Ricostruzione dei ruderi: indispensabile accertare la consistenza precedente

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Tra le varie modifiche che il DL 69/2013, convertito con legge 98/2013, ha introdotto delle modifiche all’art. 3 comma 1 lett. d) del Testo Unico dell’Edilizia, DPR 380/2001, vi è quella della ricostruzione dei ruderi (sul Decreto del Fare e sulle semplificazioni in edilizia consulta anche la nostra Pagina Speciale).

Il tema della ricostruzione dei ruderi rischia di produrre aspettative che in molti casi possono essere disattese dallo stato dei luoghi.

Infatti il Legislatore ha raccordate le proprie intenzioni con la giurisprudenza prevalente. È pertanto utile analizzare il nuovo testo del decreto, fissando l’attenzione sul tema degli edifici diruti:

Art. 3 (L) – Definizioni degli interventi edilizi

1. Ai fini del presente testo unico si intendono per: […]

d) “interventi di ristrutturazione edilizia”

Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.

Il testo introdotto, in un certo senso, si autotutela con l’inserimento della clausola relativa alla possibilità di “accertarne le preesistente consistenza“.

È chiaro l’intento del legislatore sia, tra l’altro, quello del recupero dei vari immobili dislocati sul territorio che si presentano in avanzato stato di vetustà, ma al fine della salvaguardia del territorio da interventi che esulano tale principio, è stata inserita la clausola di salvaguardia relativa alla consistenza dell’immobile.

Sino a prima della recenti modifiche dell’art. 3, la ricostruzione dei ruderi era un intervento ammissibile solo come intervento di nuova costruzione, come le varie pronunce giurisprudenziali hanno più volte statuito:

– Consiglio di Stato Sez. IV, 15 settembre 2006, n. 5375,

– Consiglio di Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475.

Ciò imponeva al richiedente il rispetto delle normative vigenti al momento della richiesta del titolo abilitativo (permesso di costruire), quindi col rispetto di standard urbanistici, distanze ecc. (leggi anche Edilizia residenziale, i requisiti per progettare l’ampliamento di un edificio di Mario Di Nicola)

Il tentativo del legislatore teso a superare queste incombenze, riconduce ora l’intervento su ruderi alla categoria della ristrutturazione edilizia a solo a patto di poter dare evidenza della preesistente consistenza.

Il tema è di un certo interesse tecnico ed economico e merita un approfondimento, alla luce delle sentenze consolidate nel tempo.

Nel contesto della disciplina delle distanze legali, il Consiglio di Stato ha di recente riaffermato ciò che, per orientamento costante della giurisprudenza, deve intendersi per componenti essenziali di un edificio: “…i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura” (Consiglio di Stato sez. V, 11 giugno 2013, n. 3221).

È dunque chiaro che di un edificio diruto, ai sensi del nuovo disposto introdotto dal DL 69/2013, può esserne “accertata la preesistente consistenza” quando è possibile individuate le murature perimetrali, che individueranno la sagoma della struttura, le strutture orizzontali di piano e la copertura, che fisicamente delimita il volume preesistente occupato dal manufatto.

Chiaramente se detti elementi essenziali sono fisicamente presenti in sito, non esistono particolari dubbi sul concetto giuridico di “preesistenza del fabbricato”, nel caso contrario potrebbe essere discutibile la possibilità di evidenziare la consistenza.

Di questo avviso è sempre stata la massima giurisprudenza

Consiglio Stato, Sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475

“… È evidente, anzitutto, che il manufatto in questione, come ampiamente testimoniato dalla documentazione fotografica in atti, è ridotto ad un rudere in stato di rovina, e quindi non può rientrare, ai sensi della legislazione provinciale, nel novero delle “costruzioni esistenti” che possono essere demolite e ricostruite in altro sito destinato a verde agricolo, senza modifica della destinazione preesistente.

Manca, infatti, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (in casi analoghi la Sezione ha preteso che l’immobile esista quanto meno in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza, possano farlo giudicare presente nella realtà materiale: Cons. Stato, V, 15 marzo 1990, n. 293 e 20 dicembre 1985, n. 485).

Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza e ribadito, da ultimo, con circolare ministeriale (Infrastrutture e trasporti) del 7 agosto 2003, n. 4174, la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze (nel caso di specie, addirittura, delocalizzabili) comunque assimilabile alla ristrutturazione edilizia – tradizionalmente pretendeva la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si poteva dunque, in ogni caso, prescindere.

L’attività di ricostruzione di ruderi è stata invece concordemente considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione (cfr. Cass. pen. 20 febbraio 2001, n. 13982; Cons. Stato, V, 1° dicembre 1999, n. 2021).

Né di certo può considerarsi elemento influente che l’immobile in argomento, prima di cadere in stato di assoluto degrado, sia stato abitato fino a 16 anni (periodo di tempo, del resto, non certo irrilevante) prima dell’adozione del provvedimento impugnato”.

Cassazione penale, sez. III, 13 Aprile 2007, n. 15054

“… secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema – la ricostruzione dei ruderi costituisce sempre nuova costruzione, in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non è possibile valutare l’esistenza e la consistenza dell’edificio da consolidare ed ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata [vedi Cass., Sez. 13.1.2006, Polverina; 4.2.2003, Pellegrino; 20.2.2001, Perfetti; nonché C. Stato, Sez. V: 28.5.2004, n. 3452; 15.4.2004, n. 2142; 1.12.1999, n. 2021; 4.8.1999, n. 398; 10.3.1997, n. 2401]”

La mancanza fisica dei connotati essenziali di un edificio può essere superata se è possibile darne evidenza certa in forza della seguente sentenza del Consiglio di Stato che, pur ancorata al concetto di necessità del rudere di esibire i propri connotati, da modo di poter svolgere tale ruolo in modo, per così dire, indiretto:

Consiglio di Stato Sezione IV 8 luglio 2004 n. 5791

“… la mancanza del tetto dell’edificio originario non ne preclude, in radice, la ristrutturazione, avuto riguardo sia alla disciplina nazionale, sia a quella urbanistica vigente nel Comune […].

Risulta, in proposito, agevole rilevare che la documentazione acquisita dal Comune […] in occasione del rilascio delle concessioni edilizie […]. e, in particolare, i progetti allegati alle istanze […] si rivela senz’altro idonea ad attestare attendibilmente la volumetria del manufatto preesistente, sicché, anche in mancanza del tetto, i dati (essenziali) della sagoma, del volume e della superficie risultano oggettivamente verificabili sulla base delle planimetrie in possesso del Comune (e riferite ad un tempo precedente alla parziale demolizione dell’edificio) e delle misurazioni ancora eseguibili sulla struttura rimasta integra (muri perimetrali ed area di sedime occupata dalla costruzione).

La ricostruzione (in particolare) della volumetria così operata e documentata deve, quindi, ritenersi tecnicamente verificabile (in quanto fondata su parametri oggettivi) e non impraticabile […]”.

Il testo di legge appare quindi coerente con l’orientamento prevalente della giurisprudenza che dovrà, quindi, essere il riferimento per i tecnici.

Pertanto la preesistente consistenza è rappresentata dalla presenza dei connotati essenziali di un edificio (pareti, solai e tetto), ovvero è dimostrabile tramite apposita documentazione storica e verifica dimensionale in sito; in caso contrario di insussistenza di tale requisito non sarà possibile applicare l’art. 3 comma 1 lett. d) del (nuovo) DPR 38/2001.

L’intervento su rudere passa per il permesso di costruire (sull’analisi dei vari titoli abilitativi, consulta anche la nostra Pagina Speciale Testo Unico Edilizia).

Ing. Nicola Mordà e arch. Marco Q. Duma – DoMo Studio – Torino

Redazione Tecnica

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