Antisismica in mano agli Architetti che hanno studiato storia? Risponde un Architetto

Catia Bottaro 09/03/17
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Mi è capitato, qualche tempo fa, di incappare in un articolo il cui titolo affiancava gli architetti  all’antisismica (ndr, si tratta di: L’Antisismica in mano agli Architetti che hanno studiato storia, scritto dall’Ing. Giuseppe Albano). Incuriosita ho iniziato a leggere, pensando di trovare finalmente uno scritto che inserisse a buon diritto gli architetti in un tema – quello appunto dell’antisismicaconsiderato prerogativa degli ingegneri strutturisti. Ma alla fine, con somma delusione, ho dovuto constatare di essere di fronte all’ennesima sterile querelle tra l’una e l’altra categoria.

L’autore dell’articolo (un ingegnere) si è subito posto in posizione di superiorità, screditando il ruolo degli architetti e accusandoli di essere dei semplici “studiosi di storia”. Forse ci si dimentica che l’architetto, nel significato etimologico del termine, è il “primo artista-costruttore” (dal greco archè = origine, inizio, e tecton= artista, creatore, quindi il fare tecnico ma anche l’arte, il fare manuale ma anche l’artigianato). Credo che tale equivoco sia dovuto a una mancata conoscenza delle specifiche competenze professionali, nonché delle eventuali specializzazioni.

Riprendendo una metafora cara a chi ha scritto l’articolo – quella tra medicina e edilizia – vorrei ribadire che un cardiologo non cura la prostata e un urologo non cura il cuore, ognuno ha una sua precipua specializzazione, ma l’urologo, prima di asportare una prostata, consulterà il cardiologo per capire se il paziente potrà sopportare un intervento chirurgico. Le specializzazioni non significano pensare a compartimenti stagni; al contrario significano cooperazione.

In questi giorni abbiamo parlato di competenze professionali anche in:
Sismabonus e competenze professionali: correttivo o ricorso? Anche i Periti all’attacco

Architetto e ingegnere sono complementari

L’ingegneria si avvale in modo specifico delle scienze matematiche e fisiche; l’architettura è un’arte ed ha un proprio linguaggio. Se non si conosce tale linguaggio, come si può dialogare con essa? Come mettere mano a un edificio quale, per ipotesi, Villa Scott a Torino, magnifico esempio di architettura Liberty? Come conciliare l’uso di tecniche moderne quali calcestruzzo, acciaio da carpenteria, fibre in carbonio, con la poesia e la delicatezza delle linee Art Nouveau, con l’eleganza dei decori floreali, con la fragilità delle vetrate decorate?

Un intervento grossolano e inopportuno deturperebbe per sempre l’edificio rendendo irriconoscibili i caratteri che lo rendono un chiaro esempio di uno stile architettonico ben preciso e leggibile. Chi mai penserebbe di inserire sul Colosseo un cordolo di cemento armato? Nessuno sano di mente. Se il Colosseo presentasse problemi strutturali, credo si mobiliterebbe mezzo mondo accademico esperto in materia di ingegneria e architettura.

Quindi perché non farlo come prassi, perché non unire le forze al fine di raggiungere un risultato ottimale frutto di competenze tecniche congiunte?
Credo sia necessario avere questo approccio per ogni singolo edificio di pregio, anche appartenente alla cosiddetta “architettura minore”, quella che costituisce e caratterizza gran parte dei nostri borghi.

Sono questi borghi che ci fanno dire “siamo in Italia” e che identificano una precisa parte dell’Italia: con interventi avventati perderebbero la loro identità. Ma depauperata del suo genius loci, cosa sarebbe l’Italia? Un ingegnere ha forse la risposta?

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Catia Bottaro

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