Parti comuni in condominio, cosa serve per sanare un abuso

Per sanare un abuso realizzato dal singolo condomino su aree comuni serve il consenso degli altri comproprietari.

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Come ogi settimana, ecco una selezione delle sentenze pubblicate settimana scorsa, a proposito di: parti comuni del condominio (sanatoria per abuso edilizio e trasformazione del tetto); il titolo edilizio necessario per la realizzazione di un muro di contenimento; natura e impugnabilità del piano di zonizzazione acustica; titolo edilizio necessario per la realizzazione di una veranda sul balcone dell’appartamento; la qualificazione d’uso per uffici accessori in insediamento industriale; il titolo edilizio necessario per un capanno attrezzi da giardino di dimensioni non irrilevante.

Parti comuni condominio: come sanare un abuso

Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 5 giugno 2017 n. 378
Massima: Per la sanatoria di un abuso realizzato dal singolo condomino su aree comuni serve il consenso degli altri comproprietari

 

È inammissibile la sanatoria ove l’abuso sia stato realizzato dal singolo condomino su aree comuni, in assenza di ogni elemento di prova circa il consenso degli altri comproprietari (in tal senso, di recente, si veda Cons. St., sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818), posto che – ai sensi dell’art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, che detta le regole di legittimazione a richiedere e ottenere il permesso di costruire, applicabili anche all’accertamento di conformità – «alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo «coloro che hanno titolo, ai sensi della l. 28 gennaio 1977 n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione» (oggi i soggetti indicati dall’art. 11 t.u. edilizia), ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima»: la sanatoria, quindi, sarebbe fungibile ratione personarum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario».

Alla luce di tale principio, la concessione in sanatoria non può essere rilasciata in assenza del consenso legittimamente manifestato da parte del condominio.

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Parti comuni del condominio: trasformare il tetto in giardino pensile

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 7 giugno 2017 n. 1273
Massima: La trasformazione parziale di una parte del tetto condominiale in giardino pensile richiede l’assenso di tutti i condomini ed il proprietario esclusivo dell’ultimo piano non può procedere autonomamente

 

Secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che costui sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990).

La verifica comprende anche il rispetto dei limiti privatistici, purché tali limiti siano immediatamente conoscibili ed incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3722; id. del 10 marzo 2011, n. 1566).

Invero, in base all’art. 1117, n. 1), del codice civile, il tetto, le pareti portanti e i cortili condominiali sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari che compongono l’edificio

Ne consegue che i singoli proprietari non possono, singolarmente, apportare modificazioni a tali beni, essendo invece necessaria, ai sensi dell’art. 1120 del codice civile, una a apposita deliberazione dell’assemblea condominiale, assunta con le maggioranze stabilite dall’art. 1136 dello stesso codice; deliberazione che è dunque necessaria anche per l’ottenimento del titolo edilizio (cfr. T.A.R. Liguria, sez. 29 maggio 2015, n. 528; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II; 11 luglio 2013, n. 1820).

Queste conclusioni valgono anche con specifico riferimento al tetto, e ciò sebbene l’art. 1227 del codice civile consenta al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale di effettuare sopraelevazioni. La norma, invero, autorizza esclusivamente lo spostamento verso l’alto della copertura esistente e non anche la sua trasformazione da cui derivi una diversa utilizzazione con relativo potenziale impedimento dell’uso da parte degli altri condomini, come ad esempio quello riconducibile alla possibilità di installazione di antenne e/o alle attività di riparazione o manutenzione della copertura stessa (cfr., Cassazione civile, sez. II, 15 novembre 2016, n. 23243; id. 28 febbraio 2013, n. 5039).

Nel caso di trasformazione parziale di una parte del tetto condominiale in giardino pensile è richiesto, pertanto, l’assenso di tutti i condomini.

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Muro di contenimento: titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, sent. 5 giugno 2017 n. 518
Massima: Per la realizzazione di muro di contenimento è necessario il permesso di costruire

 

Per la realizzazione di muro di contenimento è necessario il permesso di costruire, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l’area impegnata, come tale qualificabile “intervento di nuova costruzione” ai sensi degli articoli 3, comma 1, lettera e) e 10 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

La giurisprudenza penale ha ritenuto che tale principio debba applicarsi ai muri di contenimento, in considerazione delle rilevanti dimensioni che l’opera in genere assume ed alla modificazione edilizia permanente del territorio che essa determina (Cass. pen., Sez. III, 14 novembre 2011, n. 41425).

Deve considerarsi senz’altro di rilevanti dimensioni un’opera costituita da tre muri di contenimento ad “U” per una lunghezza complessiva di mt. 10 circa e per un’altezza di mt. 1,50 circa con sopraelevazione della carpenteria in legno di circa 30 cm. per tutta la lunghezza ed applicazione di due tiranti in ferro con tenuta conficcata nel terreno. In base al noto orientamento per cui si deve qualificare l’intervento edilizio quale nuova costruzione quante volte abbia l’effettiva idoneità di determinare significative trasformazioni urbanistiche e edilizie, facendo riferimento all’impatto effettivo che le opere strumentali generano sul territorio (in termini, ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2016, n. 10), il titolo abilitativo necessario nel caso di specie è il permesso di costruire.

È opportuno, inoltre, rammentare che la giurisprudenza ha affermato quanto segue: mentre per “muro di cinta” devono intendersi quelle opere di recinzione, non suscettibili di modificare o alterare sostanzialmente la conformazione del terreno, che assumono natura pertinenziale in quanto hanno esclusivamente la funzione di delimitare, proteggere o eventualmente abbellire la proprietà, ben diversa è la consistenza e la funzione dei cc.dd. “muri di contenimento”, i quali si differenziano sostanzialmente dalle mere recinzioni non solo per la funzione, ma anche, perché servono a sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso. Per assolvere a tale funzione, i muri di contenimento devono presentare necessariamente una struttura a ciò idonea per consistenza e modalità costruttive. Il muro di contenimento… è sotto il profilo edilizio un’opera ben più consistente di una recinzione proprio in quanto non esclusivamente preordinata a recingere la proprietà e, soprattutto, è dotata di propria specificità ed autonomia, in relazione alla sua funzione principale dianzi illustrata: il che pertanto esclude la sua riconducibilità al concetto di pertinenza, conseguendone, data la rilevanza delle modifiche che esso produce, sia la necessità del suo assoggettamento al regime concessorio all’epoca vigente…” (Consiglio di Stato, Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1651).

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Piano di zonizzazione acustica: natura e impugnabilità

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. I Napoli, sent. 5 giugno 2017 n. 2948
Massima: Il piano di zonizzazione acustica è un atto generale normativo di natura regolamentare, cui il legislatore ha assegnato il compito di disciplinare gli indici di tollerabilità dei rumori per ciascuna zona del territorio comunale cui ha riferimento; di norma è impugnabile solo se presente immediati effetti lesivi

 

Il piano di zonizzazione acustica è un atto generale normativo di natura regolamentare, cui il legislatore ha assegnato il compito di disciplinare gli indici di tollerabilità dei rumori per ciascuna zona del territorio comunale cui ha riferimento. In ragione della sua natura di atto pianificatorio generale, esso di regola è privo di attitudine offensiva nei confronti degli amministrati, i quali se ne potranno dolere eventualmente in sede di impugnativa congiunta con l’atto applicativo che rende concreta la lesione prima solo potenziale della loro sfera giuridica, salvo che l’atto pianificatorio non presenti profili di specificazione tali da produrre un immediato effetto lesivo.

In proposito, ormai da tempo, la giurisprudenza amministrativa ha distinto, con riguardo all’onere di impugnativa delle fonti normative secondarie, tra due categorie di atti regolamentari: da un lato gli atti contenenti solo “volizioni preliminari”, cioè statuizioni di carattere generale, astratto e programmatorio, come tali non idonei a produrre una immediata incisione nella sfera giuridica dei destinatari, i quali vanno impugnati necessariamente assieme ai relativi atti applicativi (cd. tecnica della doppia impugnazione); dall’altro, gli atti regolamentari denominati “volizione-azione”, i quali contengono, almeno in parte, previsioni destinate a una immediata applicazione e quindi, come tali, capaci di produrre un immediato effetto lesivo nella sfera giuridica dei destinatari; gli stessi devono essere gravati immediatamente, a prescindere dalla adozione di atti applicativi

Cfr.:
– TAR Bari, sez. I, 9 giugno 2016, n. 730;
– TAR Lazio Roma, sez. II, 22 febbraio 2016, n.2283;
– TAR Firenze, sez. I, 8 settembre 2015, n. 1194;
– TAR Bari, sez. I, 11 maggio 2015, n.677;
– TAR Palermo, sez. II, 4 dicembre 2014, n. 3167;
– TAR Lazio Roma, sez. I, 13 dicembre 2011 n. 9718;
– TAR Emilia-Romagna Parma, sez. I, 26 ottobre 2010, n.474;
– TAR Lombardia Brescia, 30 aprile 2010, n. 1662;
– TAR Emilia-Romagna Parma, sez. I, 24 luglio 2008, n. 363;
– TAR Emilia-Romagna Parma, 8 marzo 2006, n. 95;
– TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 12 aprile 2005, n.615;
– Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 2005, n. 450.

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Realizzazione di una veranda sul balcone: che titolo edilizio serve?

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 7 giugno 2017 n. 1273
Massima: Serve il permesso di costruire per le verande edificate sulla balconata di un appartamento

 

Per costante giurisprudenza (T.A.R. Napoli, sez. IV, sent. 15 gennaio 2015, n. 259; sent. 6 luglio 2007, n. 6551; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 maggio 2008, n. 4255 e sent. 17 febbraio 2009, n. 847), gli interventi edilizi che determinano una variazione planovolumetrica e architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzati, quali le verande edificate sulla balconata di un appartamento, sono soggetti al preventivo rilascio di permesso di costruire. Ciò in quanto, in materia edilizia, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile (Cassazione penale, sez. III, 10 gennaio 2008, n. 14329).

Né può assumere rilievo la natura dei materiali utilizzati per tale chiusura, in quanto la chiusura, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, costituisce comunque un aumento volumetrico. In proposito il Collegio rileva che le strutture fissate in maniera stabile al pavimento, comportano la chiusura di una parte del balcone, con conseguente aumento di volumetria. Ed invero in materia urbanistico – edilizia il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di (almeno) un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere appunto una superficie chiusa su un minimo di tre lati (cfr. Tar Campania, Napoli, IV, 24.5.2010, n. 8342; Tar Piemonte, 12.7.2005, n. 2824).

Inoltre a prescindere da tale rilievo, gli interventi in oggetto determinano la modifica dei prospetti. Pertanto, la realizzazione di tali opere è qualificabile come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 380/01, nella misura in cui realizza “l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”, ed è quindi subordinata al regime del permesso di costruire, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, lettera c), dello stesso D.P.R. laddove comporti una modifica della sagoma o del prospetto del fabbricato cui inerisce (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, IV, 21.12.2007, n. 16493).

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Uffici accessori in insediamento industriale: qualificazione d’uso

Estremi della sentenza: TAR Abruzzo, sez. I Pescara, sent. 6 giugno 2017 n. 186
Massima: Gli uffici previsti come accessori all’insediamento industriale localizzato nello stesso immobile devono qualificarsi come costruzioni destinate esse stesse ad attività industriale

 

Ai sensi dell’articolo 23 ter comma 2 del dpr n. 380 del 2001, la destinazione d’uso di un’unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile. Infatti, la giurisprudenza ha già chiarito che gli uffici, ove “previsti come accessori all’insediamento industriale localizzato nello stesso immobile, devono qualificarsi come costruzioni destinate esse stesse ad attività industriale, giacché la diversificazione del regime dei contributi edilizi riguarda la complessiva ed unitaria attività imprenditoriale che si svolge in un medesimo immobile o complesso immobiliare e non le singole parti dell’immobile in cui si svolgono le diverse fasi o funzioni nelle quali si articola una medesima attività” (cfr. Tar Milano, sez. II, 11/03/2002, n. 1036).

Conseguentemente, l’ufficio esistente in un capannone artigianale deve essere considerato come destinato ad attività artigianale.

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Capanno attrezzi di dimensioni non irrilevanti: titolo edilizio necessario

Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. II bis Roma, sent. 6 giugno 2017 n. 6670
Massima: Serve il permesso di costruire per un deposito attrezzi di dimensioni non insignificanti

 

Una struttura in legno di metri 2,00 per 2,40 per altezza variabile da 1,70 a 2,30 circa con copertura dello stesso materiale a due falde spioventi, semplicemente appoggiato al terreno, non può essere considerata una semplice pertinenza non assoggettata alla necessità del rilascio di permesso di costruire.

Tale manufatto, anche se prefabbricato e semplicemente appoggiato al terreno, essendo adibito al deposito degli attrezzi agricoli utilizzati per la manutenzione del giardino non appare, in verità, destinato a soddisfare un bisogno provvisorio, temporaneo o contingente, bensì un’esigenza stabile dell’immobile principale.

Come evidenziato, infatti, dalla costante giurisprudenza amministrativa “la precarietà di un manufatto, la cui realizzazione non necessita di concessione edilizia, non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall’uso cui è destinato; pertanto essa va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. V, 15.06.2000 n. 3321)

Del resto l’installazione non meramente occasionale di un prefabbricato di dimensioni non insignificanti, come nel caso in questione, comporta l’alterazione dello stato dei luoghi e, incidendo sull’assetto urbanistico-edilizio del territorio, non può ricadere nell’attività cd. libera, né essere assoggettato a semplice autorizzazione gratuita.

Dall’altro lato, una costruzione come quella oggetto del provvedimento impugnato non può considerarsi irrilevante dal punto di vista urbanistico-edilizio neppure in base alla sua natura asseritamente “pertinenziale”, in quanto il concetto di pertinenza, previsto dal diritto civile, va distinto dal più ristretto concetto di pertinenza inteso in senso edilizio e urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che, pur potendo essere qualificate come beni pertinenziali secondo la normativa privatistica, assumono, tuttavia, una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire (cfr. TAR Lazio, Latina, Sez. I, 3.08.2015 n. 587;TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, 30.03.2015 n. 329).

Alla luce delle considerazioni che precedono, per tale tipologia di manufatto deve ritenersi necessario il permesso di costruire.

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In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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