la pregressa destinazione di piano, in sé e per sé, non comporta alcun obbligo motivazionale specifico, dovendosi rinvenire il fondamento della nuova proprio nel disegno generale delineato dal nuovo strumento generale o dalla variante di quello precedente (cfr. tra le tante Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3142 e 26 marzo 2014 n. 1459, e tra le più risalenti, sia pure relativamente recenti, 1 aprile 2011, n. 2071 e 15 settembre 2010, n. 6911).

Di conseguenza, tale aspettativa qualificata non può considerarsi dunque radicata ex se dalla semplice presentazione di un’istanza di autorizzazione unica intesa all’installazione di un impianto di distribuzione di carburanti.

DIA/SCIA: poteri comunali dopo il termine dei 30 giorni dalla presentazione

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Brescia, sent. 23 ottobre 2017 n. 1272
Massima: In presenza di una DIA/SCIA illegittima, l’Amministrazione può intervenire anche oltre il termine dei 30 giorni, ma solo alle condizioni cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA/SCIA ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo

 

Secondo l’inquadramento fornito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge. Pertanto l’omesso esercizio da parte dell’amministrazione del potere inibitorio, entro il termine perentorio, dà luogo ad un provvedimento tacito di diniego di adozione del provvedimento inibitorio (Cons. Stato, Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15); in altri termini il titolo si consolida pur non privando l’Amministrazione del potere di intervenire, anche successivamente.

Invero, per giurisprudenza costante, l’inutile spirare del termine accordato dalla legge per l’inibizione dei lavori o dell’intervento edilizio preannunciati con una DIA non priva l’amministrazione del potere di controllo urbanistico-edilizio e dell’eventuale potere sanzionatorio in ordine ad interventi realizzati in violazione della pertinente normativa (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 6 febbraio 2015 n. 937).

In presenza di una DIA illegittima, l’Amministrazione può, quindi, intervenire anche oltre il termine di cui all’art. 23 comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.

Infatti, il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di DIA, è perentorio, ma anche dopo il suo decorso la P.A. conserva un potere residuale di autotutela; peraltro, tale potere residuale, con il quale l’Amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, deve essere esercitato nel rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, sulla base di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (cfr. T.A.R. Lazio sez. II-quater, 9 gennaio 2015 n. 241 e 3 febbraio 2017 n. 1866).

Motivazioni delle scelte urbanistiche

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 25 ottobre 2017 n. 2020
Massima: Le scelte urbanistiche non necessitano, di regola, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano

 

Le scelte urbanistiche non necessitano, di regola, di apposita motivazione, oltre a quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell’impostazione del piano (Ad. plen., n. 24 del 1999), salvo che ricorra una delle evenienze che, in conformità ai consolidati indirizzi della giurisprudenza (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15 settembre 2016, n. 1680; Id., 23 marzo 2015, n. 783; Id., 30 settembre 2014, n. 2404; Id., 22 luglio 2014, n. 1972), determinano un onere motivatorio più incisivo.

Tali evenienze sono state ravvisate: a) nella lesione dell’affidamento qualificato del privato derivante da convenzioni di lottizzazione, da accordi di diritto privato intercorsi fra il Comune e i proprietari delle aree, da aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi del titolo edilizio o di silenzio rifiuto su domanda di rilascio del permesso di costruire, ecc.;

b) nel caso in cui l’autorità intenda imprimere destinazione agricola ad un lotto intercluso da fondi legittimamente edificati (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 1 ottobre 2004, n. 6401; Id., 4 marzo 2003, n. 1197);

c) nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico effettui un sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale (cd. aree standard), quantificandole in misura maggiore rispetto ai parametri minimi fissati dall’articolo 3 del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 e dall’articolo 9, comma 3, della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005 (cfr. Ad. plen. n. 24 del 1999; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 4 gennaio 2011, n. 4).

Non costituisce posizione di affidamento tutelabile in sede giurisdizionale quella del soggetto che veda semplicemente assegnata alla sua area una disciplina peggiorativa rispetto a quella dettata dai previgenti atti di pianificazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3571; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 21 febbraio 2017, n. 434; Id., 30 settembre 2016, n. 1766; Id., 30 settembre 2014, n. 2404; TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18 dicembre 2013, n. 1143).

Impianti di produzione di energia elettrica in zona agricola

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. III Lecce, sent. 24 ottobre 2017 n. 1651
Massima: Gli impianti di produzione di energia elettrica possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici

 

Ai sensi del’art. 12 comma settimo del Decreto Legislativo n. 387 del 2003, “Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14”.

Tale disposizione viene interpretata dalla più recente e condivisibile giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato, nel senso di ritenere che la possibilità ivi prevista di derogare alla zonizzazione comunale con la realizzazione di impianti eolici in zona agricola, deve necessariamente essere esercita dalla Regione nell’ambito dell’Autorizzazione Unica (di cui all’art. 12 terzo comma del Decreto Legislativo n° 387/2003) e non può, quindi, essere affidata alla decisione del privato in sede di D.I.A., presupponendo tale deroga l’effettuazione di un giudizio discrezionale che, nel bilanciamento degli interessi pubblici presenti e tenuto conto degli elementi indicati dal legislatore, concluda per la ragionevolezza ed opportunità dell’ubicazione dell’impianto (in deroga alla zonizzazione comunale prevista) in zona agricola (Consiglio di Stato, IV Sezione, sentenza n. 1298 del 22.03.2017).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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