Espropriazione, la realizzazione di opere pubbliche non è una motivazione sufficiente

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La realizzazione di un’opera pubblica su un fondo occupato in maniera illegittima dalla pubblica amministrazione è, di per sé, un mero fatto e non è in grado, da solo, ad assurgere a titolo di acquisto. Anzi, il proprietario del terreno, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e dell’annullamento dei relativi provvedimenti, può chiedere il risarcimento del danno, la restituzione del fondo e la sua riduzione in pristino.

 

Sono queste le conclusioni a cui è arrivato il Consiglio di Stato con la sentenza 4790/2011. I giudici di Palazzo Spada hanno dunque stabilito che il fatto di costruire un’opera pubblica su un terreno illegittimamente occupato non può rappresentare un corretto trasferimento di proprietà (dal privato alla pubblica amministrazione).

 

Solo il formale atto di acquisizione della p.a. può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi della proprietà in altri comportamenti, atti o contegni.

 

I soli corretti procedimenti espropriativi, continua la sentenza del Consiglio di Stato, sono due: il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento espropriativo (quindi anche in assenza del consenso del proprietario del fondo), purché accompagnato dalle garanzie stabilite dalla legge.

 

A questi due strumenti, conclude la sentenza, va aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 327 dell’8 giugno 2001 e successivamente riproposto dall’art. 42-bis del medesimo provvedimento, come introdotto dal comma 1, art. 34 del d.l. 98/2011 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito in legge il 15 luglio 2011.

Redazione Tecnica

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