Contratti con compenso zero, due motivi per cui non si può

La sentenza del Consiglio di Stato ha scatenato la polemica. Ma ci sono due motivi per cui i tecnici non possono accettarle: il codice deotologico e il codice degli appalti

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La recente sentenza del 3 ottobre 2017 n. 4614 del Consiglio di Stato, nel ritenere legittimo un bando di gara che prevedeva, per la redazione di piano urbanistico comunale, un compenso simbolico di un euro e il rimborso integrale delle spese documentate per l’aggiudicatario, ha suscitato reazioni fortemente critiche da parte degli ordini dei professionisti tecnici. Le discussioni e i confronti (accesi) continuano, negli ultimi giorni a benzina sul fuoco è stato il Mit, che si è schierato con il Consiglio di Stato.

In sintesi, secondo i giudici di Palazzo Spada, può ritenersi sufficiente, in luogo del normale compenso finanziario (rectius, il pagamento in denaro della parcella), un compenso economicamente valutabile, ancorché ipotetico, ossia l’incremento del curriculum a seguito dell’incarico ottenuto e il potenziale ritorno di immagine per il professionista, il quale potrà vantare la realizzazione di un importante progetto di pianificazione urbanistica (come nel caso specifico) o, comunque, di un rilevante servizio: afferma la sentenza che “L’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico, di cui qui si verte, una controprestazione contrattuale anche se a risultato aleatorio, in quanto l’eventuale mancato ritorno (positivo) di immagine (che è naturalmente collegato alla qualità dell’esecuzione della prestazione) non può dare luogo ad effetti risolutivi o risarcitori”.

La questione merita un adeguato approfondimento, onde verificare se la tesi sostenuta possa considerarsi condivisibile e coerente 1) con le norme deontologiche proprie dei professionisti tecnici e 2) con i principi alla base del Codice dei contratti pubblici.

Clicca qui per leggere la sentenza 4614/2017 del Consiglio di Stato

Compenso zero per i professionisti tecnici e le regole deontologiche

Accettare un incarico senza compenso è in contrasto con il codice deontologico:

degli ingegneri, il cui art. 11 dispone che si possono fornire prestazioni professionali a titolo gratuito solo in casi particolari quando sussistano valide motivazioni ideali ed umanitarie e che possono considerarsi prestazioni professionali non soggette a remunerazione tutti quegli interventi di aiuto rivolti a colleghi ingegneri che, o per limitate esperienze dovute alla loro giovane età o per situazioni professionali gravose, si vengano a trovare in difficoltà;

degli architetti, il cui art. 24 considera l’assenza di compensi quale pratica anticoncorrenziale scorretta e distorsiva dei normali equilibri di mercato e costituisce grave infrazione disciplinare;

dei geometri, il cui art. 20 dispone che la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera ed al decoro della professione, implicitamente confermando l’impossibilità di un’assenza del compenso;

dei dottori agronomi e forestali, il cui art. 20 prevede che il compenso sia adeguato all’importanza dell’opera prestata, implicitamente confermando, anche in questo caso, l’impossibilità di un’assenza del compenso;

dei periti industriali, il cui art. 30 fa espresso riferimento al compenso dovuto dal cliente, implicitamente confermando, anche in questo caso, l’impossibilità di un’assenza del compenso;

dei geologi, il cui art. 18 obbliga a commisurare la parcella, fra gli altri parametri, al decoro professionale, confermando ancora una volta l’impossibilità di un’assenza di un compenso.

In sintesi, perciò, solo per gli ingegneri è eccezionalmente possibile fornire prestazioni professionali a titolo gratuito quando sussistano valide motivazioni ideali ed umanitarie e quando si tratti di interventi di aiuto rivolti a colleghi ingegneri che, o per limitate esperienze dovute alla loro giovane età o per situazioni professionali gravose, si vengano a trovare in difficoltà. Addirittura, per gli architetti l’assenza di compensi è una pratica anticoncorrenziale scorretta e distorsiva dei normali equilibri di mercato e costituisce grave infrazione disciplinare.

Perché, in generale, le regole deontologiche vietano l’assenza di compenso per le prestazioni professionali? La risposta è semplice: perché esistono valori metagiuridici a salvaguardia di tutte le categorie professionali, ossia il decoro e la dignità, che vengono messi a forte rischio dall’assenza di un compenso immediato in termini finanziari.

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Il compenso per i progettisti nel nuovo Codice Appalti

L’art. 24 del nuovo Codice dei contratti pubblici prevede norme di interesse per quanto concerne il compenso per i progettisti.

Il comma 8 dispone che “Il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, approva, con proprio decreto, da emanare entro e non oltre sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, le tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività di cui al presente articolo e all’articolo 31, comma 8. I predetti corrispettivi sono utilizzati dalle stazioni appaltanti quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo a porre a base di gara dell’affidamento. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al presente comma, si applica l’articolo 216, comma 6”. Come è noto agli addetti ai lavori, il Ministero della Giustizia è intervenuto con un proprio decreto (9) prevedendo espressamente i criteri per il calcolo dei corrispettivi dovuti, determinati in ragione di tre elementi:

– il compenso, la cui individuazione è connessa ai seguenti quattro parametri: costo delle singole categorie componenti l’opera; complessità della prestazione; specificità della prestazione; costo economico delle singole categorie componenti l’opera;
– le spese,
– gli oneri accessori.

L’allegato A del suddetto decreto individua i parametri per categoria di intervento e per fasi prestazionali. Dall’esame del decreto e del relativo allegato non si evince la possibilità di escludere il corrispettivo.

Ritornando al citato art. 24, è necessario evidenziare il comma 8-bis, secondo cui “Le stazioni appaltanti non possono subordinare la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico-amministrative ad essa connesse all’ottenimento del finanziamento dell’opera progettata. Nella convenzione stipulata con il soggetto affidatario sono previste le condizioni e le modalità per il pagamento dei corrispettivi con riferimento a quanto previsto dagli articoli 9 e 10 della legge 2 marzo 1949, n. 143, e successive modificazioni”.  Anche tale norma evidenzia la necessità di “attualità” e certezza del compenso.

Ancora, il successivo comma 8-ter precisa che “Nei contratti aventi ad oggetto servizi di ingegneria e architettura la stazione appaltante non può prevedere quale corrispettivo forme di sponsorizzazione o di rimborso, ad eccezione dei contratti relativi ai beni culturali, secondo quanto previsto dall’articolo 151”. Questa disposizione è di estrema utilità per il caso specifico oggetto della sentenza n. 4614/2017 del Consiglio di Stato: infatti, la previsione del mero rimborso, ancorché accompagnato da un corrispettivo simbolico pari ad 1 euro (come nel caso specifico), non può essere prevista.

L’articolo completo uscirà sul prossimo numero della rivista L’Ufficio Tecnico. Clicca qui per maggiori informazioni.

articolo di Mario Petrulli
Avvocato, esperto in diritto e finanza degli enti locali, appalti, edilizia ed urbanistica – www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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