Distanze tra edifici e standard urbanistici: 5 punti essenziali dopo il Decreto del Fare

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Abbiamo parlato tempo fa dell’alleggerimento dei vincoli sul regime delle distanze tra edifici e degli standard urbanistici, grazie alle modifiche apportate dalla conversione in legge del Decreto del Fare e la conseguente introduzione dell’art. 2-bis al Testo Unico Edilizia “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati” (leggi Decreto del fare, meno vincoli sulle distanze in edilizia).

Torniamo sull’argomento per cercare di definire i limiti dell’applicazione della nuova disciplina sulle distanze in edilizia e sugli standard urbanistici, individuando cinque punti essenziali dell’argomento: inquadramento normativo e deroghe, i limiti inderogabili per edifici residenziali e per edifici industriali, le distanze tra edifici nei centri storici e nelle altre zone, le altre tipologie di vincoli esistenti.

1. Inquadramento normativo e deroghe
Grazie alle modifiche intervenute dopo il Decreto del Fare, le Regioni e le Provincie autonome hanno l’opzione di prevedere delle deroghe sia alle distanze minime tra edifici, sia agli standard urbanistici che sono, in parole semplici, la “misura degli spazi pubblici”, ossia gli spazi minimi che devono essere garantiti a ogni cittadino e che vanno divisi tra aree per il verde pubblico, aree per i parcheggi, ecc.

Le norme principali che disciplinano le distanze tra edifici sono contenute sia nel codice civile che nel decreto 1444/1968. Gli standard urbanistici, invece, vengono regolamentati nel decreto 1444/1968.

2. I limiti per gli edifici e le aree residenziali
Come abbiamo detto, gli standard urbanistici (ora derogabili), regolati dal decreto 1444/1968, prevedono degli spazi minimi per ogni abitante. Per le attrezzature d’interesse locale, o di quartiere, il decreto stabilisce che ogni cittadino ha diritto ad un minimo di 18 mq di spazio pubblico (9 mq di parchi pubblici, 4,5 mq di aree per l’istruzione, 2,5 mq di aree di parcheggio extra pertinenziali e 2 mq di aree adibite ad attrezzature di uso comune).

3. I limiti per gli edifici e le aree industriali
Nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell’intera superficie destinata  a tali insediamenti. Con la modifica apportata dal Decreto del Fare, queste disposizioni sono ora derogabili.

Nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a 100 mq di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di 80 mq di spazio, escluse  le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi; tale quantità, per le zone A e B è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative. Analogamente a quanto letto nel paragrafo precedente, anche questi standard risultano derogabili.

4. Vincoli inderogabili di altezza e densità
Il decreto 1444/1968 indica dei limiti che sono inderogabili e che riguardano sia la densità edilizia che l’altezza massima degli edifici, diversificate in base alle zone.

5. Distanze tra edifici
Nelle zone omogenee A, dunque nei centri storici, romane obbligatorio mantenere il rispetto delle distanze tra edifici preesistenti anche in caso di ristrutturazione edilizia. In tutte le altre zone omogenee, il decreto 1444/1968 impone il rispetto di una distanza minima tra pareti finestrate di 10 metri.

In sostanza, quindi alle Regioni è consentito derogare alle distanze minime tra fabbricati e agli standard urbanistici sono per soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.

Redazione Tecnica

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