Immobile ereditario indiviso, chi deve richiedere il permesso di costruire?

Scarica PDF Stampa

Come ogni settimana, ecco una selezione delle sentenze di interesse per le materie dell’edilizia e dell’urbanistica pubblicate nel corso dell’ultima settimana. Gli argomenti oggetto delle pronunce sono: richiesta del permesso di costruire per un immobile ereditario indiviso; prova della data di realizzazione di un abuso edilizio; certificato di agibilità e conformità urbanistico-edilizia; piano di lottizzazione, durata e proroga; ammissibilità della rettifica delle previsioni urbanistiche; natura del vincolo della destinazione stradale.

Immobile ereditario indiviso, richiesta del permesso di costruire

Estremi della sentenza: TAR Veneto, sez. II, sent. 23 maggio 2017, n. 505
Massima: Nel caso di immobile ancora indiviso a seguito di successione ereditaria serve il consenso di tutti i comproprietari per il rilascio del permesso di permesso e la richiesta deve essere presentata a nome della comunione indivisa

Dinanzi ad un comunione pro-indiviso, cioè un immobile oggetto di successione ereditaria ancora non diviso fra gli eredi, non esiste ancora, fino all’eventuale futura divisione, una proprietà condominiale regolata dagli articoli 1117 e ss. del codice civile (che si ha quando solo alcune parti dell’edificio sono di proprietà comune, mentre le altre appartengono in proprietà esclusiva ai rispettivi condomini): conseguentemente, occorre effettivamente il consenso di tutti i proprietari per la richiesta del permesso di costruire, non importa se preventivo oppure a sanatoria.

In ogni caso, la richiesta del permesso di costruire, in tale circostanza, non deve essere presentata in proprio ma per conto della comunione indivisa.

Data di realizzazione di un abuso edilizio, onere della prova

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. II, Catanzaro, sent. 22 maggio 2017 n. 836
Massima: L’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato e non sull’amministrazione

L’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2012 n. 703; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 2 luglio 2010 n. 16569).

Anche nel processo amministrativo trova, infatti, integrale applicazione la disciplina contenuta nell’art. 2697 c.c. (corrispondente, ora, all’art. 64, comma 1, c.p.a.), secondo la quale spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 11 febbraio 2011 n. 924 e 27 gennaio 2011 n. 618). Conseguentemente, nel giudizio di impugnazione dell’ordinanza repressiva di un abuso edilizio, è onere del privato fornire la prova dello status quo ante, in quanto la P.A., di solito, non può materialmente accertare quale fosse la situazione dell’intero suo territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2012 n. 703; T.A.R Campania, Napoli, Sez. II, 7 maggio 2012 n. 2083).

Certificato di agibilità, conformità urbanistico-edilizia

Estremi della sentenza: TAR Calabria, sez. II Catanzaro, sent. 22 maggio 2017 n. 825
Massima: La conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità

La conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) e 35, comma 20, L. n. 47 del 1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata.

Ciò in quanto, il suddetto certificato attesta la conformità dell’opera alla normativa edilizio-urbanistica, oltre che “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, nonché la conformità dell’opera al progetto approvato e la sua agibilità”, come dispone l’art. 24, comma 1, del T.U. Edilizia.

Piano di lottizzazione, durata e proroga

Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 23 maggio 2017 n. 352
Massima: Il piano di lottizzazione ha durata decennale e l’eventuale proroga richiede una formale istanza dell’interessato

Nel sistema vigente il piano di lottizzazione ha durata decennale sicché, decorso infruttuosamente detto termine, lo strumento attuativo perde efficacia (Consiglio di Stato sez. IV 27 aprile 2015 n. 2109 che conferma TAR Sardegna, sez. II, n. 553 del 2013).

È irrilevante ai fini delle conseguenze connesse alla scadenza del termine decennale di efficacia del piano di lottizzazione la circostanza che la mancata attuazione del piano sia dovuta alla P.A. o al privato lottizzante (Consiglio di Stato sez. IV 27 aprile 2015 n. 2109 che conferma T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 553/2013).

La declaratoria di decadenza del piano di lottizzazione, per la mancata esecuzione nel decennio decorrente dalla stipula della convenzione delle opere di urbanizzazione, ha natura vincolata, configurandosi come atto ricognitivo di un dato storico costituito dalla scadenza del termine di efficacia della convenzione con effetto automatico contemplato dalla legge (Consiglio di Stato sez. IV 27 aprile 2015 n. 2109 che conferma T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, n. 553/2013).

Per quanto concerne inoltre la rilevanza dell’insorgenza di cause di forza maggiore e quindi della rilevanza del c.d. factum principis, ritiene il collegio di dovere ribadire l’indirizzo giurisprudenziale affermato nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 04/04/2013 n. 1870, recepito e ribadito da con la sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 08 novembre 2016 n. 848 – principio affermato in materia di sospensione del termine di durata del titolo edilizio, ma da ritenersi valido anche relativamente alla fattispecie in esame di sospensione del termine di validità della lottizzazione – secondo cui “il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo [rectius abilitativo], che accerti l’impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012).

La questione rimane nei sensi sopra indicati anche a seguito della nuova formulazione dell’art. 15, comma 2 e 2 bis, del D.P.R. n. 380 del 2001, posto che la giurisprudenza anche successiva alla novella contenuta nell’art. 17, comma 1, lett. f) del D.L. 12/9/2014 n. 133, convertito nella Legge n. 164 del 2014, è nel senso di ritenere comunque necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga (T.A.R. Valle d’Aosta, 05 dicembre 2016 n. 59; TAR Veneto n. 375 del 2016).

Deve infatti ritenersi che, secondo un canone di ordinaria diligenza, sia onere del soggetto che invoca la sussistenza di cause di forza maggiore e quindi l’oggettiva impossibilità di realizzare l’intervento costruttivo per factum principis, di attivarsi nel termine di validità o del titolo edilizio o, come nel caso di specie, del piano di lottizzazione, al fine di ottenere dall’amministrazione una proroga, sottoponendo al vaglio dell’amministrazione medesima la ritenuta sussistenza delle predette cause di forza maggiore, per le valutazioni e i provvedimenti (eventuale provvedimento di proroga) di competenza dell’amministrazione medesima.

Mera rettifica delle previsioni urbanistiche, ammissibilità

Estremi della sentenza: TAR Lombardia, sez. II Milano, sent. 25 maggio 2017 n. 1167
Massima: La mera rettifica delle previsioni urbanistiche comunali è ammissibile solo in presenza di un errore materiale che emerga in modo manifesto ed immediato dalla lettura della documentazione del piano senza che si debba ricorrere ad alcuna attività di interpretazione della volontà dell’Amministrazione

L’istituto della rettifica consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali di natura non invalidante che siano la conseguenza di una svista che determina “una discrasia tra manifestazione della volontà esternata nell’atto e volontà sostanziale dell’autorità emanante, obiettivamente rilevabile dall’atto medesimo e riconoscibile come errore palese secondo un criterio di normalità, senza necessità di ricorrere ad un particolare sforzo valutativo e/o interpretativo, valendo il requisito della riconoscibilità ad escludere l’insorgenza di un affidamento incolpevole del soggetto destinatario dell’atto in ordine alla corrispondenza di quanto dichiarato nell’atto a ciò che risulti effettivamente voluto” (Consiglio di Stato, VI, 5 marzo 2014, n. 1036).

Pertanto, una rettifica delle previsioni urbanistiche comunali risulta ammissibile solo in presenza di un errore materiale che emerga in modo manifesto ed immediato dalla lettura della documentazione del piano, senza che si debba ricorrere ad alcuna attività di interpretazione della volontà dell’Amministrazione.

Tale individuazione deve avvenire sulla scorta di un criterio di particolare rigore, al quale sia possibile pervenire in modo univoco e palese e sulla base di un vincolato procedimento logico matematico, esclusa ogni attività volta a interpretare la volontà dell’Amministrazione (T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 24 giugno 2015, n. 879).

Conseguentemente, non può considerarsi una mera rettifica la delibera del Consiglio comunale che interviene a modificare la destinazione urbanistica di una pluralità di aree del territorio comunale non ritenendola coerente con l’impostazione del Piano, riutilizzando il proprio potere discrezionale e non esercitando invece un potere di tipo meramente dichiarativo, relativo soltanto all’aspetto formale dell’atto (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, IV, 13 gennaio 2017, n. 72).

Destinazione a sede stradale, natura del vincolo

Estremi della sentenza: TAR Sardegna, sez. II, sent. 23 maggio 2017 n. 349
Massima: La destinazione a sede stradale configura un vincolo espropriativo, soggetto a decadenza quinquennale

La destinazione a sede stradale configura un vincolo espropriativo, soggetto a decadenza quinquennale in quanto, essendo incompatibile con qualsiasi forma di edificazione privata, incide sul godimento del bene in modo da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale.

Per pacifica giurisprudenza, decaduto il vincolo di destinazione a strada pubblica, la P.A. ha l’obbligo di reintegrare la disciplina non solo dell’area già interessata dal vincolo decaduto ma anche di quelle interessate dalla fascia di rispetto, attraverso una variante che consenta di dotare l’area di una destinazione coerente con le nuove esigenze di pubblico interesse.

Rubrica in collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento