Architetti, ovvero i professionisti in picchiata: il 40% del reddito annuo è perduto

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Non è così facile lavorare all’estero e il “fare l’architetto” non più tanto appeal sui giovani. Questa la fotografia scattata dal Consiglio nazionale degli Architetti, che ci descrive una professione in ginocchio, immersa nei crediti e nella mancanza di speranze: i commenti lasciati sulla pagina facebook del nostro Architetti.com testimoniano grande difficoltà a credere in un futuro per la professione, difficoltà data anche dal fatto che manca il rinnovamento da parte delle Istituzioni, che non riescono (o non fatto niente per) guadagnarsi la fiducia degli iscritti.

Ecco i dati forniti dal CNAPCC, in collaborazione con il Cresme.

Reddito, debiti e crediti
Reddito medio pari a circa 17 mila euro, al netto dell’inflazione, perdita tra il 2008 e il 2013 di circa il 40% del reddito professionale annuo lordo; il 68% della categoria vanta crediti nei confronti della committenza privata, mentre il 32%, un terzo degli architetti sul totale dei 152mila professionisti italiani, attende pagamenti da parte del settore pubblico.

In media, i giorni necessari per ottenere un pagamento da parte della Pubblica Amministrazione sono arrivati, nel 2013, per gli architetti a oltre 217 (erano 129 nel 2010 e 90 nel 2006); per quelli da parte delle imprese si è passati dai 114 giorni del 2011 a 172 nel 2013; da 70 a 98 giorni per quanto riguarda le famiglie. Un problema, quello delle insolvenze dei pagamenti particolarmente grave soprattutto al Sud del Paese, mentre è fortemente critico, al nord, il rapporto con le banche: il 57% degli architetti ha, infatti, debiti con istituti di credito, società finanziarie o fornitori.

 

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Attività all’estero: non più?
Né sembra praticabile, secondo l’indagine, la possibilità – considerata questa difficile situazione – di avviare o di incrementare la propria attività all’estero, tenuto conto delle dimensioni degli studi professionali
che non consentono di affrontare le difficoltà derivanti dall’operare fuori dal Paese. Sono, infatti, circa 70 mila gli studi di architettura in Italia, che impiegano appena un dipendente non architetto e 1,5 collaboratori esterni con partita Iva. Secondo l’Agenzia delle entrate, il fatturato annuo medio degli studi, nel 2012, si aggirava intorno a 38 mila euro, contro i 55 mila degli studi di ingegneria.

I giovani si spaventano
Come conseguenza di tutto ciò, la professione perde inesorabilmente attrattiva da parte de giovani: il numero complessivo di immatricolati ad un corso di laurea di architettura, è crollato del 51% negli ultimi 5 anni (nel 2012, rispetto al 2007, quasi 7 mila immatricolati in meno), una flessione nettamente più marcata di quanto registrato per il complesso dei corsi di laurea (17%).

E non potrebbe essere altrimenti visto che nel 2013, a un anno dal conseguimento del titolo di laurea di secondo livello (magistrale o magistrale a ciclo unico), il tasso di disoccupazione è arrivato al 28,7% (era il 9,7% nel 2008), 5 punti percentuale in più rispetto all’anno passato; a cinque anni dal conseguimento del titolo di secondo livello, il reddito mensile netto di un giovane architetto (età media circa 32 anni) è di circa 1.200 euro.

Leopoldo Freyrie dixit
Siamo alle soglie della povertà e, senza una inversione di rotta, da parte della politica e del Governo, rischiamo di non sopravvivere alla crisi. La vera risposta sta nel lancio e nella realizzazione di un grande progetto d’investimento di idee e di denaro sulle città per intervenire sugli 8 milioni di edifici che si avviano a fine vita; per risparmiare 25 miliardi di euro all’anno di energia che viene, di fatto, sprecata; per mettere le case e le città in sicurezza da sismi ed inondazioni, alle quali anche in queste ore siamo costretti ad assistere; per realizzare spazi pubblici che ridiano il senso delle comunità, ricreando le condizioni affinché fioriscano idee, innovazione e impresa”.

Serve anche superare – e serve farlo subito – le anacronistiche regole discriminatorie che impediscono alla stragrande maggioranza degli studi professionali di piccole e medie dimensioni e pressoché alla totalità dei giovani architetti italiani di partecipare alle gare per l’affidamento di servizi di architettura e di ingegneria.
Ci battiamo da anni contro il vecchio sistema che, fissando requisiti quantitativi, come il fatturato ed il numero di dipendenti del professionista, ha di fatto progressivamente riservato questo mercato ad un numero molto ridotto di strutture professionali. Ciò in contraddizione con le più recenti direttive europee in materia di appalti.”

“In questo momento di crisi siamo pronti ad organizzarci in reti professionali e interprofessionali sul territorio nazionale e nel mondo e a cambiare anche profondamente i nostri Studi professionali per integrare conoscenze e competenze. Chiediamo però, primo un segnale da parte dllo Stato: quello di estendere ai professionisti che si aggregano le agevolazioni fiscali che la legge di Stabilità 2015 prevede per le attività di impresa e di lavoro autonomo nella fase di start up”.

Una professione al capolinea? Se ne parla tantissimo, ma non si fa nulla per migliorare la situazione. In questo modo, come potranno migliorare le cose?

Redazione Tecnica

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