Riforma Fornero: altroché restyling… serve una cura shock

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“Non basta un semplice restyling dei contratti a termine o dell’apprendistato, per invertire la drammatica dinamica della disoccupazione giovanile occorre una cura choc, azzerando i contributi e ridurre il costo del lavoro per chi crea occupazione vera. Parallelamente bisogna intervenire con una profonda revisione di tutto l’impianto della riforma Fornero”.

Con queste parole, attraverso un comunicato stampa, il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, commenta le  ipotesi allo studio del Governo per fronteggiare l’emergenza lavoro.

Sempre sulla Riforma Fornero leggi anche I voucher e il lavoro accessorio nella Riforma del Lavoro Fornero.

Prosegue Stella: “In questi giorni si succedono varie dichiarazioni sulla necessità di intervenire sulla Riforma Fornero. In un periodo di crisi come quello attuale, le rigidità della legge 92/2012 rischiano di aggravare ulteriormente la situazione occupazionale, soprattutto nelle piccole imprese e negli studi professionali”.

Numerosi i punti controversi della legge Fornero segnalati da Confprofessioni. “Le attuali disposizioni sono orientate a uno scambio tra una minore ‘rigidità in uscità’ e una minore ‘flessibilità in entrata’ che potrebbe anche andare bene per le grandi industrie coinvolte nella revisione dell’art. 18, ma risultano completamente sbilanciate per le imprese di piccole dimensioni, tra cui gli studi professionali che occupano mediamente 2,7 dipendenti, dove le modifiche introdotte alla disciplina della reintegrazione nel rapporto di lavoro sono praticamente nulle”.

Tra le ipotesi allo studio del Governo si fa riferimento ai contratti a termine e alla necessità di ridurre per legge gli stacchi temporali.

“Sicuramente è un fatto positivo ma è evidente che non è questo il punto determinate per il rilancio dell’occupazione. Le Parti sociali avevano tra l’altro la possibilità di intervenire ma ben pochi si sono mossi in questa direzione. La Riforma Fornero ha allungato i tempi di intervallo tra un contratto a termine e l’altro, senza però garantire la stabilizzazione dei lavoratori, aumentando al contrario fenomeni di turnover tra gli stessi, danneggiando proprio quei lavoratori che si volevano proteggere e quindi producendo fenomeni distorsivi rispetto agli obiettivi della norma” aggiunge il numero uno di Confprofessioni”.

Fortunatamente, la legge ha stabilito che  i contratti collettivi potessero prevedere, stabilendone le condizioni, la riduzione di tali intervalli di tempo  e su questo fronte gli studi professionali sono al riparo” continua Stella. “Il 28 novembre 2012 Confprofessioni insieme alla controparte sindacale ha stipulato un accordo che ha introdotto per i lavoratori del comparto professionale  la riduzione dei termini: fino a 20 giorni in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi; fino a 30 giorni in caso di contratti di durata superiore”.

Tema fondamentale da risolvere deve essere il rafforzamento dell’apprendistato, segnalato come obiettivo dai saggi. Il ricorso a questo istituto rappresenta una quota marginale delle nuove assunzioni (2,8%) e sulla base dei dati ministeriali vi è un calo del 3% tra il quarto trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011. C’è poi un problema applicativo lamentato dalle strutture produttive con le Regioni che, in base al Titolo V, hanno la competenza sulla formazione e possono stabilire percorsi differenti in materia con conseguenti incertezze”.

Redazione Tecnica

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