Parti comuni in condominio, per fare i lavori serve l’assenso dei proprietari

I lavori edilizi da fare sulle parti comuni del condominio, tra cui il tetto e i muri maestri, devono essere preceduti dall’assenso dei comproprietari

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Come ogni lunedi, ecco le sentenze più interessanti pubblicate nel corso della settimana scorsa. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: intervento edilizio su parti comuni del condominio: assenso dei comproprietari; staccionata per il contenimento del terreno: qualificazione dell’intervento; apposizione del vincolo culturale: manufatto in rovina; edificazione in zona vincolata: titoli abilitativi necessari; oneri per concessione edilizia in sanatoria: prescrizione; fasce di rispetto stradale; indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici: prescrizione.

Intervento edilizio sulle parti comuni del condominio

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VIII Napoli, sent. 14 luglio 2017 n. 3775
Massima: I lavori edilizi da eseguirsi anche sulle parti comuni del condominio, tra cui il tetto e i muri maestri, devono essere preceduti dal previo assenso dei comproprietari

 

Ai sensi del comma 1 dell’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 “Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”.

L’Amministrazione comunale, cui è rimessa sul piano istruttorio la delibazione di conformità urbanistica di ogni progetto edilizio, deve, pertanto, verificare, tra l’altro, che esista un titolo idoneo per eseguire le opere, che assurge a presupposto di legittimità sia degli interventi che implicano il rilascio del permesso di costruire sia di quelli soggetti al regime semplificato della d.i.a..

È pur vero che la giurisprudenza amministrativa esclude l’esistenza di un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile e, soprattutto in passato, era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia fosse solo quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi, senza che la mancata considerazione di tali diritti potesse in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto.

Tuttavia, più recentemente la giurisprudenza amministrativa (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sezione V, 15 marzo 2001, n. 1507 e 21 ottobre 2003, n. 6529; T.A.R. Campania, Sezione II, 29 marzo 2007 n. 2902), ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili.

In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di un’attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.

Ha, pertanto, concluso nel senso che, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto dell’effettiva corrispondenza tra l’istanza edificatoria e la titolarità del prescritto diritto di godimento (T.A.R. Napoli, Sez. II, 7 giugno 2013, n. 3019).

In particolare è stato ritenuto che i lavori edilizi da eseguirsi anche su parti indicate come comuni del fabbricato e trattandosi di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, tra cui il tetto e i muri maestri, devono essere preceduti dal previo assenso dei comproprietari. In tale situazione il Comune ha un preciso obbligo di valutazione istruttoria relativamente all’accertamento dell’esistenza del consenso alla realizzazione da parte di tutti i condomini (T.A.R. Salerno, Sez. II, 7 marzo 2008, n. 263, Consiglio di Stato, Sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1566).

Realizzazione di una staccionata per il contenimento del terreno

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VII Salerno, sent. 13 luglio 2017 n. 3749
Massima: La realizzazione di una staccionata di legno finalizzata al contenimento del terreno è attività edilizia libera

 

Non può essere qualificata come nuova costruzione subordinata al permesso di costruire la realizzazione di una “fitta staccionata in pali di legno di castagno, di lunghezza ml 19,50 circa, d’altezza media m.1,50 circa con sovrastante passamano in pali in legno di castagno, d’altezza m.1,10 circa”, in quanto l’intervento non rientra in nessuna delle definizioni di cui all’art. 3 comma 1 lett. e) del d.P.R. n. 380/2001.

Né può essere qualificato come un intervento di cd. “ristrutturazione pesante” di cui all’art. 3 comma 1 lett. d), non potendo essere qualificato come un intervento rivolto “a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.

Tale intervento, piuttosto, va qualificato come un intervento di pratica agro-silvo-pastorale, di cui all’art. 6 comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 380/2001: la staccionata, oltre a non comportare una trasformazione irreversibile del territorio, è palesemente funzionale al contenimento del terreno. Dunque, va qualificata come un’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6 comma 1 del d.P.R. n. 380/2001.

Apposizione vincolo culturale per un manufatto in rovina

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 10 luglio 2017 n. 3382
Massima: Il vincolo culturale può essere imposto anche su un immobile in parziale o quasi totale rovina

 

L’Amministrazione statale ben possa imporre il vincolo culturale anche quando un manufatto – risalente nel tempo e di pregio – risulti oggetto di parziale o anche di quasi totale rovina (per fenomeni naturali o per manum hominis) e si intenda comunque tutelarne le vestigia, sia quando la ricostruzione per un qualsiasi accadimento non abbia luogo, sia quando essa abbia luogo.

Poiché i beni aventi un rilievo artistico, storico o archeologico nel corso del tempo subiscono lenti degradi ovvero traumatiche rovine per eventi naturali o altre cause, è del tutto ragionevole che l’Amministrazione statale imponga il vincolo su ciò che resta ovvero su ciò che è stato ripristinato o ricostruito.

Edificazione in zona vincolata – titoli abilitativi necessari

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VI Salerno, sent. 11 luglio 2017 n. 3731
Massima: Per poter edificare in zona vincolata occorre ottenere due titoli abilitativi: permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica

 

Per poter edificare in zona vincolata occorre ottenere due titoli abilitativi: quello concessorio e l’autorizzazione paesaggistica.

I due titoli (T.A.R. Campania, sez. VIII n. 2652/2012), permesso di costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e l’inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli. La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio – ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino.

Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l’inizio dei lavori è subordinato all’adozione di entrambi i provvedimenti (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1995, n. 376; Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 1990, n. 61; Cons. Stato, sez. II, 10 settembre 1997, n. 468; Consiglio di Stato sez. VI n. 547 del 10.02.2006). La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi di nulla osta paesaggistico, è data dall’impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell’acquisizione del necessario nulla osta paesaggistico.

Prescrizione degli oneri per concessione edilizia in sanatoria

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Milano, sent. 10 luglio 2017 n. 1565
Massima: Il diritto di riscuotere gli oneri concernenti il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ha prescrizione decennale

 

Riguardo al diritto di riscuotere gli oneri concernenti il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, la prescrizione è quella ordinaria decennale, per il combinato disposto degli articoli 2946 e 2936 c.c.

Nella determinazione delle somme dovute a titolo di oneri concessori, l’Amministrazione non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti, per cui le relative controversie rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi. Per il credito in questione vige, pertanto, il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c. che, ai sensi dell’art. 2936 c.c., comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (cfr., per tutte, TAR Campania, sez. VIII, 16 aprile 2014, n. 2170).

Fasce di rispetto stradale

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 12 luglio 2017 n. 1600
Massima: Le fasce di rispetto stradale non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale; il regime di inedificabilità delle fasce di rispetto stradali non può essere inteso alla stregua di un vincolo espropriativo

 

Il regime di inedificabilità delle fasce di rispetto stradali non può essere inteso alla stregua di un vincolo espropriativo, dovendosi ritenere che tale regime debba essere ricondotto all’effetto (conformativo) consistente nell’imposizione alla proprietà dell’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 13 marzo 2008, n. 1095; id., sez. IV, 27 settembre 2012, n. 5113; TAR Puglia – Lecce, 19 ottobre 2011, n. 1798; TAR Lombardia – Milano, 21 aprile 2011, n. 1019).

Le fasce di rispetto stradale non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 20 ottobre 2000, n. 5620).

Esse non impediscono, per esempio, la realizzazione degli impianti di distribuzione dei carburanti, disciplinata dal D.lgs. 32/1998 (“Razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti”), che all’art. 2, comma 3 ha previsto che “il Comune, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, individua le destinazioni d’uso compatibili con l’installazione degli impianti all’interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli articoli 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il nuovo codice della strada, e successive modificazioni” (cfr. TAR Molise, 23 settembre 2010, n. 1050).

Indennità per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici

Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 11 luglio 2017 n. 466
Massima: L’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa con prescrizione quinquiennale

 

L’art. 167 d.lg. n. 42/2004 (già art. 15 l. n. 1497/1939, divenuto poi art. 164 d.lg. n. 490/1999) va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che, come tale, prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale.

È quindi applicabile anche a tale sanzione il principio contenuto nell’art. 28 della l. n. 689/1981, secondo cui “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione; disposizione, quest’ultima, applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 l. n. 689/1981); e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.

Il dies a quo della decorrenza della prescrizione deve ritenersi coincidente con l’atto che fa cessare nel tempo la illiceità del comportamento edilizio osservato e cioè quello della intervenuta concessione edilizia in sanatoria, la quale appunto rimuove ogni ragione di incompatibilità dell’opera con gli assetti urbanistici e territoriali e fa venir meno dunque la permanente illiceità che l’accompagnava dall’atto della sua realizzazione (T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. I, 01 aprile 2016 n. 824; T.A.R. Sicilia – Palermo, sez. I, 12 maggio 2017 n. 1304; T.A.R. Campania – Salerno, 8 maggio 2017 n. 861; T.A.R. Puglia – Lecce, sez. III, 01 agosto 2016 n. 1313; T.A.R. Lazio – Latina, sez. I, 25 luglio 2016 n. 499; T.A.R. Veneto, 21 gennaio 2013, n. 59; T.A.R. Toscana, sez. III, 09 luglio 2014 n. 1220; Consiglio di Stato, sezione seconda, 21 giugno 2013 n. 2901; Consiglio di Stato, sezione seconda, 14 marzo 2014 n. 868).

Deve infatti ritenersi che “nell’ambito dell’illecito amministrativo la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione inizia conseguentemente a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria, o con il conseguimento del titolo in sanatoria”; e che “il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione delle permanenza anche dell’illecito paesaggistico” (Consiglio di Stato, sezione seconda, n. 868/2014).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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