Riciclo inerti, non si può costruire un impianto industriale in zona agricola

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Ecco la consueta selezione settimanale delle sentenze di edilizia e urbanistica. Gli argomenti di oggi sono: zona agricola, ammissibilità della costruzione di un impianto industriale per il riciclo di inerti; decadenza del vincolo preordinato all’esproprio, obbligo del Comune di attribuire una specifica destinazione all’area interessata; osservazioni allo strumento urbanistico, natura e modalità per il rigetto; antenna per radioamatori, permesso di costruire; stazioni radio base, compatibilità con le destinazioni urbanistiche; opere per la realizzazione di un canile, permesso di costruire; vincolo per attrezzature e servizi; manufatto per la protezione dalla pioggia degli impianti tecnologici: natura di volume tecnico.

Zona agricola: costruzione di un impianto industriale per riciclaggio inerti

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VIII Napoli, sent. 20 giugno 2017 n. 3356
Massima: La costruzione di un impianto industriale per il riciclaggio di inerti non è ammissibile in zona agricola

 

Sebbene la destinazione agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, e quindi non è di per sé funzionale al solo uso strettamente agricolo del terreno, come ritenuto anche dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 luglio 2011, n. 4505, 18 gennaio 2011, n. 352), tuttavia ciò non è sufficiente a ritenere ammissibile la realizzazione di un impianto industriale per il riciclaggio di inerti in zona agricola.

E in realtà, come è stato evidenziato in caso analogo dalla giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 luglio 2011, n. 4505 cit.), si è in presenza di un’opera che, in ragione all’uso cui è preposta, reca necessariamente caratteristiche strutturali e tipologiche del tutto inconciliabili con la destinazione agricola e tanto con riferimento non solo all’utilizzo concreto del suolo, ma alla naturale vocazione dei terreni, stante l’evidente compromissione delle finalità proprie di quella parte del territorio vocata e destinata a fini agricoli.

D’altra parte, se considera che uno degli scopi per cui non si ammette l’edificazione di tipo residenziale in aree agricole (se non in determinate eccezioni) è quello di evitare la cementificazione del territorio, a maggior ragione non si può consentire la realizzazione di un’opera – riciclaggio di inerti – che, quanto alle sue caratteristiche costruttive e di utilizzazione introduce un impatto negativo sul territorio ancor più marcato e devastante in ragione della tipologia edilizia e dell’attività da esercitarsi (in questi termini, ancora, Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 luglio 2011, n. 4505).

Vincolo per attrezzature e servizi

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. II Napoli, sent. n. 23 giugno 2017 n. 3436
Massima: I vincoli di destinazione imposti dal PRG per attrezzature e servizi, quali parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, realizzabili anche a iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato, non sono vincoli espropriativi

 

Per consolidato indirizzo interpretativo, la distinzione tra vincoli conformativi e vincoli espropriativi è nel fatto che questi ultimi implicano uno svuotamento sostanziale del contenuto del diritto dominicale che, viceversa, non si verifica nel caso dei vincoli che (nel limitare il diritto di proprietà, ai sensi dell’art. 42, comma 2, Cost.) impongono una destinazione, anche di contenuto specifico, realizzabile a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, tale da non richiedere necessariamente l’espropriazione dell’area e l’intervento a esclusiva iniziativa pubblica (ex multis, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 22 giugno 2011, n. 3797; sent. 6 ottobre 2014, n. 4976; 9 dicembre 2015, n. 5582; sez. VI, sent. 5 giugno 2015, n. 2769).

In particolare, la giurisprudenza ha puntualmente chiarito che anche i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi, quali parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari etc., realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato, se pure hanno carattere particolare, sfuggono comunque allo schema ablatorio e alle connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività fra indennizzo e durata predefinita (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 3797/2011).

Decadenza del vincolo preordinato all’esproprio

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. VIII Napoli, sent. 20 giugno 2017 n. 3357
Massima: Il Comune ha l’obbligo di attribuire una specifica destinazione alle aree che ne sono rimaste prive a seguito di decadenza del vincolo preordinato all’esproprio

 

L’attribuzione di una specifica destinazione alle aree che ne sono rimaste prive, a seguito di decadenza del vincolo preordinato all’esproprio, corrisponde a un obbligo di provvedere del Comune, che deve quindi esercitare le proprie potestà discrezionali in materia di pianificazione urbanistica.

L’obbligo dell’Amministrazione di provvedere può, inoltre, derivare non solo da puntuali previsioni legislative o regolamentari ma anche, come nel caso di specie, dalla peculiarità della fattispecie, nella quale ragioni di giustizia o equità impongono l’adozione di provvedimenti o comunque lo svolgimento di un’attività amministrativa, alla stregua dei principi posti in via generale dall’art. 97 cost. (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 4609; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 12 maggio 2011, n. 830; T.A.R. Puglia Lecce sez. III, 15 ottobre 2010, n. 2078).

Il Comune deve, quindi, rispondere alle istanze formulate in tal senso e ha l’obbligo di pronunciarsi sulla domanda del privato interessato.

Osservazioni allo strumento urbanistico: modalità per il rigetto

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 20 giugno 2017 n. 1371
Massima: Le osservazioni ad un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo; l’Amministrazione deve esaminarle ma non può essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano

 

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all’Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree; pertanto, seppure l’Amministrazione è tenuta a esaminare le osservazioni pervenute, non può però essere obbligata ad una analitica confutazione di ciascuna di esse, essendo sufficiente per la loro reiezione il mero contrasto con i principi ispiratori del piano” (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 30 marzo 2017, n. 761; 30 novembre 2016, n. 2271; altresì, T.A.R. Toscana, I, 6 settembre 2016, n. 1317; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 26 luglio 2016, n. 1505).

Antenna per radioamatori: permesso di costruire

Estremi della sentenza: TAR Liguria, sez. I, sent. 20 giugno 2017 n. 540
Massima: L’installazione di un’antenna per radioamatori non richiede il permesso di costruire

 

Secondo la prevalente giurisprudenza (TAR Lazio, Latina, sent. 2011/861, TAR Abruzzo, Pescara, 2009, n. 207; TAR Piemonte, sent. n. 2156/2002), le antenne per radioamatori possono essere installate senza che sia necessario il rilascio di un titolo edilizio, una nozione che si può derivare con maggiore precisione dopo l’entrata in vigore del d.lvo 2003, n. 259.

L’intervento autorizzativo della P.A. è previsto solo nel caso in cui l’impianto riguardi un sito paesisticamente rilevante.

Stazioni radio base: compatibilità con le destinazioni urbanistiche

Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. II quater Roma, sent. 22 giugno 2017 n. 7322
Massima: L’installazione di stazioni radio base sia compatibile con qualsiasi destinazione del piano regolatore comunale

 

Ai sensi dell’art. 86 comma 3 del d.lgs. n. 1 agosto 2003 n. 259, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all’interno degli edifici sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria. Sulla base di tale disposizione, la giurisprudenza ritiene che l’installazione di stazioni radio base sia compatibile con qualsiasi destinazione del piano regolatore comunale (Tar Lazio II quater 9 gennaio 2015, n. 240; Consiglio di Stato VI, 28 giugno 2010, n. 4135; Consiglio di Stato VI n. 5044 del 17 ottobre 2008 con riferimento alla zona agricola).

Inoltre, la realizzazione delle stazioni radio base per la telefonia mobile non è soggetta a prescrizioni urbanistiche-edilizie preesistenti, dettate con riferimento ad altre tipologie di opere (quali le costruzioni), elaborate quindi con riferimento a possibilità di diversa utilizzazione del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia e dell’inquinamento elettromagnetico in generale, e che, inoltre, il titolo concessorio non possa essere negato se non con riguardo ad una specifica disciplina conformativa che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico, dovendosi rilevare, peraltro che gli impianti tecnologici non sviluppano di norma volumetria o cubatura se non limitatamente ai basamenti o alle cabine accessorie (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557).

Opere per la realizzazione di un canile: il permesso di costruire

Estremi della sentenza: TAR Abruzzo, sez. Pescara, sent. 19 giugno 2017 n. 190
Massima: Serve il permesso di costruire per l’installazione di roulottes, tettoie, box e gazebo funzionalmente destinati nel loro complesso alla realizzazione di un canile

 

L’installazione di roulottes, tettoie, box e gazebo funzionalmente destinati nel loro complesso alla realizzazione di un canile necessita del permesso di costruire.

L’art. 3, lett. e. 5) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riconduce alla nozione di “intervento di nuova costruzione” anche l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.

La giurisprudenza del resto ha costantemente affermato che si è in presenza di una “nuova costruzione” in caso di opere che comunque implichino una stabile – ancorché non irreversibile – trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, preordinata a soddisfare esigenze non precarie del committente sotto il profilo funzionale e della destinazione dell’immobile (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 20 giugno 2011 n. 3683; Consiglio Stato, sez. IV, 22 dicembre 2007 n. 6615; Consiglio di Stato, sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 986; T.A.R. Bologna, sez. I, 20/04/2016, n. 423).

Nel caso di specie, dunque, analogamente a quanto riscontrabile in quelli già decisi dalla giurisprudenza richiamata, tutte le strutture installate, nel loro complesso, debbono essere qualificate come “intervento di nuova costruzione, a nulla rilevando che si tratti di manufatti mobili (come le roulotte) o leggeri (come le tettoie o i gazebo), data la loro complessiva destinazione funzionale (come elementi principali o accessori) alla realizzazione di una costruzione stabile destinata a ricovero di animali.

A prescindere dalla legittimità o meno dell’attività ivi esercitata, ciò che rileva sotto il profilo urbanistico è infatti che si tratti, nel loro complesso, di strutture stabilmente destinate all’esercizio di un’attività continuativa – sia essa economica e di mero svago del ricorrente – e quindi si tratti conseguentemente di strutture non meramente temporanee, ma stabili e perciò idonee a realizzare una trasformazione edilizia del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 24 luglio 2012 n. 4214).

In tale contesto, ad una valutazione più approfondita in sede di merito, anche quei manufatti che considerati singolarmente avrebbero natura pertinenziale o precaria, vanno, nel caso di specie, considerati in ragione del descritto vincolo funzionale che li lega al complesso delle opere realizzate, non potendosi prescindere da un criterio finalistico attinente alla destinazione delle stesse. Difatti, privati delle opere principali, alle quali accedono, tali manufatti minori, benché ordinariamente sottoposti ad una sanzione diversa dalla rimozione in pristino, nel caso di specie non potrebbero essere sottratti alla sanzione della demolizione, proprio in base al principio di accessorietà (compendiato nel brocardo “accessorium sequitur principale”), in virtù del quale può affermarsi che essi “simul stabunt simul candent”.

In materia edilizia difatti l’idoneità di un’opera a determinare la trasformazione urbanistica o edilizia del territorio non risiede nelle caratteristiche dei materiali o elementi utilizzati, quanto nella funzione cui la medesima è destinata, la quale appunto deve essere stabile e non precaria, come nel caso di specie (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27 aprile 2016 n. 1619).

Le strutture in discorso, in sostanza, sono state realizzate con una destinazione stabile e per soddisfare esigenze non temporanee costituendo una “trasformazione edilizia” a tutti gli effetti (cfr. Cons. di Stato sentenza n. 4881/2014).

Manufatto per la protezione dalla pioggia degli impianti tecnologici

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. II Salerno, sent. 23 giugno 2017 n. 3439
Massima: Un manufatto di circa 33 mq. per la protezione dalla pioggia degli impianti tecnologici e della scala esterna di accesso al piano di copertura può essere qualificato un mero vano tecnico

 

Per principio giurisprudenziale pacifico (cfr. T.A.R. Marche, 21.2.2017, n.141), al fine di stabilire se un locale possa essere ritenuto alla stregua di un mero vano tecnico, occorre effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche, in modo da escludere in maniera oggettiva che lo stesso possa assolvere ad una funzione abitativa, anche solo in via potenziale o per il futuro, a prescindere dalla destinazione soggettiva impressa dal proprietario (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 16.6.2016, n.1208).

In altri termini per l’individuazione della nozione di volume tecnico, come tale escluso dal calcolo della volumetria, bisogna fare riferimento a tre ordini di parametri: il primo, positivo, di tipo funzionale, dovendo esso avere un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione; il secondo e il terzo, negativi, ossia ricollegati, rispettivamente, all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse e a un rapporto di necessaria proporzionalità che deve sussistere fra le esigenze edilizie e il volume realizzato.

Quest’ultimo deve essere completamente privo di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto esclusivamente destinato a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale, che non possono essere ubicati all’interno di essa. L’applicazione di tali criteri induce a concludere che i volumi tecnici degli edifici, per essere esclusi dal calcolo della volumetria, non devono assumere le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 2.4.2015, n. 1927; III, 9.12.2014, n. 6431; VI, 6.2.2014, n. 785; T.A.R. Molise, 31.3.2014, n. 225; Cons. Stato, IV, 4.5.2010, n.2565).

Alla luce dei suddetti criteri, un manufatto per la protezione dalla pioggia degli impianti tecnologici e della scala esterna di accesso al piano di copertura può essere qualificato un mero vano tecnico, come consistente in un locale di complessivi mq. 33,33 (e precisamente mq.6,80 per vani e mq.26,53 per residuo spazio occupato dagli impianti) avente una propria e autonoma individualità fisica e conformazione strutturale, funzionalmente inserito al servizio di un’esigenza oggettiva della costruzione principale, privo di valore autonomo di mercato e tale da non consentire una destinazione diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.

Il carattere strumentale rispetto all’immobile principale risulta in maniera oggettiva e non dalla destinazione soggettivamente conferita dal progettista o dal proprietario del bene ed è facilmente rilevabile il rapporto di proporzionalità tra questi volumi e le esigenze effettivamente presenti (T.A.R. Campania, Napoli, IV, 14.11.2016, n.5248; Cons. Stato, III, 26.4.2016, n.1613) che non consentono soluzioni alternative, ciò perché in altri termini trattasi di un manufatto privo di una qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, destinato a contenere impianti serventi di una costruzione principale e che, come tali, non generano alcun aumento di carico territoriale o di impatto visivo (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 2.4.2015, n.4975; Cons. Stato , VI, 31.3.2014, n. 1512).

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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