Restauro edifici storici, il giusto approccio per evitare interventi dannosi

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Mirando alla continuità e all’approfondimento della trattazione iniziata la settimana scorsa con l’articolo Rischio sismico, prevenzione e restauro del patrimonio storico, affrontiamo questa settimana un tema che sembrerebbe, in Italia, poco interessante se non quando succedono disastri, per poi tornare a dimenticarcene velocemente.

Ci occuperemo, attraverso considerazioni, di interventi di restauro inefficaci o addirittura dannosi del patrimonio storico.

Non capita di rado, infatti, di trovarci di fronte a opere o interventi di varia natura che parrebbero progettati ed eseguiti superficialmente e ideati come se si trattasse di una replica di interventi apparentemente simili applicando procedure su opere e organismi edilizi che invece simili non sono, o che addirittura presentano caratteristiche o sofferenze del tutto differenti dalle “fonti di ispirazione”.
Prendere in considerazione l’edilizia del passato, non solo quella prettamente artistica, necessita di una buona dose di critica per giungere alla chiarezza della situazione strutturale in cui l’organismo è vissuto, comprendendone a fondo l’architettura globale, al fine di progettarne un qualsiasi intervento.

L’approccio generale che verrà analizzato e proposto in questo articolo, deve essere ritenuto valido per qualsivoglia oggetto costruito di carattere storico, elaborando considerazioni sul rispetto della struttura originaria di un edificio che spesso coincide con il rispetto delle sue caratteristiche formali ed estetiche di iniziale concezione.
I professionisti devono rendersi consapevoli del valore architettonico ed economico del patrimonio storico e devono comprendere che tale valore viene irrimediabilmente distrutto quando i caratteri costruttivi di edifici storici vengono persi inserendovi elementi tipici dell’edilizia moderna. Il danno che deriva da tale snaturamento è, oltre che formale e denunciante la mancanza di professionalità e cultura, anche un danno di sostanza. Al di la di ogni dubbio è dimostrato, anche dagli eventi dell’Emilia del mese scorso e de L’Aquila del 2009, che interventi “pesanti” generano squilibri strutturali che pregiudicano la risposta sismica generale creando un organismo sismicamente vulnerabile.

Non basta affidarci a un calcolatore agli stati limite per modellare una struttura che ha subito cambiamenti per anni di azioni atmosferiche, del tempo stesso o per interventi antropici. L’oggetto che si andrà a studiare e modellare è senza dubbio un edificio unico, esclusivo, irripetibile e un approccio prettamente ingegneristico mancherebbe dell’impostazione che prende in considerazione la globalità di molteplici fattori non sempre determinabili con teorie probabilistiche.

È consuetudine sufficientemente ragionevole che, con il passare del tempo e l’agire della natura, gli edifici presentino problemi sulle strutture in elevazione piuttosto che problemi alle strutture di fondazione. Vuoi per questa ragione, vuoi perché le fondazioni non si vedono, gli aspetti legati al terreno ed al suolo sono quelli che spesso risultano meno presi in considerazione a meno di evidenti e palesi danni.
È altrettanto vero che, normalmente, la stabilità dei terreni di fondazione tende a migliorare con il trascorrere del tempo se non ci sono azioni dirette o indirette che vanno a pregiudicare la situazione nel contorno.

Fattori che possono invece compromettere l’evoluzione positiva della stabilità strutturale dei suoli di fondazione possono essere eventi sismici o eventi dovuti all’azione sconsiderata dell’uomo. Mettendo per un attimo da parte gli eventi naturali (sisma, cicli climatici, venti dominanti,…) quello che fa rabbrividire è la lunga lista di interventi antropogenici che è normale causa di dissesti fondali:
– errore sulla scelta delle fondazioni e/o errori di progettazione;
– aumento a posteriori del carico sulle strutture come per esempio sopraelevazioni;
– eccessivo carico in progetto e/o costruzione;
– vibrazioni del suolo dovute a insediamenti industriali, viabilità su ferrovia o traffico;
– alterazioni repentine del livello delle falde;
– modificazioni sulle strutture in elevazione (per esempio eliminazione o creazione di archi di spinta o aggiunte laterali, …);
– scavi, tunnel, perforazioni, ecc…

Per ragionare invece sulle strutture in elevazione possiamo analizzare alcune delle situazioni tecnicamente terribili verificatesi e documentate a seguito del terremoto che ha colpito la città de L’Aquila il 6 Aprile 2009.
In  particolare possiamo riferirci a alcune realizzazioni di solai e coperture in calcestruzzo armato (e quindi per loro natura rigidi) appoggiati a murature antiche realizzate in mattoni, pietrame o a tecnica mista. Al progettista probabilmente sarà sembrata la via consueta di costruire tetti ma il risultato che ne è stato determinato è che il ”cappello” rigido, scuotendosi e sobbalzando, ha contribuito in maniera decisamente preponderante ad abbattere le strutture in elevazione sottostanti.
Analoghi meccanismi di azione di corpi di differente natura posti a contatto fra loro, si sono verificati in tutte le situazioni in cui sono state realizzate sopraelevazioni, senza prendere in debita considerazione la natura globale dell’edificio storico esistente bensì lavorando come si stesse sopraelevando una casa a telaio armato.

Nelle immagini che seguono, noterete come il tetto, rimasto quasi del tutto intatto, si sia accasciato sui livelli inferiori a seguito dello sbriciolamento delle murature portanti che invece avrebbero dovuto sostenerlo.

Il primo piano della casa non esiste più schiacciato dal tetto quasi intatto
Il primo piano della casa non esiste più schiacciato dal tetto quasi intatto
Si vedono piccoli danni al cornicione del tetto mentre i muri sono completamente distrutti
Si vedono piccoli danni al cornicione del tetto, mentre i muri sono completamente distrutti
Il tetto si è staccato dagli appoggi ed è illeso
Il tetto si è staccato dagli appoggi ed è illeso

 

Tetti integri su muri sbriciolati
Tetti integri su muri sbriciolati

 

Progettare e realizzare tetti in questo modo è sostanzialmente più semplice e comodo piuttosto che studiare le tipologie e le caratteristiche locali, ma il risultato ultimo non è sicuramente il migliore.
L’immagine che segue è invece una situazione verificatasi in Emilia nel sisma del 2012. È vero che il Castello storico è rimasto danneggiato, ma la struttura lignea ed elastica del tetto, non ha aggravato la situazione. La muratura sottostante è collassata solo in parte e sicuramente non ha ricevuto il contributo del tetto.

Il tetto in legno ha resistito e non ha contribuito ad aggravare il danno alle murature sottostanti. Photo REUTERS/Giorgio Benvenuti. Fonte: web
Il tetto in legno ha resistito e non ha contribuito ad aggravare il danno alle murature sottostanti. Photo REUTERS/Giorgio Benvenuti. Fonte: web

 

Potremmo chiederci perché succedono queste cose; perché si realizzano interventi così?
La ragione principale è che, tristemente, chi approccia a questa errata tipologia di interventi, non è neppure consapevole di cosa sta facendo e in Italia manca un vero e proprio controllo sulla qualità dei tecnici. Basta avere un titolo e un timbro e si è liberi di fare danni ovunque!

Purtroppo l’approccio acritico che ha portato a ciò, evidenziato nelle immagini scattate a seguito dei terremoti di L’Aquila e dell’Emilia, lo si trova messo in atto decisamente più spesso di quanto si dovrebbe. Nelle immagini che seguono è presentato il risultato di un intervento di “restauro e consolidamento” di un edificio storico appartenente a un complesso con ipotizzate origini medievali. Per fortuna il complesso intero non è stato sottoposto a terremoti importanti e le strutture storiche non hanno subito alcun tipo di danno. Le immagini devono però fare riflettere su come, su murature stabilizzatesi da centinaia di anni con carichi statici di una certa tipologia, come un tetto leggero in legno, sia stato acriticamente sistemata una copertura pesante in laterizio e calcestruzzo armato.

Struttura originaria del tetto e dell’ultimo solaio (rinvenuta in zona non oggetto del consolidamento). I nodi strutturali del tetto sono certamente disordinati, sicuramente non stabili ed andrebbero senza dubbio ancorati, consolidati e rinforzati
Struttura originaria del tetto e dell’ultimo solaio (rinvenuta in zona non oggetto del consolidamento). I nodi strutturali del tetto sono certamente disordinati, sicuramente non stabili ed andrebbero senza dubbio ancorati, consolidati e rinforzati
Dettaglio della zona che ha subito gli interventi di “consolidamento”. Si evidenzia bene l’attacco del tetto in laterocemento con l’esistente apparato murario in mattoni pieni
Dettaglio della zona che ha subito gli interventi di “consolidamento”. Si evidenzia bene l’attacco del tetto in laterocemento con l’esistente apparato murario in mattoni pieni
Dettaglio della zona che ha subito gli interventi di “consolidamento”. Si evidenziano la copertura nuova del vano scala ed il solaio sottotetto. È ben visibile la trave di calcestruzzo a coronamento della porzione orizzontale del solaio
Dettaglio della zona che ha subito gli interventi di “consolidamento”. Si evidenziano la copertura nuova del vano scala ed il solaio sottotetto. È ben visibile la trave di calcestruzzo a coronamento della porzione orizzontale del solaio
Dettaglio della zona che ha subito gli interventi di “consolidamento”. Si evidenzia la totale mancanza di opere di connessione tra l’apparato murario del corpo scala e la nuova copertura inclinata
Dettaglio della zona che ha subito gli interventi di “consolidamento”. Si evidenzia la totale mancanza di opere di connessione tra l’apparato murario del corpo scala e la nuova copertura inclinata

 

Consapevolezza significa quindi affrontare ogni tipologia di intervento avendo chiaramente presente il punto di partenza e l’obiettivo finale da raggiungere sostenendo il percorso di analisi con una valida base teorica sui sistemi strutturali.
Un approccio adeguato allo studio strutturale degli edifici storici non prescinde dalla conoscenza dei meccanismi di danno che descrivono gli scenari tipici degli edifici storici in zona sismica.
Molti meccanismi si presentano schematicamente ripetitivi con specificità dovute alla geometria del manufatto, ai materiali utilizzati (spesso indigeni), ma sostanzialmente identici per eziologia ed evoluzione.
A differenza delle struttura a telaio, gli edifici in muratura evidenziano un carattere locale delle azioni di danno; alcune parti si rovinano mentre altre rimangono intatte.

Finale Emila. La torre dell’orologio. Photo REUTERS/Giorgio Benvenuti. Fonte: web
Finale Emila. La torre dell’orologio. Photo REUTERS/Giorgio Benvenuti. Fonte: web

 

Ecco perché normalmente si procede allo studio di comportamenti di sistemi semplici, scomponendo l’organismo in analisi, in porzioni elementari, studiandone il comportamento ai carichi statici e dinamici. La comprensione di tali comportamenti sui singoli elementi, consente di prendere in esame strutture articolate. Questo approccio è in linea con il concetto strutturale delle opere storiche, che si ottenevano connettendo elementi strutturali con vincoli monolaterali.
Le normative prevedono un’analisi globale del costruito che quindi va intesa come fatta sulla globalità dell’edificio, andando a studiare tutti i possibili meccanismi di danno che l’azione sismica può causare in ogni sua parte. Per fare questo è opportuno riuscire a recuperare quella visione pratica e intuitiva dei mastri muratori del passato che erano in grado di cogliere i suggerimenti utili per la realizzazione delle opere basandosi sull’osservazione e sull’esperienza, talvolta anche fondata su metodi empirici costituenti poi la tradizione di edilizia antisismica.
Ricordiamo che negli edifici di carattere storico non solo gli apparati murari sono realizzati differentemente rispetto alle tecniche attuali, bensì si rinvengono altre strutture tipicamente differenti dall’odierna pratica edilizia come archi strutturali, volte (padiglione, botte, …), solai in legno o in ferro e tetti in legno. Chiaramente sono strutture che evidenziano comportamenti e caratteristiche del tutto particolari e che quindi vanno studiati ed analizzati per quello che sono.
Gli archi e le volte sfruttano il naturale equilibrio che viene a instaurarsi tra materiali “spingenti” posti a contatto, attraverso l’insorgere di forze orizzontali che conferiscono stabilità. Questa particolarità fa sì che siano propensi al dissesto per eventi sismici o per eventi antropici quali tutti gli interventi che riducono la forza di “spinta” diminuendo la stabilità o talvolta compromettendola staticamente.
Per tetti e solai in legno o acciaio, che rappresentano la normale struttura presente negli edifici storici, bisogna sottolineare che sono dotati di una naturale risposta elastica alle azioni dei terremoti. È folle pensare di sostituire tali strutture innestate su murature portanti, con solai e/o tetti in laterocemento armati che, per loro natura, sono rigidi e pesanti. Ciò che occorre valutare è la capacità delle carpenterie primarie e secondarie di rimanere unite assecondando le azioni dinamiche del sisma, impedendo così crolli per “decomposizione” delle orditure strutturali. Dobbiamo evitare che i solai (e tetti) si affidino esclusivamente all’attrito tra le componenti.
Si ricorda, a tale proposito, la figura “Struttura originaria del tetto e dell’ultimo solaio (rinvenuta in zona non oggetto del consolidamento)” soprariportata, per quanto concerne i nodi di connessione e gli inserimenti delle travi principali.
Il miglioramento sismico dei solai non riguarda solo se stessi ma anche la funzione statica e di connessione nei confronti dell’intero edificio. Si opti quindi per ancoraggi e appoggi che migliorano e stabilizzano le connessioni tra le parti e tra il solaio intero e gli apparati murari che lo delimitano.

Il discorso finora trattato non deve essere letto come una demonizzazione dei tecnici, né tantomeno dei materiali e delle tecnologie moderne.
Il significato che deve essere colto è invece quello di voler stigmatizzare l’approccio acritico ai modelli di calcolo preconfezionati e alle tecniche e ai materiali applicati senza spirito critico. Ciò che si sostiene con forza e determinazione è vedere il progetto e il cantiere di restauro come un luogo di riflessione e di uso dell’intelletto con analisi accurata del contesto e delle pratiche realizzative originali.

Appare inoltre opportuno sottolineare come sia fondamentale e auspicabile superare le segregazioni reciproche delle competenze professionali di architetti e ingegneri che, in ultima analisi, oltre a essere anacronistiche, sono nocive per il buon esito dei lavori e conducono solitamente a compromessi.

Gianluca Centurani

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