Cambio destinazione uso da magazzino a ufficio: che titolo edilizio serve?

Il cambio dell destinazione d’uso da magazzino a ufficio comporta un cambio della categoria funzionale da commerciale a produttivo-direzionale

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Come ogni settimana, la selezione delle sentenze della settimana. La più interessante ci sembra essere la sentenza sul cambio destinazione uso da magazzino a ufficio: quale titolo edilizio necessario serve?

Gli altri argomenti sono: successione nel tempo di norme edilizie; assenza della piena disponibilità dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio; permesso di costruire formatosi tramite silenzio assenso; deposito di attrezzi agricoli di dimensioni rilevanti; parcheggi nel sottosuolo in deroga previsti dalla Legge Tognoli; ricostruzione di un immobile a seguito di incendio: condizioni per esonero degli oneri concessori; zona agricola: realizzazione di un piazzale-deposito con asfaltatura e pavimentazione.

Cambio destinazione d’uso: da magazzino a ufficio

Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. II ter Roma, sent. 29 maggio 2017 n. 6375
Massima: La modifica della destinazione d’uso da magazzino a ufficio comporta una mutazione della categoria funzionale da commerciale a produttivo-direzionale e richiede il permesso di costruire ovvero, ricorrendone le condizioni, la segnalazione certificata di inizio attività

 

Il cambio dell destinazione d’uso da magazzino a ufficio comporta una mutazione della categoria funzionale da “commerciale” a produttivo-direzionale”.

Ne deriva che tale mutamento di destinazione di uso si configura come una ristrutturazione edilizia (tale intendendosi ai sensi dell’art. 3, c. 1 lett. d) del DPR 380/2001 “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti …”), in quanto l’esecuzione delle opere ha portato alla creazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente“.

Orbene, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del medesimo D.P.R. 380/2001, questi interventi sono di norma assoggettati al rilascio del permesso di costruire, con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la nuova destinazione d’uso assentibile di diritto; ricorrendone le condizioni, tale intervento potrebbe essere realizzabile anche secondo l’art. 22, comma 3, del Testo unico edilizia, ossia mediante segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di costruire.

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Successione nel tempo di norme edilizie

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. Catanzaro, sent. 29 maggio 2017 n. 866
Massima: In caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina più restrittiva non è applicabile alle nuove costruzioni già sorte

 

Secondo una consolidata giurisprudenza, “In caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina, se meno restrittiva, è applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, con l’unico limite dell’eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità della costruzione stessa; se invece, la nuova disciplina è più restrittiva, essa non è applicabile alle nuove costruzioni, che al momento della sua entrata in vigore possono considerarsi già sorte, valendo in tal caso il limite dei diritti quesiti” (Cass. sez. II, 25/07/2016, n. 15298).

Assenza della piena disponibilità dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. III Bari, sent. 30 maggio 2017, n. 560
Massima: Dinanzi all’accertata esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento, l’amministrazione ha il dovere di adottare i provvedimenti volti al ripristino della legalità violata, procedendo all’annullamento del titolo edilizio

 

La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons. Stato, sez. IV, sent, 5587 del 9.12.2015 e apre n. 4571 del 12.12.2011).

Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La verifica dell’esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto della richiesta avviene mediante attività che non è diretta a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente (T.A.R. Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).

Del resto secondo condivisa giurisprudenza, “l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione amministrativa: principi che sono sanciti dalla Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili sostanziali del governo e della gestione del territorio.

Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare, bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali garanzie della proprietà. E anche il principio di conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie, mancando il presupposto fondamentale della legittimazione, neppure sanato a posteriori. E parimenti recessivo si rivela – in concreto – il principio dell’affidamento” (T.A.R. Lazio, sez. II bis, sent 1141 del 2.02.2012).

Tali principi ancor più valgono con riferimento alla denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di massima semplificazione quale manifestazione di autonomia privata con cui l’interessato certifica la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto del legittimo esercizio dell’attività segnalata alla P.A.

Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell’autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all’Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l’attività dichiarata.

Come affermato in precedenza dalla giurisprudenza (TAR Puglia, Bari, sent. n. 96/2017), “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso. L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 8 novembre 2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30 luglio 2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25 maggio 2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 9.03.2017, T.A.R. Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13 dicembre 2016).

Permesso di costruire formatosi tramite silenzio assenso

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. II Catanzaro, sent. 29 maggio 2017
Massima: È illegittimo il diniego del permesso di costruire adottato dopo che il titolo edilizio si è formato tramite l’istituto del silenzio-assenso, mentre rimane possibile l’esercizio del potere di annullamento in autotutela alle ordinarie condizioni previste dall’art. 21-novies l. n. 241/1990

 

L’art. 20, comma 8, DPR 6 giugno 2001 n. 380, prevede che, fuori dei casi in cui sussistono vincoli relativi all’assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, “decorso inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell’ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio – assenso”.

Quindi, dinanzi a un intervento su immobile non vincolato, decorso il termine previsto, si deve ritenere formato il silenzio assenso sulla richiesta di titolo edilizio.

Conseguentemente, è illegittimo il diniego espresso dopo lo spirare del termine previsto, mentre rimane possibile esercitare il potere di annullamento, alle ordinarie condizioni previste dall’art. 21-novies l. n. 241/1990, esplicitando sia il profilo di illegittimità da cui sarebbe affetto l’atto abilitativo, sia le ragioni di pubblico interesse che ne impongono la rimozione (ex plurimis, TAR Puglia, Lecce, sez. II, 05/02/2007, n. 297).

Deposito di attrezzi agricoli di dimensioni rilevanti: pertinenza

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. III, sent. 30 maggio 2017 n. 2877
Massima: Un deposito di attrezzi agricoli della superficie di 36 mq per un’altezza di mt. 2,50 costruito con blocchi di lapilcemento e copertura con pannelli isotermici, non è una pertinenza ma una nuova opera necessitante del permesso di costruire

 

Come affermato dalla giurisprudenza, “La nozione di pertinenza edilizia, invero, in virtù della prevalenza degli interessi pubblici all’ordinato assetto del territorio e al rispetto delle prescrizioni urbanistiche, presuppone anzitutto un dato fisico, riguardato nella scarsa consistenza volumetrica della cosa che si assume pertinenziale, di talché può riconoscersi la natura di pertinenza solo a manufatti esigui, di scarsissimo impatto urbanistico. Correlativamente non può far difetto un requisito teleologico, consistente nella circostanza che la cosa non possa essere oggetto di autonoma valutazione ed utilizzazione ma che esista e abbia una funzione solo in quanto sia a servizio e a completamento della cosa principale (si consideri una legnaia di modeste dimensioni)” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 21.3.2014, n.1737; principio ribadito più di recente: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 22 ottobre 2015 n. 4968).

Quanto al requisito strutturale, del resto, già precedente giurisprudenza aveva chiarito che “La nozione amministrativa di pertinenza edilizia è assolutamente divergente dall’accezione civilistica di pertinenza e più ristretta di quest’ultima, essendo circoscritta a quei manufatti che non alterano in modo significativo l’assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 4-9-2009, n. 2247).

Si è poi precisato che “La nozione di pertinenza edilizia non coincide con la più ampia nozione descritta nell’art.817 c.c. La prima tipologia identifica interventi edilizi minori, cosicché il rapporto pertinenziale non può esonerare dalla concessione le opere che, dal punto di vista urbanistico ed edilizio, si pongono come ulteriori, in quanto occupanti aree e volumi diversi rispetto alla cosa principale” (T.A.R. Toscana, Sez. III, 11-2-2011, n. 273).

Orbene, considerato che affinché un intervento edilizio possa essere qualificato come pertinenza occorre preliminarmente accertare il delineato profilo fisico – strutturale, consistente nella natura esigua e nella scarsa consistenza volumetrica e dimensionale del manufatto con conseguente scarso impatto urbanistico, è stato escluso che possa configurarsi una pertinenza edilizia in mancanza del delineato pre – requisito di carattere strutturale ed p stato, quindi, statuito che “Se fa difetto il primo requisito, ossia quello strutturale e se, quindi, la cosa che si ritiene pertinenziale ha dimensioni consistenti, non occorre neanche appurare l’esistenza dell’elemento funzionale, dovendosi in radice escludere che il manufatto abbia natura pertinenziale”(T.A.R. Campania – Napoli – Sez. III, 24.7.2014, n. 4230).

Riguardo all’aspetto strutturale, inoltre, di recente la giurisprudenza, di primo grado e d’appello, ribadendo principi, come più sopra segnalato, già affermati dal Giudice amministrativo, ha circoscritto la natura pertinenziale a manufatti che non alterino in modo significativo l’assetto del territorio e, cioè, che abbiano dimensioni modeste e ridotte rispetto al fabbricato principale e che non creino nuovo consistente volume occupante un’area ulteriore rispetto a quella occupata dall’immobile principale. Si è, infatti, statuito che “La nozione di pertinenza in materia edilizia è più ristretta di quella civilistica, essendo questa riferibile solo a quei manufatti che non alterano in modo significativo l’assetto del territorio, cioè di dimensioni modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono” (T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, 12-05-2016, n. 2429).

Opzione che trova conferma nella posizione ancor più drastica assunta dal Consiglio di Stato, che ha sancito che “Non può ritenersi meramente pertinenziale, ai fini del possesso dei necessari titoli abilitativi edilizi (e paesaggistici), un’opera quando determini un nuovo volume di consistenti dimensioni su un’area diversa e ulteriore rispetto a quella già occupata dal preesistente edificio principale” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 giugno 2016, n. 2658, confermativa di T.A.R. Lazio – Latina, 13 febbraio 2015, n. 155).

Tanto premesso, un deposito di attrezzi agricoli della superficie di 36 mq per un’altezza di mt. 2,50 costruito con blocchi di lapilcemento e copertura con pannelli isotermici è un nuovo volume di dimensioni non certo esigue, idoneo ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio: non può, perciò, essere riconosciuto il carattere di pertinenza edilizia, quantomeno per l’assenza del requisito strutturale, con conseguente necessità del permesso di costruire.

Parcheggi nel sottosuolo

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. I Salerno, sent. 1 giugno 2017 n. 999
Massima: I parcheggi nel sottosuolo previsti dalla Legge Tognoli riguardano solo i fabbricati già esistenti e non anche le nuove costruzioni

 

L’art. 9, l. 24 marzo 1989 n. 122 (c.d. Legge Tognoli), nel consentire la costruzione di parcheggi, da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, nel sottosuolo degli immobili o nei locali siti al piano terreno con autorizzazione gratuita e in deroga alla vigente disciplina urbanistica, concerne i soli fabbricati già esistenti e non anche le concessioni edilizie rilasciate per realizzare edifici nuovi, per i quali invece provvede l’art. 2, comma 2, della legge stessa che, nel novellare l’art. 41 sexies, l. fondamentale 17 agosto 1942 n. 1150, stabilisce l’obbligo di riservare appositi spazi per parcheggi di misura non inferiore a 1 mq per ogni 10 mc di costruzione ( T.A.R. Firenze, sez. III, 09 gennaio 2017, n. 5).

Ricostruzione di un immobile dopo un incendio

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 30 maggio 2017, n. 2567
Massima: La “pubblica calamità” che consente l’esonero degli oneri concessori ex art. 17 comma 3 lett. d) del Testo Unico Edilizia deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati: conseguentemente, non può essere riconosciuto l’esonero degli oneri concessori nel caso di incendio di un unico immobile privato.

 

Come è noto, il permesso di costruire è provvedimento naturalmente oneroso (da ultimo, Corte Cost., 3 novembre 2016 n. 231), di modo che le norme di esenzione devono essere interpretate come “eccezioni” ad una regola generale (e da considerarsi, quindi, di stretta interpretazione), non essendo consentito alla stessa potestà legislativa concorrente di ampliare le ipotesi al di là delle indicazioni della legislazione statale, da ritenersi quali principi fondamentali in tema di governo del territorio (Corte Cost., n. 231/2016 cit.).

L’art. 17, co. 3, lett. d) del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001) prevede la esenzione dal contributo di costruzione “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità”.

Si tratta di due distinte ipotesi, ambedue sorrette dal presupposto della “pubblica calamità”. Quest’ultima deve essere intesa come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati.

Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento.

Se, dunque, l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.

In senso riconducibile al concetto ora espresso, gli artt. 2, co. 1, lett.c) e 5 l. 24 febbraio 1992 n. 225, prevedono il conferimento di poteri straordinari di ordinanza per il caso di “calamità naturali” (e, come tali, “pubbliche”), e l’art. 54 DPR 8 agosto 2000 n. 267, conferisce al Sindaco, quale Ufficiale di Governo, il potere (delegabile nei limiti previsti dal medesimo articolo) di emanare ordinanze contingibili ed urgenti “al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; potere di ordinanza che va tenuto distinto da quello, di carattere “ordinario” e riferito al Sindaco quale rappresentante della comunità locale, previsto dall’art. 50 del medesimo Testo Unico degli Enti locali.

In conclusione, perché possa ricorrere l’ipotesi di esenzione di cui all’art. 17 cit., occorre che gli interventi da realizzare costituiscano attuazione di norme o di provvedimenti amministrativi che espressamente li prevedono (e non siano invece effetto di una scelta volontaria del soggetto, sia pure in conseguenza di provvedimenti emanati), e che siano stati adottati a seguito di eventi eccezionali, dannosi o pericolosi per la collettività, tali da richiedere l’esercizio di poteri straordinari.

Nel caso di specie, l’incendio che ha colpito l’immobile, se pur grave e tale da poter divenire fonte di pericolo per la collettività, ove non tempestivamente circoscritto, tuttavia si caratterizza quale evento che ha colpito beni specifici e che, per dimensioni, caratteristiche ed intensità, è stato tale da non richiedere particolari interventi di contrasto o esercizio di poteri straordinari.

Ne consegue, quindi, l’inapplicabilità dell’esenzione di cui all’art. 17, co. 3, lett. d) del Testo Unico Edilizia.

Realizzazione di un piazzale-deposito in zona agricola

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. I Milano, sent. 1 giugno 2017 n. 1231
Massima: La realizzazione di un piazzale-deposito con asfaltatura e pavimentazione non è conciliabile con la finalità agricola dell’area

 

È del tutto inconciliabile con la finalità agricola, e non può essere ammissibile, la realizzazione in area agricola di opere di battitura del terreno, riporto di sabbia e di materiali inerti con asfaltatura per la realizzazione di una pavimentazione per uno spessore di circa 50 cm. La realizzazione del piazzale – deposito altera lo stato dei luoghi e costituisce un intervento di permanente trasformazione edilizia e urbanistica del territorio disciplinato dall’art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001 che, essendo subordinato al permesso di costruire, deve necessariamente rispettare le tipologie e le destinazioni d’uso funzionali consentite per la zona agricola (cfr. TAR Campania, sez. VIII, 10 marzo 2016, n. 1397; 7 novembre 2016, n. 5116).

Rubrica in collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

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Redazione Tecnica

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