Abusi edilizi: cosa significa avere un immobile che non possiede uno stato legittimo

La conformità edilizia è come una catena, in cui gli anelli sono rappresentati dai titoli abilitativi: ciascun anello ha un ante operam ed un post-operam, e si può considerare correttamente connesso all’anello precedente solo se vi è perfetta sovrapposizione

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(di M. Campagna) La legittimità edilizia fa riferimento alle forme, dimensioni, distribuzione interna, destinazione d’uso, altezze e qualunque parametro urbanistico che possa essere correlato alla costruzione ed alla “vita” dell’immobile.

Dunque la verifica della conformità si effettua inizialmente estraendo, se non già disponibili, tutta la documentazione inerente i titoli abilitativi pregressi che hanno riguardato il singolo immobile, partendo, quindi, dall’originario titolo, il progetto edilizio di prima edificazione.

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In molti casi, se l’immobile non è mai stato modificato dalla costruzione, naturalmente la verifica della legittimità si limiterà all’analisi dello stato attuale confrontandolo con il grafico dell’originario progetto edilizio. Se, invece, vi sono state trasformazioni intermedie, occorrerà verificare i vari passaggi, partendo sempre dallo stato rappresentato nell’originario progetto edilizio, e verificando, quindi, che ciascun titolo abilitativo successivo abbia rappresentato lo stato iniziale dell’immobile in modo coerente con il titolo precedente.

In sostanza, ogni titolo edilizio deve avere un “ante operam” (stato rilevato o stato dell’immobile prima dei lavori) identico al “post-operam” (stato post-lavori o stato di progetto, ovvero la forma che l’immobile avrà dopo fatti i lavori previsti) del titolo abilitativo precedente: questo significa verificare la concatenazione dei titoli e analizzare se la legittimità edilizia è continua nel tempo.

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La conformità edilizia è come una catena

La conformità edilizia è come una catena, in cui gli anelli sono rappresentati dai titoli abilitativi: ciascun anello ha un ante operam ed un post-operam, e si può considerare correttamente connesso all’anello precedente solo se vi è perfetta sovrapposizione tra post-operam ed ante-operam.

Gli anelli della catena possono essere titoli di natura anche differente tra loro, ovviamente, perché anche in passato a diversi interventi edilizi potevano corrispondere diverse procedure autorizzative. Gli anelli della catena possono essere anche dei condoni edilizi.

Nel caso in cui dovessimo riscontrare che vi è una interruzione nella catena di conformità, occorrerà operare, laddove possibile, per sanare la discontinuità. La discontinuità può riscontrarsi anche nell’ultimo anello della catena ovvero, più semplicemente, si riscontra che, ad oggi, l’immobile non è conforme all’ultimo titolo edilizio presentato.

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Entriamo dunque nel merito delle varie casistiche che possono presentarsi di non conformità edilizia. È importante saper riconoscere le non conformità perché vi sono diversi livelli di abuso: alcune fattispecie sono molto semplici da gestire e poco onerose, mentre altre problematiche possono essere talmente gravi da non prevedere proprio possibilità di sanatoria.

L’analisi della non conformità si effettua semplicemente valutando quali opere edilizie sono state eseguite a modifica dell’ultimo stato legittimo: ad esempio, se una planimetria di un appartamento presenta tre camere mentre oggi ne ha due, è chiaro che le opere che hanno determinato la trasformazione abusiva sono consistite in una demolizione e ricostruzione di tramezzature interne, dunque la gestione della difformità partirà dalla considerazione che tale tipo di intervento rientra, di norma, nella manutenzione straordinaria.

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Classifica della complessità

I livelli di gravità della difformità edilizia possono essere individuati attraverso due distinte considerazioni: la prima considerazione da fare è netta nella risposta, ma di complessa individuazione, e risponde alla domanda se la difformità sia sanabile o meno; se la difformità è sanabile, significa che vi è un modo, per quanto complesso o costoso possa essere, per eliminare la difformità e portare l’immobile in uno stato legittimo; la seconda considerazione da fare è nel tipo di titolo abitativo che occorre presentare “in sanatoria”.

Incrociano il fatto se la difformità sia sanabile o meno con il tipo di complessità del titolo abilitativo da presentare fa ricavare una sorta di classifica della complessità, che non ha alcuno scopo se non quello di individuare per sommi capi quali possono essere le criticità delle operazioni da compiere.

Con CILA – livello di complessità basso

Al livello più basso del grado di complessità troveremo quindi difformità sanabili e gestibili tramite una CILA: dunque parliamo di diverse distribuzioni degli spazi interni degli edifici ed opere esterne che, salvo specifica normativa locale, possono andare dalla diversa coloritura di un prospetto all’esecuzione di piccoli fori per ventilazioni o aerazioni.

Un gradino leggermente più alto di quello appena visto è quando le opere astrattamente ricadono nell’alveo della CILA ma non risultano invece direttamente sanabili: un esempio abbastanza tipico è quello della diversa distribuzione spazi interni dove l’assetto planimetrico rilevato non è conforme alle norme igienico-sanitarie. Il Decreto Sanità del 1975 ha imposto diverse regole per la salubrità degli ambienti interni degli appartamenti, tra cui le dimensioni minime in pianta delle singole stanze (9mq per la camera da letto singola, 14 per la doppia) e la dimensione minima che le finestre devono avere (rapporto minimo tra superficie finestrata apribile verso l’esterno e superficie calpestabile non inferiore ad 1/8, fermo restando il valore minimo del 2% del fattore medio di luce diurna).

Va rimarcato che se uno stato urbanistico illegittimo è anche irrispettoso delle regole urbanistiche e igienico-sanitarie non solo non è appunto sanabile nello stato in cui è – poiché la normativa è chiara nell’indicare che uno stato difforme può essere sanabile solo se conforme alla normativa vigente – ma non è nemmeno possibile autorizzare delle opere che consentano a quello stato di diventare sanabile: questa procedura prende il nome di sanatoria condizionata, ovvero appunto la possibilità di sanare una situazione urbanistica autorizzando contemporaneamente delle opere – piccole o grandi che siano – che consentano allo stato edilizio di diventare sanabile. Ebbene, la sanatoria condizionata secondo una lettura prevalente della giurisprudenza è considerata inapplicabile, in quanto la legge non prevedendo la specifica fattispecie, la stessa va considerata non consentita. La norma, difatti, a ben vedere, indica che lo stato urbanistico deve essere dichiarato legittimabile così come è. Questa è una complessità davvero importante, perché nei fatti può indurre ad effettuare ulteriori opere abusive, pur di raggiungere uno stato urbanistico legittimabile.

A proposito di abusi, nell’articolo Il Superbonus vale anche su abusi edilizi sono elencate le regole e le eccezioni con un esempio pratico di sostituzione infissi

Con SCIA – livello di complessità medio-alto

Riprendendo il discorso dei livelli di gravità di una non conformità edilizia, saliamo di un gradino rispetto alla CILA ed atterriamo sulla SCIA. Questo titolo abitativo è capace di autorizzare interventi più complessi rispetto alla CILA, in quanto mentre quest’ultima può gestire le manutenzioni straordinarie leggere ed i risanamenti conservativi leggeri (leggeri in quanto non contemplano interventi rilevanti ai fini della pubblica sicurezza, cioè di procedure di genio civile), la SCIA è in grado di autorizzare opere non solo di manutenzione straordinaria pesante e risanamento conservativo pesante (pesanti perché contemplano interventi da realizzare previo ottenimento dell’autorizzazione sismica) ma anche di ristrutturazione edilizia leggera (definizione che ricomprende anche delle fattispecie di demolizione e ricostruzione).

Si comprende quindi che le opere che ordinariamente ricadrebbero nella SCIA ai sensi dell’art. 22 DPR 380/01, in accertamento di conformità, ovvero seguendo le indicazioni dell’art. 37, ricadono nel medesimo titolo ma presentato appunto per opere già realizzate e non da eseguire. Il principio tacito della normativa italiana, difatti, è che in caso di opere effettuate in assenza della CILA (art. 6 bis DPR 380/01) o della SCIA (art. 22), il titolo abilitativo in accertamento di conformità da presentarsi per autorizzare le lavorazioni è sempre una CILA (sempre art. 6 bis, anche se tardiva o “in sanatoria”) o una SCIA (art. 37). Presentare un titolo a posteriori, ovviamente, prevede il pagamento di una sanzione amministrativa o oblazione, a seconda del tipo di abuso commesso.

Nell’operare tramite SCIA in art. 37 DPR 380/01, però, si presti attenzione specifica alle procedure parallele di “sanatoria” strutturale, laddove prevista: questo è un ambito delicatissimo e complesso della nostra normativa vigente, in quanto, mancando una specifica procedura per autorizzare opere strutturali in sanatoria, si sta andando verso una visione estremamente e pericolosamente stretta dell’interpretazione normativa che sta portando a ritenere che gli interventi strutturali eseguiti in passato siano sanabili solo se rispettosi della normativa tecnica vigente: questo comporta importanti complessità, perché mentre la normativa urbanistica si evolve in termini di edificabilità delle aree, distanze, sagome e destinazioni d’uso – ovvero parametri geometrici e volumetrici – quella tecnica si evolve ogni volta in senso maggiormente stringente, seguendo anche il passo dell’evoluzione tecnologica, con la conseguenza che da un punto di vista urbanistico un intervento abusivo può essere sanabile se l’evoluzione della norma urbanistica non crea impedimenti, mentre da un punto di vista strutturale un opera eseguita venti anni addietro difficilmente sarà sanabile con le regole vigenti, più stringenti di quelle applicabili all’epoca della realizzazione.

Purtroppo questo è un ambito davvero delicato e foriero di grande complessità, a cui ci si augura che il legislatore vorrà porre rimedio in tempi brevi.

Tutto quanto detto finora è per introdurre un ulteriore parametro per la valutazione della complessità di una difformità, che varia a seconda se l’intervento è o meno da sottoporre ad autorizzazione sismica “in sanatoria”.

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Con Permesso di Costruire – livello di complessità alto

Ancora più in alto nella scala delle complessità correlata ai titoli edilizi, troviamo le opere che hanno bisogno di essere gestite nell’alveo dell’art. 36 DPR 380/01: questo articolo gestisce le opere che, per via ordinaria, necessiterebbero per essere eseguite della SCIA alternativa al Permesso di Costruire (art. 23 DPR 380/01) o dello stesso Permesso di Costruire. In via semplicistica, si potrebbe dire che in art. 36 può essere gestito tutto ciò che non è da ricondurre agli altri titoli abilitativi “inferiori”: in parte ciò è vero ma sarebbe riduttivo definirlo così.

Le difformità che generalmente ricadono nell’art. 36 sono quelle di ristrutturazione edilizia pesante (dalla variazione di prospetto in zona vincolata fino alle variazioni di sagoma e volume, anche in ampliamento) e di nuova costruzione, dunque opere molto impattanti urbanisticamente.

La complessità qui è massima, sia perché il titolo abilitativo è quello più complesso, sia perché le norme che sottendono ad un intervento che rientra tra quelli visti sono molto stringenti e vanno lette, soprattutto, con estrema cura. In caso di variazioni di sagoma, ad esempio, occorre verificare che siano rispettate le distanze tra costruzioni, le altezze massime esterne e quelle minime interne, nonché tutto il corollario di norme tecniche applicabili anche ai sensi della regolamentazione sismica. Ovviamente, poi, il tutto verificando (e dichiarando) che le opere sono conformi tanto alla normativa vigente al momento in cui si presenta la domanda di accertamento di conformità, sia al momento in cui l’abuso è stato commesso (il cosiddetto principio della doppia conformità, presente negli articoli 36 e 37 ma non espressamente richiamato nell’art. 6 bis che gestisce la CILA tardiva).

Altra differenza da rimarcare, ma a cui qui si può solo velocemente fare cenno, è quella relativa al fatto che gli interventi soggetti ad articolo 36 prevedono una espressa risposta di accoglimento da parte dello sportello unico dell’edilizia comunale, mentre l’art. 6 bis non lo prevede. L’art. 37 neppure prevederebbe una risposta comunale, ma c’è un approccio giurisprudenziale che, invece, tende a ritenere che anche qui occorra un pronunciamento, anche se non di accoglimento quanto, piuttosto, di accertamento della correttezza degli importi da devolvere a titolo di oblazione.

Altro fattore assolutamente non secondario nella complessità delle sanatorie è l‘eventuale presenza di vincoli imposti ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. 42/2004), in quanto le eventuali complessità su immobili ricompresi in questa fattispecie possono non solo richiedere specifiche autorizzazioni in accertamento di compatibilità (come l’accertamento di compatibilità paesaggistica, art. 167) che, peraltro, prevedono anche un margine di discrezionalità da parte dell’ufficio procedente, ma potrebbero risultare del tutto non sanabili: il Codice è chiaro, ad esempio, nell’indicare che non possono essere condotte in sanatoria opere in zone con vincolo paesaggistico che abbiano comportato aumenti di volume. L’accertamento di compatibilità paesaggistica peraltro ha anche delle sanzioni proprie che si aggiungono a quelle urbanistiche, il tutto fatto salvo che la difformità non sia talmente lieve da essere ricompresa tra quelle escluse dall’obbligo di ottenere l’autorizzazione preventiva, di cui all’allegato A al DPR 31/17.

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Livello di gravità di un abuso

Dunque dopo aver descritto per sommi capi il panorama autorizzativo relativo alle difformità, si può capire che il livello di gravità di un abuso edilizio dipende da:

  • il tipo di titolo abilitativo che richiede per la sanatoria: le opere in CILA saranno per loro strttura più semplici da gestire rispetto a quelle che richiedono una SCIA o un Permesso di Costruire in accertamento di conformità;
  • il fatto se l’intervento risulti sanabile nello stato in cui si trova oppure no e, se no, la complessità dipende da quali opere andrebbero teoricamente fatte per ripristinare l’abuso;
  • se l’intervento richiede, oltre al titolo abilitativo edilizio, anche altre procedure che possono comportare grande complessità, come ad esempio gli interventi che avrebbero dovuto essere preventivamente oggetto di autorizzazioni quale quella sismica o quella paesaggistica.

Per chiudere la disamina, va detto che in molti casi, soprattutto in caso di opere abusive assai complesse e comunque non conformi alla normativa, può essere opportuno valutare la possibilità di un ripristino, ovvero un intervento teso a rimuovere l’abuso riportando fisicamente l’immobile all’ultimo stato autorizzato legittimo: questa fattispecie di intervento, a differenza di quella citata della “sanatoria condizionata”, è sempre ammesso dalla normativa perché non si tratta di una sanatoria, ma appunto di un ripristino.

L’articolo è a cura dell’Arch. Marco Campagna, autore del volume La compravendita immobiliare: una guida per professionisti e non che risponde alla necessità di offrire al lettore, professionista e non, indicazioni e sostegno nel vasto mare della normativa con riferimento alle responsabilità delle figure professionali, a “cosa chiedere ed a chi”, a cosa pretendere dal venditore ed ai doveri, responsabilità e rischi che si hanno come acquirente, quando si compra o si vende un immobile.

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