
Split Payment dal 1° luglio significa che da quella data, a saldo delle fatture, le stazioni appaltanti non riconoscono più l’Iva a costruttori e progettisti (e fornitori) ma devono versarla direttamente allo Stato. Nel recinto dello Split Payment finiscono anche gli ordini professionali. Si tratta di lavori per almeno altri 9 miliardi all’anno.
Lo Split Payment funziona dal 2015 per Comuni, Province e Regioni. Di nuovo c’è che la Manovrina di primavera ha prorogato la misura fino al 2020 compreso e ha allargato l’elenco di soggetti obbligati a versare l’Iva direttamente allo Stato ai progettisti, per la lotta all’evasione fiscale, in particolare la microevasione. Tra il 2015 e il 2016 lo Split Payment avrebbe permesso di recuperare 3,5 miliardi. La finalità e senz’altro una buona intenzione, ma bisogna trovare un modo per azzerare gli effetti negativi.
Split Payment: le conseguenze sui progettisti
Lo Split Payment si applicherà a imprese che hanno marginalità molto basse e saranno costrette ad anticipare l’Iva, aspettando il rimborso. Ma il rimborso ha tempi medi di 8-12 mesi. Se funzionasse il meccanismo dei rimborsi, gli effetti dello Split Payment non sarebbero così pesanti. Sarà l’Agenzia delle Entrate a rimborsare l’Iva con i propri fondi e l’obiettivo sarebbe di limitare i tempi di rimborso a tre mesi. “Sarebbe”, appunto: spesso i tempi lievitano a sei mesi o un anno. La situazione rischia di diventare ancora più critica di quanto già non sia: molti costruttori sono stati costretti a chiedere finanziamenti alle banche… per poter pagare l’Iva.
Quando i progettisti e le imprese dovranno pagare i fornitori e i materiali dovranno versare il costo più l’Iva (22%). Quando si tratterà di essere pagati per il progetto per cui servizi o materiali sono stati acquistati, riceveranno il costo sottratto del 22%. Su un fatturato di cinque milioni, per esempio, almeno un milione se ne va in costi Iva.
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