Per fare una recinzione, l’autorizzazione paesaggistica serve o no?

La rassegna di sentenze: le ultime novità su recinzioni, cambio destinazione d’uso, ricostruzione, permesso di costruire..

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Come ogni lunedì, buon lunedì con la rassegna delle sentenze in tema di edilizia e urbanistica. È l’ultimo appuntamento, prima della pausa estiva: ci rivediamo il 4 settembre. Per oggi, però, ecco un’altra serie di sentenze che potrebbero interessarvi. Su che cosa? Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: recinzioni, autorizzazione paesaggistica o no?; legittimazione alla richiesta del permesso di costruire per il comodatario; cambio di destinazione d’uso da cantina a civile abitazione; rateazione degli oneri concessori, mancato pagamento e sanzioni, polizza; ricostruzione di un edificio esistente in una diversa area di sedime: qualificazione dell’intervento; vicino confinante: comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di una concessione edilizia.

Recinzione: serve l’autorizzazione paesaggistica

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 28 luglio 2017 n. 1707
Massima: Le recinzioni non sono riconducibili nel novero delle attività non soggette ad autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio

 

L’articolo 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio esclude infatti dall’ambito applicativo della disciplina di tutela soltanto interventi effettivamente irrilevanti dal punto di vista paesaggistico, in quanto di per sé non idonei a modificare in modo apprezzabile l’aspetto esteriore del bene o dell’ambito protetto.

La previsione, per la sua portata limitativa del regime di tutela, va intesa in senso strettamente aderente alla sua ratio, e non si presta a interpretazioni dirette a estenderne la portata a opere e interventi non direttamente contemplati e che siano idonei a determinare una modificazione percepibile dell’aspetto esteriore dei luoghi. In questa prospettiva, le recinzioni non possono ricondursi nella categoria degli “interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale”, che non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica – ai sensi dell’articolo 149, comma 1, lett. b) del Codice – qualora “non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio”.

E ciò in quanto l’esclusione – da interpretarsi nel senso rigoroso e restrittivo sopra detto – si riferisce soltanto alle attività di coltivazione del fondo in senso proprio, mentre sono espressamente al di fuori della sua portata le costruzioni edilizie e le “altre opere civili” comportanti alterazione permanente dello stato dei luoghi.

Tra queste ultime tipologie di interventi – soggette, quindi, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica – rientrano appunto le recinzioni. Tali opere infatti, specie se sono di notevole estensione, presentano di regola un impatto visivo idoneo a incidere sulla percezione del paesaggio tutelato, e non possono perciò considerarsi irrilevanti dal punto di vista della tutela paesaggistica.

Per le stesse ragioni, le recinzioni non possono neppure essere ricondotte nel novero delle opere contemplate dalla lettera a) dello stesso articolo 149, ossia “gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”, poiché si tratta di manufatti che, anche ove ritenuti riconducibili alle tipologie di intervento sopra elencate, sono in grado, almeno potenzialmente, di influire in modo non irrilevante sulla percepibilità del paesaggio tutelato.

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Il comodatario può richiedere il permesso di costruire

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VIII Napoli, sent. 25 luglio 2017 n. 3941
Massima: Il comodatario può richiedere il permesso di costruire, salva l’opposizione del proprietario

 

Il permesso di costruire può essere rilasciato al soggetto che dimostri di avere la disponibilità dell’area di riferimento in base a un diritto reale o a una obbligazione (Cass., Sez. III, 15 marzo 2007, n. 6005). Si è detto, in particolare che il contratto di comodato, intervenuto tra il proprietario dell’area ed il concessionario, instaura una relazione stabile (detenzione) con il bene oggetto del medesimo, sufficiente, come quella del locatario, per richiedere ed ottenere la concessione edilizia, salva l’opposizione del proprietario (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2015, n. 648, 8 settembre 2015, n. 4176).

Cambio destinazione d’uso: da cantina ad abitazione

Estremi della sentenza: TAR Liguria, sez. I, sent. 26 luglio 2017 n. 682
Massima: Il cambio di destinazione d’uso da cantina-garage a civile abitazione necessita del permesso di costruire

 

La giurisprudenza anche penale è ferma nel ritenere che il cambio di destinazione d’uso da cantina-garage a civile abitazione, in quanto comporta il passaggio da una categoria urbanistica ad un’altra, rientra tra gli interventi edilizi per i quali è necessario il rilascio del permesso di costruire (cfr. ad es. Cass pen. sez. III, 05/04/2016, n. 26455). Tale conclusione è ancor più valida nel caso in cui il consistente mutamento di destinazione d’uso è accompagnato da opere, come nel caso di chiusura perimetrale di uno spazio prima aperto.

Rateazione oneri concessori

Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. II quater Roma, sent. 25 luglio 2017 n. 8929
Massima: L’Amministrazione comunale è pienamente legittimata ad applicare, nei confronti del destinatario di un titolo edilizio che abbia richiesto la rateizzazione del pagamento degli oneri relativi al costo di costruzione, le sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato o omesso versamento dei suddetti oneri, anche nell’ipotesi in cui abbia omesso di escutere la polizza fideiussoria prestata a garanzia dell’adempimento ovvero di sollecitare il pagamento presso il debitore principale, non essendo ravvisabile a suo carico alcun onere collaborativo e/o sollecitatorio nei confronti del soggetto obbligato

 

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 24 del 7 dicembre 2016, ha affermato che l’Amministrazione comunale è pienamente legittimata ad applicare, nei confronti del destinatario di un titolo edilizio che abbia richiesto la rateizzazione del pagamento degli oneri relativi al costo di costruzione, le sanzioni pecuniarie previste dalla legge per il caso di ritardato o omesso versamento dei suddetti oneri, anche nell’ipotesi in cui abbia omesso di escutere la polizza fideiussoria prestata a garanzia dell’adempimento ovvero di sollecitare il pagamento presso il debitore principale, non essendo ravvisabile a suo carico alcun onere collaborativo e/o sollecitatorio nei confronti del soggetto obbligato.

Secondo il Supremo Consesso, “il sistema di pagamento del contributo di costruzione è caratterizzato dalla presenza solo eventuale di una garanzia prestata per l’adempimento del debito principale e di un parallelo strumento a sanzioni crescenti, con chiara funzione di deterrenza dell’inadempimento, che trova applicazione, in base alla legge, al verificarsi dell’inadempimento dell’obbligato principale.

In tale sistema, l’amministrazione comunale, allo scadere del termine originario di pagamento della rata ha solo la facoltà di escutere immediatamente il fideiussore onde ottenere il soddisfacimento del suo credito; ma ove ciò non accada, l’amministrazione avrà comunque il dovere/potere di sanzionare il ritardo nel pagamento con la maggiorazione del contributo a percentuali crescenti all’aumentare del ritardo. Peraltro, solo alla scadenza di tutti termini fissati al debitore per l’adempimento (e quindi dopo aver applicato le massime maggiorazioni di legge), l’Amministrazione avrà il potere di agire nelle forme della riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore principale (art. 43 d.P.R. n. 380 del 2001).

La portata di tale ultima disposizione è peraltro tale da ritenere che l’amministrazione, se pure non è impedita dallo svolgere attività sollecitatoria dei pagamenti (senza attingere al rimedio straordinario della riscossione coattiva) in occasione delle scadenze dei termini intermedi cui sono correlati gli aumenti percentuali del contributo secondo il già indicato modello, è certo facultata ad attendere il volontario pagamento da parte del debitore (e eventualmente del suo fideiussore), salvo in ogni caso restando il suo potere-dovere di applicare le sanzioni di legge per il ritardato pagamento.

Per quanto su evidenziato, deve convenirsi sul fatto che la lettera della legge sia chiara nell’assegnare all’amministrazione il potere/dovere di applicare le sanzioni al verificarsi di un unico presupposto fattuale, e cioè il ritardo nel pagamento da parte dell’intestatario del titolo edilizio (o di chi gli sia subentrato secundum legem)”.

Sul piano civilistico, poi, l’Adunanza Plenaria rileva che “l’applicazione dei canoni civilistici della correttezza e della buona fede nell’adempimento delle obbligazioni ed in sede di esecuzione contrattuale (artt. 1175 e 1375 cod.civ.), ove anche applicati allo speciale rapporto che lega – in posizione non paritetica – l’Amministrazione che rilascia il titolo edilizio e il privato cittadino (cui viene imposto il pagamento dei relativi oneri) non potrebbe condurre a conclusioni diverse da quelle fin qui esposte.

E invero, anche nei rapporti interprivati, il mancato pagamento, alla scadenza del termine convenuto, di un’obbligazione portable da eseguirsi al domicilio del creditore (nel cui genus rientra pacificamente l’obbligazione pecuniaria ai sensi dell’art. 1182, comma 2, cod.civ.) determina ipso facto l’inadempimento del debitore, il quale è costituito in mora senza necessità di intimazione o richiesta fatta per iscritto ( cfr. art. 1219 cod.civ.).

Non è pertanto esigibile, neanche secondo i canoni del diritto civile, un onere collaborativo a carico dell’amministrazione creditrice tale per cui la stessa possa essere giuridicamente tenuta a sollecitare il pagamento del credito alla scadenza del termine ovvero ad escutere tempestivamente (e necessariamente) l’obbligazione fideiussoria prestata in suo favore. E, d’altra parte, anche secondo i canoni civilistici, il creditore non è onerato, e ancor meno obbligato, a escutere preventivamente il fideiussore prima di agire nei confronti del debitore (salvo che non si rinvenga una clausola contrattuale in tal senso).

Per tutte le ragioni già enunciate è da escludere che un siffatto onere sussista ed è del pari escluso che la sua ipotizzata genesi possa ricondursi al dovere di correttezza (art. 1175 cod. civ.) cui devono ispirare il comportamento il debitore ed il creditore nello svolgimento del rapporto obbligatorio. Anche il principio relativo all’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.) non risulta correttamente evocato nella fattispecie posto che, se il debitore è inadempiente alla scadenza del termine fissato per il pagamento e se, sul piano civilistico, egli subisce tutte le conseguenze negative derivanti dalla mora ex re a prescindere dall’eventuale inerzia del creditore, non sarebbe giuridicamente corretto assimilare tale semplice inerzia dell’amministrazione a un atteggiamento addirittura contrario a buona fede, in quanto funzionale all’arricchimento derivante dalle maggiorazioni del contributo dovuto in applicazione delle sanzioni”.

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Ricostruzione edificio esistente: qualifica dell’intervento

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 28 luglio 2017 n. 3763
Massima: La ricostruzione di un edificio esistente in altro sito, seppur nello stesso lotto, ma non nella stessa area di sedime, non è un’ipotesi di ristrutturazione ma di nuova costruzione

 

La ricostruzione di un edificio esistente in altro sito, seppur nello stesso lotto, ma non nella stessa area di sedime, integra a tutti gli effetti un nuovo edificio.

La giurisprudenza è costante nel ritenere ciò (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 1 agosto 2016, n. 3466; successivamente sez. IV, n. 447 del 2017 cui si rinvia a mentre dell’art. 74 e 88, co.2, lett. d), c.p.a.). D’altra parte, anche le modifiche al DPR n. 380 del 2001, ascrivibili al c.d. “Decreto del fare” (D.L. n. 69 del 2013 convertito in nella legge n. 98 del 2013), hanno eliminato il vincolo della sagoma di fatto ampliando il concetto di ristrutturazione, ma non hanno modificato l’obbligo che l’edificio ricostruito/ristrutturato insista nella stessa area di sedime.

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Vicino confinante: procedimento per il rilascio di una concessione edilizia

Estremi della sentenza: TRGA sez. Bolzano, sent. 25 luglio 2017 n. 246
Massima: Il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di una concessione edilizia

 

Secondo consolidato insegnamento giurisprudenziale, il vicino controinteressato (solitamente, il proprietario confinante) non è un soggetto contemplato tra quelli cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di una concessione edilizia: “Non sussiste alcun obbligo di dare comunicazione ai proprietari di immobili vicini dell’avvio del procedimento diretto al rilascio di una concessione edilizia, in quanto gli interessi coinvolti dal provvedimento con cui si consente la trasformazione edilizia del territorio sono di tale varietà ed ampiezza da rendere difficilmente individuabili tutti i soggetti che dall’emanazione dell’atto potrebbero ricevere nocumento” (così TRGA Trento, sent. n. 110/2010; nello stesso senso, Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. n. 4847/2009). Né rileva la circostanza che il vicino si sia opposto in precedenti occasioni all’attività edilizia dell’altro soggetto confinante (cfr. TAR Liguria, Genova, Sez. I, 10 luglio 2009, n. 1736).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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