Distanze in edilizia, pareti finestrate: inderogabili i 10 metri

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Un vincolo ineludibile per le amministrazioni comunali alle prese con la formazione e revisione degli strumenti urbanistici: è quello che affiora in materia di regime delle distanze tra pareti finestrate, secondo la valutazione dei giudici amministrativi.

La distanza di 10 metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, di cui all’art. 9, decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (“Limiti inderogabili di densità edilizia…”), deve essere infatti rispettata in tutti i casi. A stabilirlo sono i giudici del TAR Campania, mediante sentenza 19 maggio 2015, n. 2791.

La base normativa che funge da caposaldo per la pronuncia amministrativa è stata argomentata dai giudici mettendo in evidenza l’esigenza di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario. Essa, pertanto, si configura come norma non eludibile e vincola anche i Comuni in sede di formazione (o revisione) degli strumenti urbanistici.

Il decreto interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 tuttora vigente in forza dell’art. 136 del Testo Unico dell’Edilizia (d.P.R.). 380/2001, traccia, definisce e stabilisce le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee. Per quello che concerne i nuovi edifici viene prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Nelle Zone C, ovverosia le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, è prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto.

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Inoltre le distanze minime tra fabbricati tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli devono essere pari alla larghezza della strada aumentata, per ciascun lato, di:
5,00 m, per strade di larghezza inferiore a 7 m;
7,50 m per lato, per strade di larghezza compresa tra 7 e 15 m;
10,00 m per lato, per strade di larghezza superiore a 15 m.

Ma quando sono ammesse delle distanze inferiori? In alcuni casi, tassativamente elencati, si può derogare a tali limiti. Ecco i 2 casi tassativi:

In Zone A (centri storici) per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni. In tali circostanze le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

– Nella circostanza puntuale relativa a gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.

Per approfondimenti di rilievo in materia di distanze in edilizia Ediltecnico consiglia la Pagina speciale ad hoc con una rassegna giurisprudenziale e una rapida analisi dei criteri di misurazione.

 

Redazione Tecnica

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