
Il commissario prefettizio Giuseppe Albenzio, nominato dopo che il Consiglio di Stato ha spogliato il Comune di Bari della sua potestà pianificatoria e della sua facoltà decisionale – e proprio in sostituzione del Consiglio Comunale – ha adottato la variante urbanistica che consente la realizzazione, presso il Tondo di Carbonara (“adiacente” allo stadio San Nicola di Renzo Piano), della Cittadella della Giustizia (da circa tre milioni di metri cubi di cemento), progettata a partire dagli anni duemila dall’impresa parmense Pizzarotti.
L’ultima parola spetta ad Angela Barbanente, Assessore regionale all’Urbanistica, orientata, però, a bocciare la suddetta variante, che trasforma suoli originariamente agricoli in edificabili, poiché oggi la Regione sta puntando principalmente sulla rigenerazione urbana.
La storia
Nel 2003 il sindaco Simeone Di Cagno Abbrescia bandì una ricerca di mercato per individuare la soluzione migliore che prevedesse i minori oneri possibili a carico dell’Amministrazione, dopo che da anni magistrati e avvocati baresi lamentavano la mancanza di un’adeguata sede che accorpasse tutti gli uffici giudiziari. Riuniti in un’apposita Commissione di Manutenzione – ossia l’organo decisionale che doveva esprimere valutazioni sulla proposta formulata – i futuri beneficiari espressero pareri lusinghieri e positivi. Un giudizio particolarmente entusiasta – come rivela un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno – fu espresso da un giovanissimo magistrato, Michele Emiliano che, dopo neanche due anni, diventò Sindaco di Bari.
Da Primo Cittadino, tuttavia, ha cambiato idea, propugnando la necessità di non privare il popolare quartiere Libertà – ubicato quasi nel centro cittadino, ma “periferico” per il forte degrado urbano e sociale che lo investe – della sua principale fonte di reddito. Ma il Palazzo di Giustizia – che accoglie i soli uffici “civili” – come anche il Palazzo della Procura penale di Via Nazariantz, versano in una condizione di assoluta precarietà, anche statica oltre che di scarsa funzionalità e agibilità.
Sono state formulate alcune ipotesi alternative alla Cittadella della Giustizia, ma anche un semplice cittadino capisce perfettamente che si tratta di soluzioni che non convincono la stessa Amministrazione e che potrebbero essere soltanto soluzioni temporanee. Sulla base, peraltro, di un incredibile paradosso.
Nel Piano Regolatore Generale oggi ancora vigente – nonostante sia stato approvato il Documento Programmatico Preliminare al nuovo Piano Urbanistico Generale – quello redatto da Quaroni negli anni ’80, nessuna attenzione fu riservata all’edilizia giudiziaria e oggi, dopo trent’anni, il capoluogo pugliese paga questa mancanza di visione.
Ma questo non può giustificare una politica cittadina che da decenni strumentalizza il tema propagandando spot per accattivarsi la simpatia e il consenso dei cittadini dello storico quartiere Libertà. Che, Palazzo della Giustizia o no, degradato era e degradato resta. Urbanisticamente e socialmente.
Il Piano Quaroni, a tal proposito, per il Tondo di Carbonara prevedeva “un cuneo verde”, ossia doveva essere realizzata una cinta di “green walls” che abbracciasse la zona destinata ad agricoltura e terziario; oggi, invece, con l’edilizia che unisce a Bari e ovunque in Italia, in un solo trasversale movimento politico, amministratori, imprenditori edili e soprattutto banchieri, è divenuta imperante la cultura dell’urbanistica negoziata basata sulla rendita fondiaria. Il consumo del suolo galoppa a ritmi inauditi per una città che ha poco più di 320 mila abitanti e migliaia sono già le case sfitte, vuote e abbandonate. Con numerosissimi siti inquinati o aree militari dismesse che potrebbero essere bonificate e rigenerate e poi reimpiegate a costi sostenibili per l’espletamento delle funzioni giudiziarie.
La Regione Puglia sta investendo convintamente sulla rigenerazione urbana ed è proprio in nome di questo approccio sostenibile e più a misura d’uomo del governo del territorio che l’ente potrebbe, supportata tecnicamente da perizie richieste per lo scopo, avendone la facoltà, respingere la variante urbanistica che consentirebbe la realizzazione della Cittadella della Giustizia, tutelando contestualmente il sito storico archeologico di Villa Lamberti che ricade nelle maglie urbane che verrebbero trasformate urbanisticamente.
Nel dibattito è intervenuta, inoltre, anche Maria Maugeri, neo Assessore comunale all’Ambiente, la quale per evidenziare un’altra criticità di natura morfologica ed orografica, ha sostenuto che «la realizzazione dei volumi previsti vicino l’alveo del torrente Picone non potrà non avere ripercussioni negative sull’impermeabilizzazione dei terreni, in quanto la nuova pressione edilizia, con conseguente considerevole aumento dei volumi di traffico, insiste proprio su una zona in cui il monitoraggio della qualità dell’aria ha rilevato spesso punte di concentrazioni inquinanti da smog superiori alla soglia di abbattimento (oltre il 70 per cento)».
Come finirà questa “storia di ordinaria inefficienza della burocrazia e della politica italiana”? Nessuno lo sa. Ma, a priori, non escludiamo, alla fine, un colpo di teatro da parte della stessa impresa Pizzarotti. Ossia la sua rinuncia definitiva a realizzare la colossale opera pubblica. L’impresa, infatti, quando fece la sua proposta sapeva che i tassi creditizi erano all’uno per cento. Oggi il tasso è salito a quasi il cinque per cento. Con il rischio che, nonostante il suolo sia stato reso edificabile, non ci siano più tanti vantaggi e convenienze.
Alla fine, come sempre, a pagarne le conseguenze sarebbe la Città. Questa è l’Italia di oggi.
Una precisazione non irrilevante ai fini della pretesa giustificazione di una variante di trasformazione del suolo agricolo: Nel Piano Quaroni le aree destinate alla fuinzione giudiziaria erano state ampiamente previste: sono indicate in cartografia e descritte alla lettera h dell’articolo 32 delle Norme tecniche di attuazione. E in ogni caso le sedi giudiziarie possono essere realizzate su qualsiasi suolo che ricada in zona F: previsione che tuttora esprime una potenzialità di milioni di metri cubi. Infatti questo è uno degli “effetti collaterali” positivi del dimansionamento demografico del piano Quaroni, rivelatosi eccessivo (cioè doppio) negli anni.
Segnalo un altro paio di inesattezze: la cittadella di Pizzarotti non sarebbe un’opera pubblica, ma un’opera privata, su suolo privato, per il quale il Comune dovrebbe pagare un fitto, per 18 anni. Quanto al cuneo di campagna, anzi ai due cunei: essi sono ancora “esistenti” ancorché minacciati dall’urbanistica contrattata (e non è il caso del Tondo di Carbonara, che è edificabile sin al 1976, con le medesime volumetrie e si trova ai margini del cuneo). Il Dpp prevede la tutela dei due cunei di campagna così come delle lame e delle coste.
Gentile dott. Signorile,
la ringrazio per le sue precisazioni. Nell’articolo non intendevo entrare nel merito del Piano Quaroni e a quelle che sono state le sue previsioni sovradimensionate, sebbene ne abbia citato alcuni suoi elementi, ma soltanto rilevare ad oggi quale sia la situazione dove per quanto mi riguarda regna una grande confusione e dove il problema del consumo del suolo non è stato posto con la sufficiente attenzione. Poi riguardo l’opera della Pizzarotti ho usato impropriamente il termine “opera pubblica” in sostituzione di “opera di pubblica utilità” come è appunto un Palazzo di Giustizia. Ma il senso pensavo fosse chiaro.