Riforma della PA, l’urlo di Federarchitetti

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La riforma della PA dovrebbe rappresentare il momento di start per avviare un modello di crescita diverso del Paese. Il cambiamento è atteso con molto interesse dai professionisti tecnici, che alla Riforma è direttamente collegata. L’Italia è stata soffocata da inefficienze e corruzione e la loro rimozione costituisce la sfida vera per un futuro diverso, che veda la prevalenza di interessi generali.

La cattiva e troppa burocrazia ha troppo potere e questa è una delle cose da cambiare, così come sono da cambiare le persone che si trovano nei posti di lavoro che utilizzano la burocrazia per bloccare il Paese. Serve quindi un ricambio generazionale. Bisogna inoltre definire competenze in modo da limitare (o cancellare) gli strapoteri sul settore privato. Iniziative attuali dimostrano come i valori del lavoro libero professionale siano sono più deboli rispetto a interessi più forti. Il settore delle libere professioni tecniche è sottoposto a norme che ne impediscono l’esercizio del ruolo, in un contesto condizionato da tanti tasselli di un sistema soffocante, composto dagli Ordini Professionali, dalla Cassa di Previdenza ma anche dalla poca coerenza di comportamento delle Istituzioni, dai Sindacati, dalle rappresentanze degli Enti Locali e dei dipendenti della P.A.

Sono questi gli argomenti affrontati da Federarchitetti in un comunicato inviato alla Redazione, di cui pubblichiamo di seguito la seconda parte, riguardante la riforma della PA e il ruolo rispetto a esse dei Professionisti tecnici. Si tratta di un grido di allarme e di rabbia sulla situazione del Paese e dei Professionsiti tecnici che operano al suo interno.

“Non è più giustificabile il palese disinteresse, da parte della politica ad un’efficace riforma che restituisca in primis identità agli organismi professionali e status certo ai professionisti autonomi e dipendenti; ritardo forse rafforzato dalla singolare anomalia che le funzioni pubbliche di controllo, demandate agli Ordini, risultano a “costo zero” in quanto il loro ingente onere è sostenuto dagli stessi professionisti destinatari di improbabili controlli e procedimenti disciplinari a loro carico.

Il Sindacato accoglie in pieno quanto oggetto della delib. n.145 del 21 ottobre u.s. sull’obbligo di applicazione, anche da parte degli Ordini, delle disposizioni di prevenzione alla corruzione. A latere, sorgono perplessità sull’applicazione della prevista sanzione amministrativa (da 1.000 a 10.000 euro), in caso di mancata formulazione del cosi denominato “piano triennale sulla trasparenza”. Non è inteso se la suddetta sanzione risulterebbe a carico dei componenti i Consigli o degli iscritti, risultando gli Ordini costituire enti pubblici non economici: sarebbe forse meglio prevedere che i Consigli stessi vengano, nella fattispecie, considerati decaduti.

La ricerca di un ruolo al di fuori delle proprie ormai marginali competenze istituzionali, ha indotto gli stessi Ordini a non considerare nuovi compiti ipotizzati dal sindacato quali un’ “Agenzia” di supporto ai professionisti nelle procedure internazionali tecnico‐economiche‐legislative o a favorire momenti di sinergia nell’integrazione delle rispettive funzioni istituzionali: per i liberi professionisti l’ennesimo onere improduttivo dai costi ingenti delle troppo numerose strutture ordinistiche, periodicamente evidenziato anche dagli osservatori più attenti ed indipendenti.

A ciò si aggiunga la non definita problematica che impone l’adesione alle Camere di Commercio nelle competizioni internazionali o per la partecipazione a fondi dell’UE, ovvero l’adesione alle “linee guida” della UE. Un’azione di razionalizzazione del settore pubblico deve integrarsi con problematiche del lavoro libero professionale attualmente oggetto di una confusa interpretazione dei ruoli dei diversi organi istituzionali, e parimenti delle forze politiche.

Si evidenzia tra l’altro:
La contraddizione dei sindacati nel perseguire in teoria una crescita occupazionale ma propensi a premiare i rapporti di lavoro acquisiti, avallando incentivi al lavoro tecnico dipendente fino al 50% degli stipendi annui lordi, così alterando il libero mercato e penalizzando gli spazi di crescita degli studi professionali a danno dei relativi dipendenti rappresentati in attuazione dei CCNL.

La necessità nel contesto della riforma della PA di un più stretto controllo da parte del Ministero del Lavoro sulla rispettiva Cassa di Previdenza, occupata a proporsi quale finanziatore di infrastrutture pubbliche, con o senza garanzie di “performance bond”, vedi scelte gestionali in edilizia scolastica o la creazione di apposite società con le Casse di Previdenza delle professioni tecniche (Arpinge S.p.A.), (sempre con i fondi dei liberi professionisti). Per le attuali livelli di debiti della P.A. e le incertezze burocratico‐ legislative, le diffuse criticità e la introduzione di un nuovo testo anche rapportato alla legislazione europea, emergono elevate incognite, per cui è giusto interrogarsi sulle risultanze in termini di tutela patrimoniale.

Attenta vigilanza sulle attività della Fondazione Inarcassa, operativa con utilizzo di ingenti risorse tra l’altro destinate a favorire pubbliche procedure concorsuali, sulle quali dovrebbe esserci corretta l’applicazione “a prescindere” delle P.A. (vedi bando Città della Scienza – NA).

Attenta vigilanza del Ministero del Lavoro su iniziative di Inarcassa ed Ordini proponente la istituzione di una gestione separata di circa 36 mila professionisti titolari di lavoro subordinato. Superando risibili calcoli di opportunismo, si rileva l’intenzione di mettere in atto un’ennesima azione ai danni dei liberi professionisti, legittimando una libera e diretta attività professionale dei dipendenti come doppio lavoro svolto anche in condizione di vantaggio nella concorrenza con i liberi professionisti esercenti la sola libera professione e legittimando ulteriori aree di potenziale mercato del lavoro già assorbite da Enti pubblici ed attività in‐house degli stessi vedi (INAIL, INPS, IACP) etc.

Ancora, il proporsi da parte del CNI, quale interlocutore con il Ministero del Lavoro contro l’esclusione, per i dipendenti degli studi professionali, della Cig. Così fingendo di ignorare come la competenza del CNL sia delle parti sociali, segnatamente per le professioni tecniche di Confedertecnica: senza considerare le differenze di una giusta protezione sociale tra i settori pubblico o delle aziende e gli studi professionali dove andrebbero previste eventuali limitazioni all’attività pubblica.

Pertanto si ribadisce la necessità, all’interno della riforma della PA, di provvedimenti contestuali che possano determinare nuovi equilibri e produrre quella sinergia pubblico – privato dalla quale il Paese non può prescindere”.

www.federarchitetti.it

Redazione Tecnica

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