Imu Chiesa e enti no profit, sì con riserva del Consiglio di Stato

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Via libera con riserva dal Consiglio di Stato al regolamento del Governo per le modalità di tassazione degli immobili commerciali degli enti non commerciali, dunque anche dei beni della Chiesa con destinazione non commerciale.

Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole con alcune riserve al provvedimento (ora riscritto) del Governo riguardante le norme attuatuative del Dl Cresci Italia per determinare i criteri di esenzione dall’Imu per le frazioni di immobili degli enti no profit e quindi anche quelli di proprietà della Chiesa nei quali si svolge attività non commerciale. Il CdS aveva, in settembre, bocciato il primo testo poiché “andava oltre i confini attribuiti dalla legge”.

Ieri il Governo ha diffuso anche una nota di precisazione riguardante quello che è stato definito, erroneamente secondo Palazzo Chigi, il “blitz alla Camera” per alleggerire l’IMU a carico degli enti non commerciali.

Il regolamento scritto non è ancora noto ma lo si può desumere dall’atto del Consiglio di Stato.

Il nuovo testo ha ottenuto il via libera sostanziale ma con l’obbligo di adeguare le disposizioni ai principi Ue. Prima di scendere nel dettaglio, occorre sottolineare che il parere del Consiglio di Stato è sì autorevole ma non è vincolante.

Le valutazioni del Consiglio di Stato contengono le modalità di identificazione delle attività non a scopo di lucro, tra i quali il carattere simbolico delle rette. Il CdS richiede l’inserimento del riferimento alla normativa europea che identifica l’attività economica.
Sette articoli identificano i soggetti no profit e regolano anche gli immobili che hanno utilizzazione mista (commerciale e non commerciale). Se sarà possibile capire la parte di immobile o l’immobile adibita ad attività non commerciale, solo questa parte sarà esentata. Se questo non sarà possibile, l’esenzione sarà applicata in modo proporzionale all’utilizzo non commerciale dell’immobile stesso.

Le difficoltà emergono però sul fatto che i requisiti individuati per individuare le attività non commerciali sono eterogenei. I casi sono diversi:
– in alcuni casi (attività culturali, ricreative e sportive) si utilizza il criterio delle gratuità o del carattere simbolico delle retta;
– in altri casi (attività ricettive e in parte per quelle sanitarie) il criterio è quello dell’importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nello stesso ambito territoriali;
– in altri casi ancora (per le attività didattiche) si segue il criterio della non copertura integrale del costo effettivo del servizio.

Per alcune attività sanitarie e per l’assistenza (nello specifico, per cliniche e ospizi) il regolamento prevede due requisiti differenti.
Sul primo (servizi in convenzione con  gli enti pubblici gratuiti per che ne usufruisce) i magistrati evidenziano che non è valido ai fini Ue. Il Consiglio di Stato dichiara che il secondo criterio unito a quello delle rette simboliche è l’individuazione dei prezzi medi del territorio, è “di difficile applicazione e sotto altro profilo non è in assoluto idoneo a qualificare l’attività come non commerciale”.

Capitolo a parte anche per quanto riguarda la scuola: l’Ue consente che si possano pagare tasse di iscrizione e contribuire ai costi di gestione. Il criterio usato dal Governo (retta simbolica che non copra integralmente il costo effettivo del servizio) richiede alcune modifiche in modo da adeguarlo alla normativa europea. Scrive il CdS: “non sembra compatibile col carattere non economico dell’attività: tale criterio consente di porre a carico degli utenti (studenti o genitori) anche una percentuale dei costi solo lievemente inferiore a quelli effettivi”.

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Redazione Tecnica

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