Tettoia di modesto impatto: non è qualificabile come nuova costruzione

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L’argomento principale delle sentenze che abbiamo selezionato oggi è quello che in questo periodo, in seguito a una serie di pronunce che hanno acceso il dibattito, ci sta appassionando molto, cioè le tettoie. Gli altri argomenti sono:

  • cambio destinazione d’uso da artigianale a commerciale – onerosità;
  • diniego del condono per carenza documentale – illegittimità;
  • sostituzione di infissi – manutenzione ordinaria – attività edilizia libera;
  • termine di prescrizione degli oneri concessori.

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Una tettoia di modesto impatto non è una nuova costruzione

Estremi della sentenza: TAR Piemonte, sez. II, sent. 8 febbraio 2017 n. 198
Massima: Una tettoia non ancorata al suolo bensì al muro e che proteggere una superficie inferiore a 12 mq. non comporta impatto volumetrico e aumento del carico urbanistico e non è qualificabile come nuova costruzione

 

Una tettoia non ancorata al suolo bensì al muro e che proteggere una superficie inferiore a 12 mq. non comporta impatto volumetrico e aumento del carico urbanistico. Si tratta, quindi, di un manufatto sostanzialmente irrilevante e, dunque, non qualificabile come nuova costruzione e, quindi, non necessitante del permesso di costruire.

In senso analogo si ricordano altre due pronunce del TAR Piemonte:

  • la sentenza (sez. II) n. 238 del 26 febbraio 2016 in relazione a “una tettoia ad una falda inclinata, delle dimensioni di mt. 2,50 x 3,40, sorretta da struttura in profilati metallici di cm. 5 x 5, addossata ad uno dei muri perimetrali del fabbricato principale ed aperta su tutti gli altri lati”, qualificata come “opera decisamente pertinenziale”;
  • la sentenza (sez. I) n. 1563 del 22 ottobre 2014 in relazione a “una tettoia con struttura portante ed orditura in legno, avente 7,50 m t. di lunghezza x 4,10 mt. di larghezza (corrispondente ad una superficie di 30,75 mq.), altezza al colmo di mt. 2,65 ed all’imposta di mt. 2,00, solo parzialmente coperta con lastre in legno e materiale plastico ed ancorata al suolo con tasselli”; in questo caso si è affermato “che una tettoia di dimensioni contenute (mt. 7,50 x 4,10), quale quella in esame, aperta su tre lati ed aderente sul quarto lato a parte dell’abitazione, non era e non è nemmeno oggi soggetta a preventivo titolo autorizzatorio edilizio, con conseguente illegittimità della impugnata sanzione demolitoria”.

In generale, l’orientamento giurisprudenziale in materia di tettoie ritiene necessario il permesso di costruire per la relativa installazione: ad esempio, il TAR Piemonte, sez. II nella sent. 8 aprile 2016 n. 435 ha affermato che:

La giurisprudenza amministrativa è univoca nell’affermare che la realizzazione di una tettoia necessita di permesso di costruire quale “nuova costruzione”, comportando una trasformazione del territorio e dell’assetto edilizio anteriore; essa arreca, infatti, un proprio impatto volumetrico e, se e in quanto priva di connotati di precarietà, è destinata a soddisfare esigenze non già temporanee e contingenti, ma durevoli nel tempo, con conseguente incremento del godimento dell’immobile cui inerisce e del relativo carico urbanistico (TAR Salerno, sez. II, 7 gennaio 2015, n. 9; in senso analogo, TAR Lazio-Roma, sez. I, 27 novembre 2015, n. 13449; TAR Napoli, sez. II, 22 ottobre 2015, n. 4959; TAR Perugia, sez. I, 11 settembre 2015, n. 377; TAR Pescara, sez. I, 1 luglio 2015, n. 276; TAR Ancona, sez. I, 5 giugno 2015 n. 469; TAR Genova, sez. I, 11 luglio 2007, n. 1367)”.

Similmente, il TAR Piemonte, sez. II, nella sent. 11 aprile 2012 n. 438 ha ribadito che “La realizzazione di una tettoia di non irrilevante consistenza dimensionale e ancorata al suolo costituisce opera idonea ad alterare lo stato dei luoghi e a trasformare il territorio permanentemente ed è tale da richiedere il previo rilascio del permesso di costruire”.

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Costi per il cambio destinazione d’uso da artigianale a commerciale

Estremi della sentenza: TAR Toscana, sez. III, sent. 6 febbraio 2017 n. 184
Massima: Il cambio di destinazione d’uso di un immobile, da artigianale in commerciale e, quindi, tra categorie urbanistiche autonome e distinte, è oneroso

 

Il Legislatore nazionale con il D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. Sblocca Italia) ha considerato “urbanisticamente rilevante” il cambio destinazione d’uso intervenuto tra le categorie artigianale e commerciale in ragione della differenza sostanziale della tipologia degli esercizi che le caratterizzano.

Di conseguenza, vi è la necessità di adeguare gli oneri di urbanizzazione al nuovo uso assentito, allo scopo di evitare che il contributo possa essere evaso tutte le volte che la nuova tipologia assegnata all’immobile avrebbe comportato, già dall’origine, un più oneroso regime contributivo urbanistico (cfr. TAR Toscana, sez. III, sent. 14 febbraio 2013, n. 243).

Il presupposto per il pagamento dei contributi di urbanizzazione è, peraltro, una conseguenza della domanda di una maggiore dotazione di servizi nell’area di riferimento, che sia indotta dalla destinazione d’uso concretamente impressa all’immobile, determinando una variazione quantitativa e qualitativa del carico urbanistico.

La modifica della destinazione d’uso, dunque, non può che comportare l’imposizione del pagamento della differenza, tra, gli oneri di urbanizzazione dovuti per la destinazione originaria e quelli dovuti per la nuova destinazione successivamente autorizzata.

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Diniego del condono per carenza documentale: illegittimità

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. IV Napoli, sent. 9 febbraio 2017 n. 824
Massima: Deve ritenersi illegittimo il diniego di rilascio della concessione edilizia in sanatoria di opere edilizie abusive motivato con esclusivo riferimento all’incompletezza della documentazione depositata dall’istante, trattandosi di circostanza che può legittimare solo una richiesta di integrazione documentale da parte dell’autorità competente a pronunciare sulla domanda

 

È ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui la carenza documentale, nell’ottica della leale, reciproca, cooperazione procedimentale di cui alla l. n. 241 del 1990, può dar luogo a una declaratoria di improcedibilità dell’istanza del privato solo laddove la P.A. abbia preliminarmente formulato al soggetto interessato una specifica richiesta di integrazione della documentazione necessaria (in base alla legge, o agli atti regolamentari o generali della medesima Amministrazione).

Pertanto, deve ritenersi illegittimo il diniego di rilascio della concessione edilizia in sanatoria di opere edilizie abusive motivato con esclusivo riferimento all’incompletezza della documentazione depositata dall’istante, trattandosi di circostanza che può legittimare solo una richiesta di integrazione documentale da parte dell’autorità competente a pronunciare sulla domanda (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 5 dicembre 2016, n. 2813; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 12 maggio 2015, n. 6898; TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sent. 3 febbraio 2016, n. 150; TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 8 novembre 2013, n. 2495; Consiglio di Stato, sez. III, sent. 30 gennaio 2013, n. 603).

Tale principio patisce eccezione nei soli casi in cui, a cagione dell’assoluta genericità dell’istanza e della totale assenza di qualsivoglia elemento documentale di riscontro, l’Autorità procedente non è posta in grado (per esempio per l’impossibilità di identificare l’opera ovvero di individuare l’area di sedime e il connesso regime urbanistico) di esercitare le proprie prerogative decisionali.

Sostituzione di infissi: manutenzione ordinaria, attività edilizia libera

Estremi della sentenza: TAR Campania, sez. IV Napoli, sent. 10 febbraio 2017 n. 827
Massima: La sostituzione di serramenti è manutenzione ordinaria rientrante nell’attività edilizia libera

 

In aderenza a una diffusa giurisprudenza, la sostituzione o il rinnovamento di serramenti e, quindi, anche di infissi, serrande, rientra nel concetto di finiture di edifici.

Come tale, è configurabile in termini di manutenzione ordinaria ai sensi dell’art. 3, lett. a), t.u. 6 giugno 2001 n. 380 e, cioè, di attività libera e non soggetta a denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 6, lett. a), dello stesso decreto.

Questo vale sia che vengano impiegati gli stessi materiali componenti, sia che la sostituzione o il rinnovamento venga effettuata con materiali diversi (cfr. TAR Piemonte, sez. I, sent. 12 aprile 2010, n. 1761; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 9 maggio 2005, n. 3438; sez. II bis, sent. 25 gennaio 2017, n. 1322).

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Oneri concessori: termine di prescrizione

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. I Lecce, sent. 9 febbraio 2017 n. 218
Massima: La prescrizione degli oneri concessori è decennale

 

In base all’art. 2946 del codice civile, “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”. In materia di prescrizione degli oneri di urbanizzazione e dei contributi commisurati al costo di costruzione, in assenza di diversa disposizione normativa, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale (tra le tante: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 14 gennaio 2011, n. 152; Consiglio di Stato, sent. n. 216/09).

Il decorso della prescrizione opera indifferentemente per entrambe le tipologie di quote, dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e il detto termine di prescrizione decennale comincia a decorrere dal momento stesso del rilascio del permesso di costruire.

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Redazione Tecnica

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