Il nuovo Ddl sul Consumo di Suolo non convince ancora

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Ha per oggetto la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo di suolo. È il Ddl presentato il 14 settembre scorso dal Ministro alle Politiche Agricole e Forestali, Mario Catania, e su cui doveva esprimersi, con un proprio parere, la Conferenza Unificata Stato-Regioni. E il parere è arrivato. Positivo, ma condizionato all’accoglimento di alcune osservazioni (leggi anche “Il testo del Ddl consumo di suolo è cambiato, Legambiente è soddisfatta“).

Il Ddl Catania, ispirato dalla campagna nazionale di sensibilizzazione contro il consumo di suolo avviata l’anno scorso dal Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio, prevede l’obbligo di fissare un limite al terreno agricolo che può essere edificato; l’impossibilità per 5 anni di mutare destinazione ai suoli beneficiari di fondi pubblici; l’invito a riutilizzare le zone già urbanizzate e il sostegno all’attività agricola che si svolge o potrebbe svolgersi su questi terreni. Ma soprattutto viene bocciata la norma (la prima versione è del 1977) che consente ai Comuni di usare per la spese corrente i proventi delle attività edilizie: i famigerati oneri di urbanizzazione.

Quali, quindi, le controdeduzioni elaborate dalle Regioni? Si richiede una moratoria di 3 anni che impedisca il consumo di superficie agricola eccetto che per le opere pubbliche, di pubblica utilità e per le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti; di sostituire la norma che fissa il limite massimo di suoli agricoli edificabili a livello nazionale con un obiettivo di riduzione del consumo di suolo; di vietare anche gli interventi di rigenerazione urbanistica-edilizia non funzionali all’attività agricola.

Il suolo, pertanto, è un bene comune (espressione molto inflazionata in questi anni col rischio che venga svuotata di significato), un patrimonio non solo naturale che deve essere tutelato. Ma che fino ad oggi, invece, è stato saccheggiato senza pietà, senza responsabilità e senza alcuna coscienza ambientale. Secondo stime ministeriali – e continuiamo a parlare di stime ministeriali perché non è mai stato predisposto un censimento di tutto il patrimonio edilizio esistente – in Italia ogni giorno si cementificano 100 ettari di suolo libero. Negli ultimi 40 anni sono stati sigillati circa 5 milioni di ettari. Le aree coltivate sono passate da 18 milioni di ettari a poco meno di 13. Dal 1956 al 2012 il territorio nazionale edificato è aumentato del 166%.

Sono numeri allarmanti che devono esigere la massima attenzione possibile da parte di tutti, per non disperarci inutilmente, per esempio, dopo il prossimo terremoto, frana o alluvione. Secondo l’Ispra, le traumatiche alterazioni subite dal suolo hanno prodotto almeno 5 miliardi di euro di danni negli ultimi 7 anni. L’Italia deve essere salvata, subito. Attraverso interventi strutturali di riqualificazione del costruito, di rigenerazione del degradato e di bonifica dell’inquinato. I geologi non dicono altro, da tempo, anche alla luce dell’elevata età media della maggioranza dei circa 14 milioni di edifici realizzati tra gli anni ’60 e ’80.

L’altra faccia, triste, della medaglia è l’agricoltura. Il livello di auto-approvvigionamento alimentare è molto basso e in futuro sarà sempre più oneroso dipendere dai mercati esteri per il nostro Paese per un’esiguità di risorse generalizzata e la desertificazione indotta dai cambiamenti climatici. Difendere il suolo è l’atto politico più lungimirante e coraggioso che le prossime generazioni di amministratori pubblici, a tutti i livelli, devono compiere.

Anche lo studioso Salvatore Settis, lo dice da tempo, con viva preoccupazione: il paesaggio italiano è tra i più devastati d’Europa. A fronte di un incremento demografico nullo, abbiamo il più alto consumo di suolo del continente. “Dobbiamo partire da una definizione operativa di paesaggio – dice Settis – passando dal paesaggio estetico da guardare al paesaggio etico da vivere”. Keynes scriveva che “saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo”. “Il paesaggio, l’ambiente, il patrimonio culturale sono – conclude Settis – come il sole e le stelle: illuminano e condizionano la nostra vita, corpo e anima. Perciò hanno un ruolo cosi alto nella Costituzione dove incarnano l’idea che ne è il cuore: il bene comune e l’utilità sociale, sovraordinati al profitto privato”.

L’invito, pertanto, è al Ministro Catania perché abbia il coraggio di risolvere le incongruenze ancora presenti nel provvedimento che rischiano di generare, paradossalmente, più danni che benefici, e di consegnare al Paese, prima della scadenza naturale di questa legislatura, una legge necessaria ed indispensabile.

Giuseppe Milano

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