Sicurezza e invecchiamento attivo: l’Italia non è un paese per giovani

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“Non è un paese per giovani”…ecco come si può definire la situazione lavorativa nei paesi europei, parafrasando il titolo di un vecchio libro di Cormac McCarthy che citava “Non è un paese per vecchi” ((No Country for Old Men).

Testimonianza di questo è la campagna attivata dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro che ha battezzato il 2012 come “l’anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni”.

Secondo studi statistici a livello europeo la percentuale dei lavoratori anziani è destinata ad aumentare in modo significativo, con un aumento di circa il 16% nei prossimi vent’anni; questo è dovuto all’aumento progressivo della durata della vita media ed ai bassi tassi di natalità.

Se guardiamo la situazione italiana, la tendenza demografica ha un andamento analogo con lo standard europeo e l’età media dei lavoratori è sempre più alta, motivo per cui i legislatori hanno ritenuto opportuno introdurre l’argomento negli aggiornamenti degli ultimi anni in materia di normativa sulla sicurezza.

Il Testo Unico in materia di sicurezza, il D.Lgs. 81/2008,  specifica infatti al comma 1 dell’art. 28 che la valutazione dei rischi deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.

Il legislatore, quindi, preso atto che ormai di lavoratori giovani, rilassati e con il posto “fisso” ormai non se ne trovano più, ha ritenuto opportuno arginare i pericoli e cercare di limitare almeno i danni relativi ad una situazione lavorativa sempre più incerta e ad una età pensionabile sempre più lontana.

Ad esempio nella valutazione del rischio legato alla movimentazione manuale dei carichi, il fattore “età” incide in modo decisivo con una classificazione differenziata fra i lavoratori con età compresa fra i 18 ed i 45, ed i lavoratori di età superiore ai 45 anni.

Anche se il D.Lgs. 81/0208 non indica il peso massimo sollevabile, in genere si fa riferimento ai  valori definiti dalle norme ISO: 25 kg per l’uomo di età compresa tra 18 e 45 anni, 20 kg per la donna di età compresa tra 18 e 45 anni e per l’uomo sotto i 18 e sopra i 45 anni, 15 kg per le donne sotto i 18 e sopra i 45 anni.

Se da un lato questa attenzione particolare verso i lavoratori maturi ha lo scopo di preservarne la salute e consentirgli il proseguimento della propria carriera lavorativa senza aggravarne le condizioni fisiche, dall’altro c’è il rischio che limitazioni troppo severe vadano poi a discriminare tali lavoratori circoscrivendo all’eccesso le mansioni in cui inserirli o spostarli.

Tale rischio aumenta nelle aziende medio-piccole dove la varietà dei ruoli lavorativi è limitata; basta pensare al caso di un’azienda che si occupa della vendita di vernici all’ingrosso che ha al suo interno un solo magazziniere: la movimentazione di una decina di fusti di tempera da 25 kg al giorno è già sufficiente per far rientrare il rischio del lavoratore in fascia rossa.

Fra gli interventi per la riduzione del rischio possiamo averne alcuni di competenza del Datore di lavoro e del lavoratore stesso: ad esempio lo stoccaggio di tali pesi ad altezza compresa fra quella della anche e quella delle spalle (cui corrisponde quindi la minima dislocazione verticale), il sollevamento del peso da parte di due operatori (con l’ausilio quindi di un collega), l’inserimento di un numero adeguato di pause e/o l’alternanza ben studiata di fasi di movimentazione e di fasi di altre attività che non comportino sforzo alla schiena ed agli arti superiori.

Vi sarebbero poi interventi di altra natura quale ad esempio la predisposizione di apparecchi non manuali di sollevamento dei fusti (non sempre esistenti per la situazione specifica) o la riduzione del peso dei fusti stessi (difficilmente applicabile viste le richieste del mercato). Vista la problematica messa in atto di tali interventi, il rischio è che il lavoratore maturo sia definito idoneo con prescrizioni (limitazioni nel sollevamento dei pesi) o addirittura non idoneo con il conseguente problema dello spostamento di mansione (non sempre possibile).

Da qui il dubbio che la definizione di limiti sempre più severi non sempre  sia la garanzia di un maggior grado di tutela del lavoratore.

La campagna europea del 2012 sull’invecchiamento attivo deve avere quindi proprio questo scopo: investire nella salute e sicurezza sul posto di lavoro sin dalla giovinezza senza però arrivare agli eccessi con il conseguente ribaltamento della situazione.

Svolgere un lavoro soddisfacente infatti contribuisce a mantenere nei lavoratori maturi un atteggiamento positivo e propositivo, un comportamento attivo, una buona capacità lavorativa, un approccio verso il lavoro che contribuisce a mantenere alta la propria autostima prevenendo depressione e deterioramento fisico.

Federica Magnani

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