Dissesto idrogeologico, definizione e cause spiegate in modo semplice

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Cominciamo un viaggio sulla superficie del nostro pianeta, per comprendere in maniera semplice i rischi naturali, in particolare quelli “geologici”.

Le cronache riportano sempre più spesso alluvioni, frane, terremoti, spiagge che spariscono, strade interrotte e, purtroppo, vittime; molte morti e molti danni si potrebbero però evitare.

Dopo questi eventi i giornalisti chiamano geologi e politici, ma una volta spenti i riflettori viene sempre meno la volontà politica di risolvere veramente i problemi, nonostante negli ultimi anni siano stati fatti decisi passi in avanti, purtroppo non sufficienti.

Come si arriva ai rischi naturali

Ci sono sicuramente molti luoghi comuni da sfatare e questioni da chiarire. Per iniziare cerchiamo di comprendere perché e come si giunge ai rischi naturali, tralasciando per il momento gli aspetti sismici che, per la loro importanza, hanno bisogno di uno spazio dedicato.

C’è un processo naturale per cui colline e montagne si formano e poi sono esposte all’azione di pioggia, vento, gelo ecc., e di conseguenza si “consumano”. In che modo ciò avviene? Tramite i fenomeni conosciuti come frane, che trasportano il materiale smosso dalle piogge verso valle, dove poi un torrente lo porta verso il mare, dove in parte si accumula nelle spiagge per poi essere nuovamente mosso verso il mare aperto dove si deposita in attesa di ritornare a diventare roccia dopo qualche milione di anni.

Ognuno di questi passaggi è ovviamente più complicato, ma rende l’idea di un ciclo naturale.

Dove compare il cosiddetto “dissesto idrogeologico” (termine non corretto, meglio dire rischio idrogeomorfologico)?

Il rischio diventa tale se nello schema inseriamo una casa, una strada o comunque un’infrastruttura creata dall’uomo, magari inserita in coincidenza di uno dei passaggi delineati prima.

Quindi, forse, non è la natura a essere “cattiva”, ma quell’infrastruttura che non doveva trovarsi lì.

 

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La visione ingegneristica, che vorrebbe piegare il territorio al volere umano, ha dimostrato ampiamente di essere errata. I fatti lo dimostrano inconvertibilmente: non si può pensare di risolvere una frana con un muro in calcestruzzo e un’esondazione con un argine. I fenomeni che avvengono sulla superficie terrestre sono ben più complessi e si rischia, come in realtà è successo in molti casi, di creare le condizioni per ulteriori futuri danni.

Recentemente, grazie all’Unità di Missione Italiasicura, sono state per la prima volta individuati i criteri e gli indirizzi per una progettazione “sostenibile” che, come valore aggiunto, porta la valutazione dell’impatto dell’intervento sull’assetto idrogeomorfologico dell’area.

Torniamo ai processi di disfacimento delle catene montuose, alcuni esempi recenti sono le grosse frane nelle Dolomiti e nel Trentino Alto Adige, attreverso i quali ci siamo resi conto di come montagne che ci sembrano “possenti” e indistruttibili abbiamo in realtà debolezze geomorfologiche, sebbene vadano considerate su tempi geologici.

Queste frane però cadono su terreni non occupati dall’uomo e generalmente non causano né danni né vittime. I problemi per noi cominciano quando il materiale depositato da queste frane viene trasportato a valle da fiumi e ghiacciai (per quanto attualmente questi ultimi siano molto ridotti rispetto al passato…).

Una frana sulle Dolomiti può essere molto “spettacolare”, ma esistono molte altre modalità di disfacimento di monti e colline, in cui la roccia viene mano a mano disfatta dagli agenti atmosferici (pioggia, neve, ghiaccio ecc.), fino a diventare una terra.

In geologia si distinguono le terre e le rocce (leggi l’articolo sul testo unico terre e rocce da scavo); lasciando le definizioni ufficiali, pensiamo alle terre come aggregati più o meno sciolti distinti in base alle dimensioni dei granuli, distinguendo ad esempio argille, limi, sabbie e ghiaie; mentre per le rocce, ben più coese, le classificazioni vengono fatte in base a origine, composizione ecc…

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Gli accumuli di terre sui versanti di monti e colline vengono chiamati “coltri detritiche” e sono facilmente soggetti all’azione della gravità, soprattutto se appesantiti dall’inzuppamento in seguito a piogge intense, o erosi da un corso d’acqua.

Se invece inseriamo una strada e, per costruirla “tagliamo” questi depositi, creiamo le condizioni per una nuova frana! É proprio quello che è successo a Sarno nel 1998, quando è stata dimostrata l’influenza negativa dei tagli stradali sulla stabilità.

Continueremo questo viaggio nella prossima puntata, a presto.

Carlo Malgarotto

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