Pannelli solari e autorizzazione paesaggistica: motivazioni di diniego devono essere particolarmente stringenti

L’impiego di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è qualificato come opera di pubblica utilità ed è incentivato dalla legge, quindi le motivazioni di eventuale diniego dell’autorizzazione paesaggistica devono essere particolarmente stringenti. Due recenti sentenze

Mario Petrulli 15/05/23
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La giurisprudenza, in diverse occasioni[1], ha ricordato che l’impiego di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è qualificato dalla legislazione vigente come opera di pubblica utilità ed è incentivato dalla legge in vista del perseguimento di preminenti finalità pubblicistiche correlate alla difesa dell’ambiente e dell’ecosistema, sicché le motivazioni del diniego dell’autorizzazione paesaggistica devono essere particolarmente stringenti.

È stato, altresì, rimarcato[2] che il favor legislativo[3] per le fonti energetiche rinnovabili richiede di concentrare l’impedimento assoluto all’installazione di impianti fotovoltaici in zone sottoposte a vincolo paesaggistico unicamente nelle “aree non idonee” espressamente individuate dalla Regione, mentre, negli altri casi, la compatibilità dell’impianto fotovoltaico con il suddetto vincolo deve essere esaminata tenendo conto della circostanza che queste tecnologie sono ormai considerate elementi normali del paesaggio, in quanto la presenza di impianti fotovoltaici sulla sommità degli edifici non è più percepita come fattore di disturbo visivo, bensì come un’evoluzione dello stile costruttivo accettata dall’ordinamento e dalla sensibilità collettiva.

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In simili fattispecie, vengono in rilievo pariordinati e concorrenti – ancorché potenzialmente antagonistici – interessi pubblici, entrambi di matrice ambientale: la tutela del paesaggio e la promozione delle fonti energetiche rinnovabili, finalizzate al contenimento ed alla riduzione dei fenomeni di inquinamento, che richiedono un rigoroso ed analitico bilanciamento, onde stabilire a quale di essi occorra annettere prevalenza nel caso concreto.

Poiché il passaggio alla produzione di energia da fonti rinnovabili costituisce un obiettivo di interesse nazionale conforme al diritto eurounitario, non è più possibile applicare ai pannelli fotovoltaici categorie estetiche tradizionali, le quali condurrebbero inevitabilmente alla qualificazione di questi elementi come intrusioni. Essendo cambiato il quadro normativo e anche la sensibilità collettiva verso l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, risulta inevitabilmente diverso anche il modo in cui sono valutate le modifiche all’aspetto tradizionale dei luoghi. Occorre, quindi, focalizzare l’attenzione sulle modalità con cui i pannelli fotovoltaici sono inseriti negli edifici che li ospitano e nel paesaggio circostante[4].

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Due recenti sentenze ci consentono di indagare meglio l’argomento.

Il TAR Sardegna, sez. I, nella sent. 2 maggio 2023, n. 323, ha evidenziato che, secondo il punto A.6 dell’Allegato A del DPR n. 31/2017, non è richiesta l’autorizzazione paesaggistica per l’”installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici, laddove posti su coperture piane e in modo da non essere visibili dagli spazi pubblici esterni; installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici, purché integrati nella configurazione delle coperture, o posti in aderenza ai tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda degli edifici, ai sensi dell’art. 7-bis del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, non ricadenti fra quelli di cui all’art. 136, comma 1, lettere b) e c) del  decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.

Nel caso specifico affrontato dai giudici cagliaritani tale norma non è stata ritenuta applicabile in quanto i pannelli in questione erano posizionati sul solaio piano del palazzo, risultano evidentemente inclinati e nettamente visibili dalle vie circostanti. L’intervento in questione, sul punto, ricade nel punto B.8 dell’Allegato B al citato DPR n. 31/2017, richiedente l’autorizzazione paesaggistica semplificata e comprendente l’“installazione di pannelli solari (termici o fotovoltaici) a servizio di singoli edifici su coperture piane in posizioni visibili dagli spazi pubblici esterni”.

La seconda pronuncia che segnaliamo è la sent. 20 aprile 2023, n. 214, del TAR Abruzzo, L’Aquila, relativa alla motivazione del diniego dell’autorizzazione paesaggistica nel caso dell’installazione dei pannelli solari.

Nessun dubbio, ovviamente, che il giudizio della Soprintendenza costituisca espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui l’amministrazione dispone in materia e dalla quale discende la sua sindacabilità solo nei ristretti limiti costituiti dalla manifesta illogicità ed evidente travisamento dei fatti; parimenti, nessun dubbio può sussistere sulla necessità che il diniego (anche parziale) dell’autorizzazione paesaggistica debba contenere una sufficiente esternazione delle peculiari ragioni per le quali si ritiene che un’opera non sia idonea a inserirsi nell’ambiente, attraverso l’esame delle sue caratteristiche concrete e l’analitica individuazione degli elementi di contrasto con il vincolo da tutelare[5].

Nel caso dei pannelli fotovoltaici, però, il diniego deve essere “rafforzato”, proprio in virtù del favor legislativo in materia: è necessario, perciò, che vi siano puntuali e analitiche ragioni a sostegno del diniego. La valutazione richiesta ai fini della tutela del vincolo paesaggistico non può, di conseguenza, ridursi all’esame dell’ordinaria contrapposizione interesse pubblico/interesse privato, ma deve farsi carico di tutti gli interessi pubblici coinvolti e favorire la soluzione che consenta, ove possibile, la realizzazione dell’intervento con il minor sacrificio dell’interesse paesaggistico nella sua declinazione meramente estetica[6].

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Tanto premesso, nel caso affrontato dai giudici abruzzesi l’oggetto del giudizio era il diniego, dinanzi alla progettata installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di un immobile, motivato dalla Soprintendenza nei termini seguenti: “si ritiene non compatibile con l’immagine tradizionale in coppi di laterizio. In ragione della particolare ubicazione dell’edificio e dell’orientamento della falda interessata, infatti, l’intervento risulterebbe notevolmente percepibile nonché rilevante paesaggisticamente in considerazione dei valori del paesaggio rurale e del paesaggio naturale sopra rappresentati”. Secondo i giudici, il parere era illegittimo per un duplice ordine di motivi, visto che la Soprintendenza:

  • si era limitata a inferire, in via automatica ed apodittica, l’alterazione dell’equilibrio paesaggistico del contesto territoriale di riferimento dalla mera circostanza della prevista installazione di pannelli fotovoltaici, senza farsi carico del dovuto bilanciamento fra tutela paesaggistica ed esigenze di sostenibilità energetica;
  • anziché suggerire la praticabilità di soluzioni alternative al posizionamento dei pannelli fotovoltaici sulla falda di copertura che non interferiscano con le visuali panoramiche, ha espresso una valutazione radicalmente ostativa alla realizzazione dell’intervento progettuale ritenendo preclusa in assoluto l’installazione dei pannelli fotovoltaici ed invitando, di fatto, gli interessati ad optare per tecnologie e modalità di sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili diverse da quella solare che possano risultare paesaggisticamente meno impattanti.

Sembra assente, nella motivazione, una valutazione in concreto della compatibilità paesaggistica dell’intervento, dal momento che l’affermata non conformità dei pannelli fotovoltaici alla tutela paesaggistica sembra rinvenirsi prevalentemente nell’aspetto cromatico e nella “tradizionalità” delle coperture impiegate nella zona, di modo che l’introduzione di elementi “tecnologici” (quali gli impianti fotovoltaici) sarebbe inevitabilmente e, comunque, preclusa. Per l’effetto, viene prescritto non già l’impiego di un colore o di una forma maggiormente consoni al contesto, bensì di non utilizzare affatto i pannelli, in tal modo pervenendosi ad una conclusione basata su presupposti apodittici e generali, avulsi da una valutazione in concreto riferita allo specifico contesto paesaggistico[7].

Tra l’altro, nel caso specifico, i proprietari avevano individuato una soluzione che cercava di contemperare l’interesse generale alla tutela del paesaggio con l’interesse, altrettanto generale, allo sviluppo dell’uso di fonti energetiche rinnovabili, attraverso l’adozione di specifiche cautele tese a minimizzare l’impatto della installazione di che trattasi: il posizionamento parallelo alla falda di copertura; l’utilizzo di colorazioni dei materiali usati identico, o comunque compatibile, con quello della struttura della falda stessa; la caratteristica non riflettente degli stessi per mimetizzare al massimo l’impianto, riducendo così al minimo il suo impatto sulla struttura ed armonizzandosi con la stessa proprio in un’ottica di rispetto dell’area circostante.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

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[1] TAR Veneto, sez. II, sent. 20 febbraio 2023, n. 233; TAR Abruzzo, sent. 20 aprile 2023, n. 214.

[2] TAR Toscana, sez. I, sent. 9 marzo 2017, n. 357; TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. 19 giugno 2017, n. 1459.

[3] L’art. 12 del Decreto Legislativo n. 387/2003 qualifica in termini di pubblica utilità le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili; l’art. 11 del Decreto Legislativo n. 28/2011 stabilisce l’obbligo di integrare le fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti.

[4] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 30 novembre 2018, n. 1148; sent. 12 gennaio 2016, n. 27.

[5] TAR Toscana, sez. III, sent. 6 settembre 2018, n. 1168.

[6] Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 29 maggio 2018, n. 3207; sent. 6 marzo 2018, n. 1424; sent. 23 marzo 2016, n. 1201.

[7] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 29 marzo 2021, n. 296.

Immagine: iStock/MikeMareen

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