L’innovazione applicata alle bonifiche ambientali: intervista al geologo Paqui Moschini

Marco Brezza 12/06/15
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L’edizione 2015 di RemTech, l’evento sulle Bonifiche dei Siti Contaminati e la Riqualificazione del Territorio, sta per giungere: la manifestazione si terrà presso il Quartiere fieristico di Ferrara dal 23 al 25 settembre prossimi. Per esplorare con cognizione di causa i principali aspetti che verranno trattati durante la manifestazione internazionale, abbiamo interpellato OICE, l’Associazione di categoria che rappresenta le organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, e dialogato con Paqui Moschini, geologo e consulente ambientale interno per Ambiente SC, una delle importanti società associate ad OICE. Attraverso un’interessante chiacchierata abbiamo cercato di indagare lo stato dell’arte in materia di bonifiche ambientali nel nostro paese.

Marco Brezza: Quali connessioni esistono tra OICE e RemTech?
Paqui Moschini: Da tre anni si è sviluppata una proficua collaborazione: realizziamo uno spazio espositivo comune per le nostre aziende associate che partecipano alla manifestazione, l’Isola OICE, con l’obiettivo di rendere visibile ed organizzata la nostra partecipazione. Inoltre gli associati partecipano in qualità di relatori a diversi appuntamenti seminariali e convegnistici presenti nel programma ufficiale di RemTech.

M.B.: Lo scorso anno, nel corso di RemTech, OICE ha organizzato il workshop “Le bonifiche in emergenza nella realizzazione di grandi infrastrutture”: quest’anno su quale tema andrete a focalizzare la vostra attenzione?
P.M.: Stiamo programmando un appuntamento OICE sul tema della sostenibilità ambientale per le realizzazioni infrastrutturali inserite nel Decreto “Sblocca Italia”. Inviteremo le grandi stazioni appaltanti italiane a discutere con le nostre imprese associate su quali opportunità arriveranno sul mercato della progettazione e su come progetti infrastrutturali e sostenibilità ambientale debbano avere l’opportunità di “dialogare” fin da subito.

M.B.: RemTech è un centro di eccellenza per le imprese della filiera delle bonifiche non solo per il mercato italiano ma anche straniero e si rivolge a specifici territori dove, a causa dell’elevato livello di inquinamento dei suoli e delle acque sotterranee, la problematica della bonifica è particolarmente impellente. Ecco la domanda: negli ultimi anni il lavoro in generale per l’ingegneria ambientale in Italia sta crescendo?
P.M.: Il lavoro dell’ingegneria ambientale in Italia rappresenta un po’ la cartina al tornasole di due aspetti: il primo è quello relativo alla “energia produttiva” che si vive in un certo periodo nel paese e che provoca a cascata problematiche ambientali causate dai processi produttivi ma anche economia attiva che alimenta il mondo immobiliare e costruttivo e la necessità di svincolare le aree. Il secondo aspetto è quello normativo: non solo in termini di applicazione delle leggi vigenti ma anche in relazione agli aggiornamenti che vengono apportati. Se il d.m. 471/1999 è stata la scintilla per i piani di caratterizzazione, il d.lgs. 152/2006 ha dato origine all’estensione delle Analisi di Rischio. In un periodo come questo, considerato di crisi economica generale, il mercato si è contratto considerevolmente. Molti centri di produzione si sono spostati all’estero, verso est, basti pensare alla raffinazione che sta scomparendo in Italia con la conversione delle raffinerie in depositi o gassificatori, l’immobiliare ha avuto un calo notevole ed anche le grandi infrastrutture procedono “a singhiozzo”. In questo contesto stanno venendo fuori gli studi di ingegneria che hanno dimensioni piccole e medie e che sono radicati sul territorio con una maggiore pragmaticità e costi minori, mentre si stanno ritirando, lentamente, le grandi società multinazionali di ingegneria che negli anni passati dominavano e che hanno, comunque, alzato molto il livello di professionalità.

M.B.: In questo contesto, dove si stanno “spostando” i lavori di ingegneria ambientale all’interno del nostro territorio?
P.M.: I lavori di ingegneria si stanno spostando ora su “decomissioning” (demolizioni, per chi non ama l’inglese), assistenza ai siti produttivi attivi sui quali insistono le autorizzazioni AIA e AUA, relazioni di riferimento e “due diligence” (indagini interne ambientali) per la vendita di un sito dismesso o in liquidazione. Un ultimo settore interessante è quello della messa in sicurezza delle discariche che si sono generate con leggerezza negli anni ‘80-‘90. Il problema è che essendo appalti pubblici i tempi per la gestione di progetti del genere è piuttosto lungo.

M.B.: E come prosegue il confronto con il mercato internazionale?
P.M.: Gli studi di ingegneria ambientale si stanno organizzando per “inseguire” alcune grosse compagnie nei nuovi centri di produzione industriale all’estero. Avviene, quindi, che si riesca a trovare il coraggio per un primo passaggio ad attività oltre confine (ma si parla quasi sempre di paesi tecnologicamente in via di sviluppo come l’est Europa e il Nord Africa o la Turchia) grazie alle aziende multinazionali che invitano il consulente anche sui nuovi siti esterni. Se nel paese ospitante non esiste una normativa chiara che definisca gli obiettivi di una progettazione di ingegneria ambientale si ricorre alle policy interne al gruppo industriale che aprono anche un percorso di sensibilizzazione nel contesto in cui si va a operare. Le difficoltà, comunque, sono molteplici e se da una parte la voglia di sbilanciarsi all’esterno è palpabile dall’altra l’incertezza economica e l’instabilità politica che si vive in alcuni paesi in via di sviluppo invita alla massima cautela.

M.B.: Qual è in rapida sintesi lo stato dell’arte ad oggi in Italia in materia di innovazione applicata alle bonifiche dei siti contaminati?
P.M.: L’innovazione nel campo delle bonifiche è molto lenta, soprattutto per la parte dei terreni. In primo luogo qualsiasi intervento, se innovativo, si traduce in un trattamento senza rimozione dei terreni che significa inagibilità dell’area per tutto il periodo della bonifica. Secondo aspetto: le variabili sono moltissime e questo determina che, nonostante le migliori intenzioni possibili, i risultati attesi a volte abbiano tempi e valori più ottimistici che nella realtà. Fino a che non si arriverà ad un livello di affidabilità maggiore la stessa Pubblica Amministrazione sarà timorosa nel validare dei progetti di interventi di bonifica dal risultato incerto. Sono molto interessanti gli sviluppi della “bioremediation” che sfrutta le colonie batteriche naturali presenti nel terreno per la degradazione di alcuni contaminanti. Ma la giusta selezione e coltivazione delle colonie tra quelle presenti deve passare da un’analisi più approfondita di laboratorio che può richiedere qualche mese. C’è da valutare in che modo si possa far aumentare il metabolismo dei batteri e fare uno studio di microcosmo. La diffusa tecnologia del trattamento dei terreni attraverso lo strippaggio “Air Sparging” e recupero “Soil Vapour Extraction”, invece, spesso è influenzata da livelli litologici di materiali fini che ne disturbano l’efficienza ed il recupero e dall’umidità; a volte, invece, il disturbo proviene da sottoservizi esistenti capaci di creare vie preferenziali e attenuare la sottopressione. Ma sono solo alcune delle complicazioni che si incontrano in sistemi alternativi influenzandoli significativamente.

M.B.: E per ciò che riguarda le acque?
P.M.: Per le acque il discorso è leggermente diverso. Gli interventi sulla falda consentono di agire con trattamenti che non pregiudicano l’utilizzo dell’area. Si perfezionano i sistemi di trattamento con impianti acque esterni, mentre ancora molte difficoltà esistono sui tentativi di bonifica con inoculazione in falda di sostanze attenuanti che in certi contesti possono o peggiorare lo stato di contaminazione o dare origine a contaminanti diversi. I passi avanti maggiori sono stati fatti nella modellazione idrogeologica e nello sviluppo dei software per l’analisi di rischio: è migliorata anche l’automazione dei sistemi di controllo degli impianti di trattamento acque per barriere idrauliche, permettendo una migliore gestione e consapevolezza dell’andamento degli impianti. In questi casi l’informatica unita all’elettromeccanica e la tecnologia strumentale permette e promette grandi sviluppi. C’è da dire che lo stimolo al miglioramento del trattamento deriva anche dall’attenzione che si deve avere per i limiti allo scarico. La criticità nella gestione del trattamento è che obbliga a tempi di reazione di intervento molto più rapidi, avere coscienza in tempo reale dello stato di funzionamento del sistema salva da problemi più seri.

M.B.:…e inoltre?
P.M.: Molto interessante risulta anche il possibile sviluppo delle Barriere Reattive, un sistema di trattamento delle acque che sfrutta il deflusso naturale della falda sfruttando un “gate” in cui risiede un reagente che neutralizza il contaminante. La sua applicazione è, però, limitata nei casi in cui la natura dei contaminanti è variegata e un solo reagente non risolve il problema. Il trattamento esterno delle acque dà il vantaggio di poter mettere più sezioni in serie che intervengono sui diversi singoli contaminanti.

M.B.: Le bonifiche dei siti contaminati sono legate strettamente alla tutela del territorio e alla salvaguardia della salute pubblica. Ritiene che il rapporto tra settore pubblico e privato in questo ambito sia ottimale nel nostro Paese?
P.M.: Ottimale non è il termine che userei per definirlo. Direi che il rapporto è ampiamente migliorabile ma solo se gli attori che interpretano i ruoli del settore pubblico vengono messi nelle condizioni di lavorare più efficacemente. Nel nostro settore ci confrontiamo continuamente con tecnici ambientali della Pubblica Amministrazione che hanno un’ottima preparazione e che, in ogni caso, sono disponibili ad un confronto aperto e ad una crescita comune. Le difficoltà più grandi si incontrano a causa del sottodimensionamento del settore ambientale dell’Ente Pubblico, i cui risultati sono spesso delegati alla disponibilità ed iniziativa dei singoli oltre le loro possibilità. I problemi principali si trovano sicuramente ad un livello più alto: l’interferenza della politica su progetti collegati a strategie di sviluppo urbanistico, i tempi di risposta imposti dalla norma vigente rispetto alle esigenze del privato dettate dallo spostamento del mercato e la difformità nell’interpretazione delle norme nelle varie regioni. Questi tre aspetti generano un clima teso e ostile che in molti casi scoraggia il privato alla bonifica non per mancanza di sensibilità ambientale ma per la percezione di infilarsi in un tunnel senza fine.

Marco Brezza

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