Trasformazione di un balcone in veranda: quale titolo serve?

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Ecco la nostra rassegna delle sentenze più interessanti della settimana scorsa. Gli argomenti sono: quale titolo edilizio è necessario per una veranda? Permesso di costruire, silenzio-assenso in caso di mancanza dell’attestazione circa la conformità urbanistica dell’intervento; emanazione di un piano attuativo: facoltà e non obbligo del Comune; autorizzazione commerciale: regolarità urbanistico-edilizia dei locali; efficacia temporale delle delibere di aggiornamento per oneri concessori.

Per la veranda: quale titolo edilizio è necessario?

Estremi della sentenza: TAR Lazio, sez. II quater Roma, sent. 7 aprile 2017 n. 4389
Massima: Per la veranda serve il permesso di costruire

 

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda non costituisce realizzazione di una pertinenza, né intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta a permesso di costruire, determinando l’aumento della superficie utile di un appartamento e la modifica della sagoma dell’edificio con conseguente assoggettamento alla sanzione di tipo demolitorio e non meramente pecuniario, giusta la previsione di cui all’art. 33 d.p.r. n. 380/2001 (di recente, Tar Campania Napoli, 19 gennaio 2016, n. 243; 15 gennaio 2015, n. 259).

La veranda non integra, infatti, una pertinenza in senso urbanistico, in quanto, chiudendo lo spazio sovrastante la superficie dell’originario terrazzo, crea nuovo volume mediante aggregazione al preesistente organismo di un’entità edilizia ulteriore, ad esso organismo estranea e costituisce pertanto una trasformazione urbanistico-edilizia del preesistente manufatto incompatibile con la qualificazione edilizia di manutenzione straordinaria o risanamento conservativo o pertinenza dell’immobile principale, in quanto idonea a modificarne la sagoma e creare nuovo volume, costituendo quindi una nuova costruzione o comunque un ampliamento della costruzione esistente soggetta al preventivo rilascio del permesso di costruire (Tar Liguria, 13 febbraio 2014, n. 269).

Permesso di costruire: conformità urbanistica dell’intervento

Estremi della sentenza: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 3 aprile 2017 n. 1776
Massima: Non può ritenersi formato il silenzio assenso sull’istanza del permesso di costruire nell’ipotesi in cui il progettista si sia limitato ad affermare genericamente la compatibilità dell’intervento rispetto alla vigente normativa ed abbia omesso qualsiasi attestazione sulla sua conformità urbanistica

 

Secondo condivisibile giurisprudenza, “La formazione del silenzio – assenso sulla domanda di permesso di costruire postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis l’accoglimento dell’istanza ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma, tenendo presente che il silenzio – assenso non può formarsi in assenza della documentazione completa prescritta dalle norme in materia per il rilascio del titolo edilizio, in quanto l’eventuale inerzia dell’Amministrazione nel provvedere non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso” (così TAR Campania-Napoli n. 110 del 29.2.2016; nonché cfr. TAR Puglia-Lecce n. 3342 del 19.1.2015); e tanto perché “il silenzio equivale al provvedimento amministrativo, e ciò non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio, che rimane inalterato, ma introduce una modalità semplificata di conseguimento dell’autorizzazione” (così TAR Puglia-Bari n. 37 del 14.1.2016).

In particolare, poi, costituisce requisito essenziale, ai fini della formazione del provvedimento silenzioso, la dichiarazione del progettista abilitato che assevera la conformità del progetto alla disciplina urbanistica vigente “poiché rappresenta la motivazione interna del provvedimento favorevole al privato e può giustificare, in un’ottica di semplificazione, l’inerzia dell’Amministrazione e il conseguente assenso tacito su un progetto apparentemente conforme alla disciplina urbanistica” (così TAR Abruzzo-Pescara n. 486 del 3.12.2014); ragion per cui, “non può ritenersi formato il silenzio assenso nell’ipotesi in cui il progettista si sia limitato ad affermare genericamente la compatibilità dell’intervento rispetto alla vigente normativa ed abbia omesso qualsiasi attestazione sulla sua conformità urbanistica, stante da un lato l’insussistenza di una equivalenza tra i differenti concetti della conformità e della compatibilità (quest’ultima, infatti, postula un apprezzamento valutativo, sia pure alla stregua di regole tecniche) e, dall’altro, la necessità che le dichiarazioni siano rese in maniera chiara ed inequivoca dal progettista, soprattutto in considerazione delle relative responsabilità, anche sul piano penale” (così TAR Campania-Napoli n. 2281 del 3.5.2013), atteso anche che “La formazione del silenzio assenso sulle domande di concessione edilizia ha carattere limitato ed è subordinato alla esistenza di uno strumento urbanistico vigente ed adeguato alle prescrizioni ed agli standard introdotti dalla l. n. 765 del 1967, nonché di una programmazione urbanistica di dettaglio, tale da non lasciare all’amministrazione alcuno spazio di discrezionalità, neppure sotto il profilo tecnico.” (così Cons. di Stato sez. V, n. 3796 del 17.7.2014).

Peraltro, va evidenziato che “della presenza di tutta la documentazione deve essere data prova, alla stregua degli ordinari principi processuali (art. 64 comma 1, c.p.a.), dalla parte ricorrente, trattandosi di documentazione la cui copia è attualmente nella sua disponibilità o è virtualmente accessibile mediante l’impiego degli strumenti procedimentali o processuali previsti dall’ordinamento” (così TAR Lazio-Roma n. 9267 del 9.8.2016).

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Emanazione di un piano attuativo: facoltà, non obbligo del Comune

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 3 aprile 2017 n. 1508
Massima: Il Comune non ha un obbligo di emanazione di un piano attuativo richiesto dal privato

 

In generale, la pianificazione attuativa costituisce, al pari del p.r.g., espressione della potestà pianificatoria, seppure declinata in ottica più specifica e, per così dire, operativa: la costitutiva finalità attuativa propria di tale programmazione di dettaglio, peraltro, impone all’Amministrazione la contestuale ponderazione di molteplici e potenzialmente contrastanti interessi anche non strettamente urbanistici ed è, pertanto, innervata da valutazioni eminentemente discrezionali in ordine non solo al quomodo, ma pure al quando.

Siffatto spazio ampio di discrezionalità non consente di predicare, in capo al privato, una pretesa giuridicamente tutelata e coercibile all’emanazione hic et nunc di un piano attuativo da parte del Comune. Più in particolare, in assenza di profili di macroscopica illogicità, di eclatante irragionevolezza, di palese travisamento dei fatti, è legittima la scelta, da parte dell’ente locale, di non procedere, in un certo momento storico, all’attuazione concreta ed operativa delle previsioni di massima contenute nella pianificazione urbanistica di carattere generale: tale scelta, infatti, è esito, funzione ed espressione di un complessivo bilanciamento di diversificati, contestuali e spesso confliggenti interessi e, come tale, è manifestazione del merito della funzione amministrativa.

Autorizzazione commerciale: regolarità urbanistico-edilizia dei locali

Estremi della sentenza: Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 5 aprile 2017 n. 1584
Massima: L’autorizzazione commerciale non può essere rilasciata per i locali non a norma sotto il profilo urbanistico-edilizio

 

La disciplina del commercio e quella urbanistico-edilizia sono intrecciate e connesse (cfr., Cons. Stato, sez. V, n. 3262/2009; Tar Campania, Napoli, n. 10058/2008 e n. 556/2010). Tant’è che è stata coniata la locuzione “urbanistica-commerciale” a testimoniare che l’attività commerciale, ancorché liberalizzata, è conformata ab imis dalla disciplina urbanistica ed edilizia.

È dirimente a riguardo l’art. 1 del d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito nella legge 24 marzo 2012 n. 27 laddove, nel liberalizzare le attività, fa comunque salvi i limiti giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante, ritenuti in apicibus compatibili con l’ordinamento comunitario purché proporzionati alle finalità pubbliche perseguite.

Sicché l’autorità amministrativa, in presenza di istanze volte a conseguire il titolo di commercio (in qualunque forma assentibile) deve previamente verificare la conformità dei locali da utilizzare alle norme e profili di carattere urbanistico-edilizio ed igienico-sanitario: ove siffatta conformità non risulti accertata, l’autorizzazione di commercio non può essere rilasciata, né l’attività, eventualmente già intrapresa, portata ad ulteriore esecuzione.

Oneri concessori: efficacia temporale delle delibere di aggiornamento

Estremi della sentenza: TAR Puglia, sez. III Lecce, sent. 7 aprile 2017 n. 542
Massima: Le delibere comunali di adeguamento degli oneri di urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente per i permessi rilasciati dopo tali delibere e non anche per quelli già rilasciati in precedenza

 

L’art. 16 del D.P.R n. 380/2001 stabilisce che “la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata” mentre “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione”.

Se i contributi concessori devono essere stabiliti, secondo la lettera della norma, al momento del rilascio del permesso di costruire, “a tale momento occorre dunque avere riguardo par l’entità dell’onere facendo applicazione della normativa vigente al momento del rilascio del titolo edilizio” (T.A.R. Puglia – Lecce sent. n. 2058/2013).

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Ciò significa che le delibere comunali di adeguamento degli oneri di urbanizzazione possono trovare applicazione esclusivamente “per i permessi rilasciati a far tempo dall’epoca di adozione dell’atto deliberativo e non anche per quelli rilasciati in epoca anteriore” ( T.A.R. Puglia – Lecce sent. n. 48/2013).

Di conseguenza, una volta che la determinazione degli oneri concessori sia correttamente avvenuta sulla base delle tabelle vigente all’epoca del rilascio del permesso di costruire, non può che rivelarsi “illegittima la pretesa dell’Amministrazione di addossare al titolare del permesso edilizio rilasciato anni prima l’ulteriore carico finanziario derivante dal meccanismo di aggiornamento”.

D’altro canto la convenienza a realizzare o meno l’intervento edilizio non può prescindere da una valutazione degli oneri concessori quale significativa componente dei costo complessivo; per cui, un adeguamento del contributo ex post si tradurrebbe in un alea insopportabile per chi, ove a conoscenza di un diversa e maggiore entità del contributo, si sarebbe magari astenuto dall’iniziativa economica intrapresa.

In collaborazione con www.studiolegalepetrulli.it

Redazione Tecnica

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