La laurea per i periti industriali del futuro: Mala Tempora…

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Il 12 maggio scorso la camera alta ha concesso la fiducia alla legge di conversione del DL ‘Scuole belle’.

Il decreto-legge aveva inizialmente per oggetto la proroga delle Disposizioni per il decoro degli edifici scolastici e per lo svolgimento dei servizi di pulizia e ausiliari nelle scuole, a cui – secondo un vizietto tutto italiano – erano state accodate le Disposizioni per la stabilizzazione e il riconoscimento della Scuola sperimentale di dottorato internazionale Gran Sasso Science Institute).

Giunto in Commissione Istruzione era iniziato, secondo un’abusata immagine del lessico giornalistico, l’assalto alla diligenza con la presentazione di numerosi emendamenti; alla nostra (e vostra) attenzione quello presentato dalla relatrice Sen. Puglisi-PD (1.0.300) che recitava:

“Art. 1-bis

Al fine di adeguare la normativa di accesso alle professioni regolamentate alla direttiva 2013/55/UE, recepita dal decreto legislativo 28 gennaio 2016, n. 15, l’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, è sostituito dal seguente:

“Art. 55

(Professioni di agrotecnico, geometra, perito agrario, perito industriale)

1. Alle professioni di agrotecnico, geometra, perito agrario e perito industriale si accede con specifici corsi di laurea professionalizzanti abilitanti, anche differenziati per le sezioni dei relativi albi, contenenti al loro interno il periodo di tirocinio previsto dall’ordinamento professionale. L’esame finale per il conseguimento della laurea ha valore di esame di stato abilitante all’esercizio della rispettiva professione e vi sono ammessi esclusivamente coloro che hanno conseguito, nell’ambito dello specifico corso di laurea professionalizzante abilitante, tutti i crediti previsti dal suo ordinamento didattico.

La denominazione, gli obiettivi formativi, l’ordinamento didattico e la classe dei corsi di laurea abilitanti di cui al comma 1, nonché il titolo professionale spettante al momento del conseguimento della laurea, sono definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 95, della legge n. 127 del 1997, sentito il Consiglio universitario nazionale e in rispetto delle disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 270 del 2004.

Con successivo decreto ministeriale, sentita l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, sono stabiliti gli specifici requisiti e indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico dei corsi di laurea di cui al comma 1.

Nelle more della definizione dei nuovi percorsi abilitanti di cui al comma 1  e fino alla conseguente revisione dell’esame di Stato vigente, l’accesso alle professioni di agrotecnico, geometra, perito agrario e perito industriale è consentito sulla base delle norme e procedure di cui alla previgente normativa di cui all’articolo 55 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001. Conservano efficacia nella suddetta fase transitoria i periodi di tirocinio e i titoli di studio maturati e validi ai fini dell’ammissione all’esame di Stato secondo le disposizioni previgenti, nonché i provvedimenti adottati al riguardo dai relativi organi professionali”.

In sostanza, con una fuga in avanti degna del miglior ‘Doc’ Emmet Brown, l’emendamento proponeva di modificare – inauditis alteris partibus – la normativa di accesso alle suddette professioni, riservandola ai possessori della laurea professionalizzante abilitante, sorta di araba fenice fin qui non solo inesistente, ma che nessuno ha esattamente idea di come dovrebbe essere, per quanto l’università – perennemente affamata di danari e quindi di nuovi iscritti – ne abbia accennato favorevolmente (ettepareva!) per bocca del CUN.

L’emendamento ovviamente precisava che nelle more della definizione dei nuovi percorsi abilitanti avrebbero mantenuto valore le norme attuali.

Crediamo non sia strano chiedersi perché una modifica così importante del percorso di accesso alle professioni non dovrebbe avvenire, prima attraverso la consultazione e il confronto con le categorie interessate e solo dopo con la concreta modifica delle norme.

Come dicono i benparlanti, cui prodest?

A chi giova, per usare un’immagine nuova di zecca, mettere il carro davanti ai buoi?

Ma andiamo avanti: il fantasioso emendamento è stato poi ridotto – 1.0.300 (testo 2) – alla versione che limitava ai soli periti industriali l’accesso all’esame di abilitazione alla professione con la sola laurea, come già previsto – in alternativa al diploma – dal DPR 328/2001, con un periodo transitorio di cinque anni di ‘doppio regime’.

Ma non basta: nello stesso filone è stato presentato l’emendamento 1.0.300 testo 2/1 Sen. Ferrara (sempre PD) che, senza scomodare l’inesistente laurea professionalizzante abilitante, stabiliva l’obbligo della laurea per l’accesso alle quattro professioni (agrotecnici, geometri, periti agrari e periti industriali) richiamandosi sempre al requisito alternativo previsto dal DPR 328/2001 e prevedendo anch’esso un periodo transitorio di cinque anni.

Nel prosieguo dell’iter l’emendamento Puglisi ‘Ritorno al futuro’ è stato ritirato e sostituito da una nuova versione dell’emendamento Ferrara (limitato ai periti industriali) che è quello infine approvato in commissione e trasfuso nel maxi-emendamento finale.

Nel merito è interessante apprendere che durante l’esame in commissione il pres. Marcucci (ancora PD) aveva dichiarato:

PRESIDENTE – sono stati presentati ulteriori emendamenti del Governo e della relatrice, pubblicati in allegato al resoconto di quella seduta. Fa presente poi che è pervenuta dalla relatrice una riformulazione dell’1.0.300 in un testo 2, pubblicato in allegato al presente resoconto, che ha lo scopo di prevedere la laurea, almeno triennale, quale requisito di accesso alla professione di perito industriale. Dopo aver ricordato che attualmente è previsto solo il titolo di scuola secondaria per l’accesso a tale professione, rileva che già altre categorie professionali hanno ottenuto l’innalzamento del profilo formativo. [il grassetto è nostro]

Chissà a quali categorie pensava il sen. Marcucci, ché noi non ne conosciamo (con l’unica eccezione degli infermieri, il cui percorso di accesso – in origine ben diverso – fu adeguato a partire dal 1990).

Com’è noto la legge è poi stata approvata con voto di fiducia; nel frattempo il provvedimento era stato rimpolpato da altri, ben più importanti argomenti di maggior interesse per il Governo, non ultima la pulizia delle scuole!

Quale morale trarre da tutto ciò?

Sicuramente, che questo NON è il modo opportuno di procedere: è evidente che l’emendamento sartoriale commissionato dai periti industriali, sparigliando una normativa comune ad altre categorie, ha provocato un vulnus nei rapporti istituzionali.

Per capirci: quando fu necessario procedere alle modifiche degli ordinamenti professionali in dipendenza dalla riforma Berlinguer, le categorie professionali interessate furono debitamente coinvolte e parteciparono fattivamente al processo che portò alla promulgazione del DPR 328/2001 ed alla disciplina dell’art. 55: perché mai la modifica di queste norme non dovrebbe oggi seguire un cammino simile se non eguale?

Sappiamo bene che il CNPI (Consiglio nazionale dei periti industriali) tempo fa ha deciso, pare non senza contrasti, che il perito industriale del futuro debba essere laureato, anche sostenendo – inesattamente – che ciò derivi da obblighi europei; ma questo, che non abbiamo timore a definire sotterfugio, non pare il modo migliore per raggiungere l’obbiettivo, per quanto sia evidente – e in un certo senso sconcertante – che il CNPI possa contare, in questo governo, su un’ampia corsia preferenziale.

È risaputo che la scorsa estate il CNPI – nel perseguimento cieco dello stesso obbiettivo – non si era peritato a propalare fuffa di primissima qualità sulla stampa compiacente sostenendo che i diplomi rilasciati dopo la riforma Gelmini non fossero validi per l’accesso alle professioni salvo essere poi recisamente smentito dal MIUR; stupisce quindi che autorevoli esponenti politici diano copertura a queste spregiudicate iniziative.

A questo punto, considerando che nel novero delle professioni potenzialmente coinvolte (agrotecnici, geometri, periti agrari e periti industriali) questi ultimi non sono né i più numerosi né i più rappresentativi, auspichiamo che la Camera dei deputati, a cui il provvedimento è stato trasmesso, voglia dare un segnale preciso cassando l’art. 1-septies (quando già non vi provveda, in un soprassalto di resipiscenza, il Governo).

Purtroppo l’inevitabile ricorso al voto di fiducia, ampiamente prevedibile per l’importanza delle altre disposizioni introdotte nella legge, non consentirà, temiamo, di rimediare al malfatto perché è difficile ipotizzare un ritorno del provvedimento al Senato, anche se il Governo si rendesse conto dell’importanza di non avvallare questo tentativo surrettizio di eludere il confronto democratico e istituzionale.

Questo impasse potrebbe essere però facilmente risolto – crediamo – con l’impegno esplicito del Governo a sopprimere quanto prima l’art. 1-septies con un altro decreto e successivamente a provvedere, pel tramite del Ministro dell’Istruzione (che non crediamo coinvolta in questa poco edificante vicenda) ad aprire, a tempo e luogo opportuni, quel confronto con le categorie professionali che solo può consentire una scelta meditata, condivisa e soprattutto rispettosa dei ruoli istituzionali.

E niente più colpi di mano, per favore!

Stefano Batisti

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